giovedì 31 ottobre 2013

Chi ha paura del museo del Pci? Tra le cose che l’Italia teme di più c’è proprio la memoria storica


di Annamaria Gravinò (Secolo d'Italia)

La prima reazione è di sorpresa: davvero non c’è nessuno che vuole fare un museo del Pci? A raccontare la storia di Mauro Roda, custode di memoria e memorabilia del defunto partito comunista, è Repubblica di oggi. Il bolognese Roda, che oggi ha un piccolo ufficio nella sede cittadina del Pd, presiede la “Fondazione 2000″, una delle fondazioni a cui, quando nacque il Pd, furono conferiti i beni del vecchio partito. Beni materiali, ai quali si aggiunsero i beni della memoria quando le sedi furono messe in dismissione e Roda e altri come lui si preoccuparono di metterne in salvo il contenuto. Manifesti, documenti, bandiere, fotografie, volantini, poster, giornali, lettere che raccontano la storia, come quelle di Togliatti o di don Dossetti. C’è perfino, in questo enorme e multiforme archivio, il torchio con cui durante il fascismo veniva stampato clandestinamentel’Unità. «Ho bussato a molte porte. Molte. Nessuna risposta», ha raccontato a Repubblica Roda, spiegando che i no sono stati motivati con un «non è ancora il momento», ma senza indicare esattamente chi ha declinato l’offerta. È il quotidiano diretto da Ezio Mauro a fare delle ipotesi: «Grandi cooperative, associazioni di sinistra».

Sorpresa, si diceva, perché finora siamo stati tartassati da messaggi per cui se una storia non si poteva raccontare era quella della destra. Messaggi proposti proprio da quella sinistra che ora applica la stessa logica anche a se stessa.

Cosa accade, dunque? In realtà, a rifletterci appena un attimo, nulla di sorprendente. Perché, a rifletterci appena un attimo, tutto torna: ormai non è più questione di parte, ormai ci troviamo di fronte a una politica che, seppure con gradazioni diverse, ha paura della storia tout court. Gli indicatori di questa situazione sono molti e l’ultimo, macroscopico, è quanto accaduto intorno alla morte di Erich Priebke, dai funerali alla legge sul negazionismo che proprio per un deciso intervento degli storici non è andata in porto. Ma di esempi se ne potrebbero fare a decine, a partire da quelli tutto sommato di piccolo calibro come le contese sulla toponomastica per arrivare al fatto che la legge del 2007 che pone 30 anni come limite ai segreti di Stato resta sostanzialmente disattesa.

La vicenda del museo del Pci non fa che confermare, dunque, che il nostro Paese ha una sua intrinseca difficoltà a storicizzare, di cui molto si è già discusso e si continuerà a discutere. Ma mentre questo dibattito può (forse) avere un senso quando si parla di rivelare fatti che hanno a che vedere con la ragion di Stato e la sicurezza, molto meno sembra averlo quando si traduce nella volontà di negare una storia come quella dei partiti che è stata sotto gli occhi di tutti e che, nel bene e nel male, è stata anche storia di popolo e storia del Paese a pienissimo titolo. In questo caso si finisce in quella forma di censura col torcicollo che, negli anni, la sinistra ha esercitato con tale convinzione da farla diventare in fine anche autocensura.

La Romania pretende la sua sovranità



di Danilo Zongoli (Rinascita)

Qualcosa si muove nell’Europa Orientale. Il 20 ottobre diecimila romeni sono scesi in piazza per rivendicare l’Unione della Bessarabia (Repubblica Moldova) con la Romania e una maggiore giustizia sociale. Le devastazioni compiute dopo la caduta del comunismo hanno provocato una grande delusione. Il popolo, soprattutto i giovani, non credono più nei partiti liberaldemocratici di stampo “europeo”.
La Romania è contesa dal partito socialdemocratico del Primo Ministro Victor Ponta e dai liberali nazionali del probabile futuro presidente Crin Antonescu (quest’ultimo una sorta di Alfano dei Carpazi, prima alleato di Basescu ora schierato a “sinistra”) da una parte e il partito democratico liberale, la cui sigla PDL coincide con quella italiana, dell’attuale Presidente Traian Basescu attualmente all’opposizione che oramai sembrerebbe, mai dire mai, in declino.
Il partito socialdemocratico attualmente insieme ai liberali di Antonescu al potere, sebbene costretto ancora per qualche mese alla coabitazione con il presidente Basescu, si comporta come il pd italiano. Privatizza le aziende, subisce i diktat del fondo monetario internazionale, licenzia i dipendenti statali; cosa del resto ha fatto anche il PDL; del resto i due maggiori partiti che fanno parte dei socialisti e popolari europei hanno anche governato insieme per un certo periodo. Le coincidenze con l’Italia, come si vede, non sono poche. Il pd con e senza elle esiste anche nei Carpazi. Logicamente i giovani, i lavoratori sono delusi sanno che comunque vada il banco vince sempre.
Analoga è la situazione in Bessarabia, dove dopo il declino dell’ex presidente comunista Voronin, un comunista filo atlantico e privatizzatore, le cose non vanno affatto meglio con i governi dei liberaldemocratici Filat e Leanca , infatti la corruzione e la miseria dilagano.
Il movimento azione 2012, presente sia in Romania che in Bessarabia, organizza da qualche anno molte manifestazioni per chiedere l’Unione della Romania con la Repubblica Moldova e lo fa fuori dei partiti evitando ogni strumentalizzazione a destra come a sinistra. Ci sono molti giovani. Il 20 ottobre oltre diecimila presone hanno sfilato per le strade di Bucarest scandendo slogan patriottici. Molti sono arrivati, con tutti i mezzi, dalla Bessarabia pagandosi il viaggio senza il sostegno di alcun partito politico.
Le azioni di questo movimento non si limitano alle manifestazioni in strada. Si organizzano università estive, conferenze, iniziative culturali e altro. Il ventinove ottobre si svolge a Pitesti, in Romania, la commemorazione dei tredici anni della morte dei coniugi Doina e Ion Teodorovici. Costoro sono due artisti romeni della Bessarabia, tragicamente scomparsi a causa di un sospetto incidente stradale e secondo molti si tratta di un attentato. Doina e Ion Teodorovici con le loro canzoni hanno militato per l’Unione della Bessarabia con la Romania per il ripristino della lingua romena e dell’alfabeto latino. Sono stati i cantori della latinità in Bessarabia. Il loro funerale, il 3 novembre 1992, è un funerale nazionale, non si registra una così alta partecipazione di popolo dai tempi della proclamazione di indipendenza della Repubblica Moldova.
La recente adesione della Romania all’Unione Europea non ha, ovviamente, migliorato per niente la situazione economico sociale. Le oligarchie locali si alleano con l’eurocrazia. In Romania esiste una destra che non ha neanche l’orgoglio dei liberali dell’ottocento che avevano come motto prin noi insine mediante noi stessi, mentre adesso il paese è asservito alle multinazionali, agli eurocrati e al fondo monetario internazionale.
Una prova di tutto ciò è la vicenda della zona di Rosia Montana. Roşia Montană (in latino Alburnus Maior, in ungherese Verespatak, in tedesco Goldbach), è un comune della Romania di 3.176 abitanti, si trova nella provincia di Alba, nella regione storica della Transilvania. Questa è una zona mineraria sfruttata sin dall’epoca romana. Le importanti miniere aurifere, di proprietà statale, in questa località sono chiuse nel 2006 anche perché lo impone l’Unione Europea. Poi un colpo di scena. La società canadese Gabriel Resources decide di riaprire le miniere e il governo non si oppone. Quindi quello che non va bene per lo Stato è lecito per le multinazionali. Inoltre sussiste il pericolo di distruzione per gli importanti reperti archeologici di epoca romana e di inquinamento da cianuro come avviene nella città romena di Baia Mare. I giovani romeni vedono oltre alla tematica ambientale la minaccia alla sovranità nazionale. Ci sono numerose manifestazioni e il governo si chiude nel palazzo.
Il 20 ottobre a Bucarest si respira un’aria di rinnovamento e le bandiere di Rosia Montana sfilano accanto ai vessilli che chiedono la Unificazione della Bessarabia con la Romania. I manifestanti hanno sete di giustizia sociale, di SOCIALISMO NAZIONALE; sul versante opposto ci sono la partitocrazia e l’alta finanza mondiale.

martedì 29 ottobre 2013

In ricordo di Mario Zicchieri...


Pubblichiamo, per ricordare il sacrificio di Mario Zicchieri nell'anniversario della sua morte, un articolo uscito lo scorso anno, proprio in questo giorno, su Il Secolo d'Italia. Una bella testimonianza, che inquadra al meglio il clima dell'epoca e i tanti piccoli eroici gesti dei nostri ragazzi. 


L'Ultimo sorriso di Mario Zicchieri


Mario Zicchieri era un ragazzo di sedici anni che fu assassinato 37 anni fa, nel quartiere Prenestino a Roma, da un commando di terroristi vicini alle Brigate Rosse. Oggi avrebbe 53 anni, se quel 29 ottobre fosse scampato all’agguato davanti alla sezione del Msi del popolare quartiere. 

Per il suo omicidio non è mai stato punito nessuno. I brigatisti rossi Morucci, Seghetti e Maccari, indicati come coinvolti nella vicenda da un pentito nel 1982, sono stati assolti in appello. E così la morte di “Cremino” è rimasta impunita, come per tanti, troppi, giovani attivisti missini degli anni ‘70: Angelo Mancia, Paolo Di Nella, Francesco Cecchin… Erano morti di serie B, hanno accusato in questi anni i familiari di Zicchieri, e non valeva la pena indagare troppo a fondo. Forse è così, perché in quegli anni era vero che uccidere un fascista non era reato. Anzi, per qualcuno, anche un titolo di merito. Sì, perché quegli anni non furono affatto formidabili, ma terribili: quando i terroristi dell’estrema sinistra avevano il loro battesimo del fuoco sparando su inermi ragazzi davanti alle sezioni dei “nemici”, come accadde ad Acca Larentia, in via Zabarella a Padova, al Prenestino, vuol dire che si sono persi di vista tutti i punti di riferimento politici, morali e sociali. Era come se una gigantesca ubriacatura si fosse impadronita delle frange estreme della sinistra, che nel suo delirio coinvolgeva anche fasce di giovani tendenzialmente più moderati. Ma allora l’antifascismo era un collante che funzionava sempre, specie se condito col furore quasi religioso di chi crede solo alla sua ragione. E allora attentati, manifestazioni, assalti, agguati, colpi di pistola e di mitra, bombe contro coloro che erano dipinti come l’incarnazione del male, gli esponenti del Msi. E l’odio diventava tanto più cieco quando i militanti missini, come nel caso del quartiere Prenestino, non accennavano a mollare, persistendo nella loro permanenza fisica e nell’attività politica e sociale in una zona che per definizione doveva essere “rossa”. Non piaceva a chi controllava il territorio: i “fascisti” dovevano sparire, soprattutto se stavano facendo un buon lavoro.

E quel giorno i terroristi decisero di colpire: spararono con fucili a canne mozze ai tre giovanissimi che stavano davanti alla sezione di via Gattamelata. Claudio Lombardi era uno di questi giovani, che insieme ai suoi coetanei Mario Zicchieri e Marco Luchetti stava presidiando la sede in attesa che fosse ripristinata la porta blindata fatta saltare in un attentato avvenuto pochi giorni prima. Dentro i locali c’era un operaio che stava ripristinando una grata interna dalla quale ignoti avevano tentato di entrare la notte precedente. «Sì, mi ricordo ancora tutto di quel pomeriggio – racconta Claudio Lombardi in procinto di andare alla commemorazione per Mario che ogni anno si svolge al Prenestino – Eravamo solo noi tre, che stavamo aspettando il fabbro per rimontare il portone. Oggi stupisce pensare che per fare attività politica ci fosse bisogno di una porta blindata, ma allora le cose andavano così: ci venivano a cercare per eliminarci fisicamente di notte e di giorno, la sera spesso non potevamo rientrare in casa perché ci aspettavano, la sede era oggetto di attentati frequentissimi – ricorda Lombardi – E non solo la sede veniva colpita, ma anche le case, le automobili, gli esercizi commerciali degli iscritti al Msi o dei frequentatori della sezione, come sa bene il ferramenta all’angolo…». Ma quel 29 ottobre, secondo una strategia che secondo Lombardi era pianificata, lo scontro si sarebbe dovuto alzare di livello: «Saranno state le cinque, io ero al centro davanti la porta, Marco Luchetti alla mia destra appoggiato all’ingresso e Mario Zicchieri alla mia sinistra. Arrivò questa 128 chiara e ne scesero due persone che indossavano un trench, con scoppole e occhiali da sole. Scesero, estrassero i fucili e si apprestarono a sparare. Sono vivo soltanto perché ci sottoposero a un fuoco incrociato: ossia ognuno sparava in diagonale, con il risultato che Mario e Marco vennero colpiti in pieno, mentre io mi salvai tuffandomi letteralmente dentro i locali della sezione». E continua: «Mentre ero per terra sentii sette od otto boati fortissimi, i colpi dei fucili, poi entrò Marco massacrato di pallettoni, perdeva moltissimo sangue, tanto che un poliziotto in borghese si sfilò la cintura per fermare l’emorragia alle gambe. Io uscii, in stato di choc, vidi Mario per terra colpito al basso ventre, mi chinai su di lui, gli presi la mano… ricordo solo, e lo ricorderò per tutta la vita, che sorrideva e scuoteva la testa come per dire “no, no”… Forse voleva rassicurarmi che stava bene, che non gli avevano fatto niente, non saprei dirlo. Ricordo solo quel sorriso dolce…». Lombardi fermò immediatamente una macchina che passava per fare condurre i feriti all’ospedale. In capo a pochi minuti sul posto si radunarono centinaia di missini, tra cui lo stesso segretario della sezione Luigi D’Addio, forse il vero bersaglio dell’attentato, come è stato scritto in questi anni, ma nessuno potrà mai dirlo. «Eravamo tutto sconvolti», conclude. Dopo l’omicidio ci furono scontri, sia con la vicina sezione del Pci sia con la polizia, e la tensione rimase altissima per molti giorni nel quartiere.

Negli anni successivi la famiglia di Mario lottò con tutte le sue forze per conoscere la verità, per avere giustizia, ma mai chiedendo vendetta né odiando, nonostante le successive persecuzioni cui furono sottoposte la madre, che perse il posto di lavoro, e le giovani sorelle, che avevano 12 e 13 anni, che in seguito a questo dovettero addirittura cambiare scuola. Ma a oggi non c’è ancora chiarezza su questo e su altri omicidi politici, nonostante i numerosi appelli della mamma agli esponenti delle Brigate Rosse affinché rivelassero una buona volta la verità su quella stagione di sangue e di odio. Erano morti di serie B i missini. Si sarebbero dovuti attendere 36 anni, ossia il 2011, prima che un’amministrazione, quella del sindaco Alemanno, decidesse di dedicare un giardino a Mario Zicchieri, al Pigneto, a meno di 200 metri da dove fu ammazzato. «Mario – aggiunge il suo antico amico – andava in palestra, era uno scout, frequentava la chiesa del Pigneto, si impegnava per gli altri, aveva il senso della comunità…». Ma soprattutto aveva 16 anni.

lunedì 28 ottobre 2013

28/10/1922 - 28/10/2013 Non si fermerà la marcia



Ancora dieci anni e l’Italia sarà come Puerto Rico


di Filippo Bovo

A volte provo ad immaginarmi come sarà l’Italia fra cinque o dieci anni. Non mi considero un pessimista, tutt’altro, ma a giudicare dal cammino intrapreso a partire dalla Seconda Repubblica e consolidatosi in questa “traversata del deserto” che è il passaggio alla Terza, ho il neanche troppo vago sospetto che finiremo per diventare sempre più una colonia americana, di nome e di fatto.
E’ recentissima e sta facendo il giro di tutte le testate la dichiarazione del ministro Saccomanni, ospite da Fazio, che ha affermato come entro dicembre il governo presenterà un programma per la riduzione dell’indebitamento e la riduzione della pressione fiscale da raggiungersi attraverso la dismissione di beni pubblici ma soprattutto delle quote azionarie delle imprese ancora detenute dal Tesoro. Come al solito si torna a parlare della privatizzazione (in verità già avviata sul finire della Prima Repubblica, ora da completarsi) delle varie ENI, ENEL, Finmeccanica, ecc, ma anche della RAI. Già, la RAI: ovvero la più grande “impresa culturale” del nostro paese, “deculturizzata” da anni di malagestione dei partiti e di tutto il loro sottobosco di raccomandati e ridotta ormai a carne di porco. Nel Secondo Dopoguerra la RAI ebbe il merito di scolarizzare generazioni d’italiani, vecchi e giovani, che per decenni dopo l’Unità d’Italia avevano continuato ad essere dialettofoni e a restar divisi tra settentrionali e meridionali, tra lombardi, siciliani e toscani, da barriere culturali e linguistiche che neppure la scuola pubblica era riuscita ad affrontare con pieno successo. Pur senza rinunciare allo svago ed all’intrattenimento leggero, quella RAI un po’ democristiana ed in seguito un po’ consociativa riuscì anche a “rifilare” agli italiani programmi e momenti d’indiscutibile cultura, dagli sceneggiati che rendevano accessibili a tutti pagine di bella letteratura ai documentari che illustravano agli spettatori il mondo e l’Italia che cambiavano giorno dopo giorno grazie al boom economico ed industriale. Indubbiamente gli italiani ne uscirono arricchiti, forse istruiti in modo paternalista ed interessato da parte d’una classe politica che aveva comunque la necessità di perpetuarsi incensando certe cose e censurandone altre, ma pur sempre arricchiti. Poi arrivò la TV commerciale, non solo di Berlusconi, che non inventò proprio nulla di nuovo ma semplicemente importò in Italia quello che già esisteva all’estero: una serie di “format” (come va oggi di moda chiamarli) e di modelli culturali d’impronta anglosassone nei confronti dei quali gli italiani, al pari di tutti gli altri popoli mediterranei o latini, non possedevano adeguati anticorpi culturali. A quel punto la colonizzazione culturale del popolo italiano da parte dei modelli anglosassoni e più precisamente americani (iniziata ad onor del vero fin dall’immediato Dopoguerra) si fece sempre più massiccia e pervasiva. La stessa RAI, per competere con le nuove TV commerciali, si ritrovò in pratica costretta a torto o a ragione a doverle sfidare sul loro stesso terreno. Ve lo ricordate? Erano gli anni del cosiddetto “edonismo reaganiano”. Un edonismo anche e soprattutto culturale. Tuttavia, anche in quel frangente così come negli anni successivi, la RAI mantenne faticosamente il suo ruolo di “servizio pubblico” continuando a fare approfondimento, intrattenimento culturale e così via. Malgrado i compromessi culturali a cui era dovuta scendere, restava pur sempre una (leggera) spanna al di sopra delle TV commerciali. Tutto questo è venuto meno con l’ultimo decennio: ormai non c’è più differenza tra la RAI e le TV commerciali. Gli italiani ormai non hanno più “mamma RAI” che si cura della loro istruzione: si ritrovano di fatto privati dalla politica della più importante impresa culturale del nostro paese. La privatizzazione della RAI, che verosimilmente si concluderebbe con uno spezzatino e col fagocitamento della grande TV di Stato da parte di privati stranieri e nostrani, con la prospettiva che magari tutto finisca come nel caso di Telecom, è semplicemente l’ultimo atto d’un processo d’eliminazione della “televisione pedagogica” del passato, che sapeva far cultura, e segna la definitiva affermazione del modello culturale americano nel nostro paese.
I contemporanei tagli alla cultura, a cui questo paese assiste ormai da anni ovvero da legislature, completano il quadro di svuotamento e svilimento culturale dell’Italia, che si ritrova e si ritroverà ad essere sempre più privata della propria identità e dei propri riferimenti culturali a vantaggio dei modelli anglosassoni. Non parlo solo dei tagli alla tutela del patrimonio storico ed artistico, che sono probabilmente una delle cose più scandalose, ma anche dell’imbarbarimento e dello scadimento del cinema italiano, ridotto ormai ad una caricatura di ciò che era un tempo. In passato v’era Cinecittà, una potenza industriale al servizio del cinema: ora è un deserto. E che dire della letteratura? Basta fare un giro in libreria per essere presi dallo sconforto: giovani generazioni di scrittori crescono scimmiottando i modelli inglesi ed americani. Siamo pronti alla colonizzazione culturale da oltre Oceano in maniera definitiva ed irreversibile, in tutti i sensi.
Tutto questo fa il paio col processo di deindustrializzazione del paese. Parlavo delle privatizzazioni accennate da Saccomanni: non solo la RAI, ma anche ENI, ENEL, Finmeccanica, ecc, tutte destinate a finire come sappiamo: in mano a stranieri che le succhieranno fino all’ultimo lasciandoci in mano soltanto dei gusci vuoti. Il paese, nel giro di pochi anni, si ritroverà privato di quelli che oggi va tanto di moda definire come “assets strategici”. Ma anche la grande industria privata è in sofferenza: si pensi alla FIAT, che fugge oltre Oceano, o all’ILVA, un gigante in agonia. O ancora alla piccola e media impresa: dall’inizio della crisi a chiudere i battenti sono state in 32mila. Secondo la London School of Economics, nel giro di dieci “dell’Italia non resterà più nulla”: passeremo da grande paese industrializzato, la seconda manifattura in Europa dopo la Germania, a nazione “terzomondizzata”. Guardacaso, proprio ora che questo processo di “terzomondizzazione” e di “deindustrializzazione” è in atto, arriva il Trattato di Libero Commercio con gli Stati Uniti, che invece stanno facendo carte per “reindustrializzarsi” a più non posso: in pratica si metteranno nella stessa vasca gli squali e le sardine (ovvero l’Italia). L’Italia, tra qualche anno ormai priva d’un apparato industriale paragonabile a quello odierno, con tassi di disoccupazione vieppiù gravi, con una crescente fuga di cervelli, con un’economia sempre più in contrazione ed uno Stato dalle entrate in progressivo calo, si ritroverà sul ring insieme a paesi ben più potenti ed industrializzati, nonché culturalmente predominanti. Come potrà sopravvivere senza ridursi al rango di colonia? Su quel ring le incasserà e basta.
C’è poco da girarci intorno. Un paese privato della sua industria, oltre che della sua cultura, sarà una perfetta colonia commerciale e culturale per altri che invece avranno modelli industriali e culturali predominanti. In parole povere finiremo come Puerto Rico: una colonia americana modello.

domenica 27 ottobre 2013

Dolcetto o scherzetto?


di Sofia Giani Devi (Rinascita)

Già a fine settembre i negozi sono pieni di accessori e travestimenti per la cd. “festa di Halloween” (zucche finte, cappelli da strega eccetera) che cade il 31 ottobre. È ormai un rituale consolidato la passeggiata dei bambini la sera della Vigilia di Ognissanti, che ha l’obiettivo di raccogliere caramelle e cioccolatini dal vicinato: d’ordinanza è la frase “dolcetto o scherzetto ?”, ripresa ed abbreviata dall’inglese “trick or treat, smell my feet, give me something good to eat” (trad. “Dolcetto o scherzetto, annusami i piedi, dammi qualcosa di buono da mangiare”). I colori onnipresenti sono l’arancione e il nero.
Ma tutto questo è la spettacolarizzazione, come al solito targata USA, di un’antica festa irlandese, ossia “Samhain”. Era nientemeno che il “San Silvestro” celtico, dunque l’ultimo giorno dell’anno. Come tutte le conclusioni di qualcosa, anche quella giornata era associata alla Morte, da qui il colore nero. Il colore arancione invece fu aggiunto in secondo piano, dopo la conquista romana della Gran Bretagna: i Romani in quel periodo celebravano la dea Pomona, associata ai frutti (“pomum” vuol dire mela in latino) e agli ultimi raccolti prima del Generale Inverno. Irlandese e più in generale celtica era sempre l’usanza di prendere una zucca, svuotarne il contenuto, incidere occhi e bocca nella medesima e piazzarvi dentro una candela accesa (“Jack-‘o-lantern”) in modo da tenere lontani gli spiriti maligni la sera del 31 Ottobre. Ma il richiamo alla dimensione della Morte non finisce certo con il 31-10, va avanti anche nei giorni successivi: caso esemplare è il 2 novembre, che per l’Italia è la ricorrenza (laica) della “Commemorazione dei Defunti”, nel mondo anglosassone è “All Souls’ Day” (letteralmente, “giorno delle anime”), in quello latinoamericano è il “Dia del los Muertos”, ripreso oltretutto nel video della cantante canadese Nelly Furtado “Waiting for the night”.
Ritornando all’Italia, poi, l’11 novembre è descritto come “estate fredda, dei morti” dal poeta Giovanni Pascoli; nella cultura popolare contadina, specie al nord, il giorno di San Martino (11 Novembre appunto) era l’ultimo giorno addetto ai trasferimenti dei medesimi prima del grande freddo, da qui l’espressione ad esempio presente nel dialetto cremonese “fare San Martino” in luogo di “traslocare, trasferirsi”.
Ma che cosa vuol dire “Halloween”? È semplicemente la forma contratta di “All Hallows’ Eve”, ossia “Vigilia di Tutti i Santi”.
Cadono due anniversari in data 31/10, slegati l’uno dall’altro, ma ugualmente significativi: 31/10/1517, ossia l’affissione sulla porta della cattedrale di Wittemberg delle 95 tesi fondatrici del Protestantesimo da parte di Martin Lutero e 31/10/1922, l’inizio del Governo Mussolini in Italia.
Quello che si vuole dire in questo articolo è che Samhain/Halloween non è affatto un culto “satanico”, come qualcuno invece ebbe la sfrontatezza di affermare nel 2006, bensì una semplicissima festa Europea con radici profonde e significative che continuano ancora oggi.

sabato 26 ottobre 2013

Il caso. La nave Vittorio Veneto simbolo d’Italia abbandonato nel porto di Taranto

di Renato de Robertis (Barbadillo)

Il caso del glorioso incrociatore che doveva diventare un museo. A Taranto sta morendo una nave storica. Nel porto della città pugliese si sta corrodendo un simbolo della Marina Militare, la Vittorio Veneto. E se muore questa nave, muore un simbolo nazionale. La questione è sempre la stessa: I simboli devono essere sempre protetti. Le storie italiane devono essere salvaguardate. Provate a fare quattro passi nelle scuole e nelle università; qui scoprirete lo sgretolamento della storia militare, quindi della storia comunitaria.

Perciò, raccontiamo l’incrociatore Vittorio Veneto. Da anni la famosa nave resta in abbandono assoluto. Una gloria della Marina Militare potrebbe diventare un museo; ma sono necessari molti milioni per rendere visitabile la struttura; milioni che, in questi anni di crisi, non si trovano. Così Taranto non può conservare una memoria militare per le future generazioni. Niente finanziamenti, dunque nessuna ristrutturazione, e nessuna bonifica per la grande nave.

E’ una storia italiana esemplare. Una storia di soldi che non ci sono. Ma ciò che dovrebbe esserci, sempre e comunque, è il rispetto per le storiche azioni di questa imbarcazione militare. Un rispetto che si esprime anche scrivendo del magnifico vascello, anche promuovendo la relativa ricerca storica.

In altri paesi europei le istituzioni avrebbero promosso iniziative per non lasciare sola la Marina Militare. Purtroppo, le istituzioni, in generale, continuano a lanciare segnali di disinteresse per le proprie Forze Armate; e non solamente di disinteresse; qualcuno sta incoraggiando una faziosa indifferenza verso i simboli nazionali o verso gli uomini che rappresentano la nazione, come nel caso dei Marò trattenuti in India e del manifesto-dedica rimosso a Roma.

Quindi, il discorso sull’incrociatore Vittorio Veneto va riaperto, con la ricostruzione di vicende storiche della Marina Militare italiana.

Allora, chi conosce l’eroismo di questa nave in soccorso umanitario internazionale nel Vietnam del 1979? Chi ricorda l’intervento Onu nel 1984, in Libano, con una capacità tecnica navale ammirata nel mondo? E chi racconta la Vittorio Veneto durante il sequestro del transatlantico Achille Lauro nel 1985? Ecco, queste sono pagine di storia. Tutte da scrivere, per sconfiggere la malinconia generata da questo inverno della memoria nazionale che il paese sta vivendo.

Per diffondere tale narrazione, il museo-nave era ed è assolutamente indispensabile. Doveva essere già pronto nel 2010. Ma non si sa più niente. Ed è difficile sperare in un esito positivo. Intanto, si è costituita un’associazione per sostenere la realizzazione di questo monumento navale, di quest’opera da dedicare anche alla comunità tarantina; una comunità che, oggi, più che mai, merita una nuova attenzione da parte dello Stato.

Dopo l’affaire Ilva, rilanciare Taranto significa promuovere, insieme al suo museo archeologico, anche un polo museale militare; un polo attrattivo che sarebbe unico a livello nazionale. E questa è una consapevolezza da proporre in una vicenda di abbandono. Mentre rimane forte la coscienza per non rassegnarsi alla visione delle paratie arrugginite o dell’acciaio svigorito del famoso incrociatore. Una coscienza che, prima di tutto, dice di non rinunciare, ancora una volta, ad un simbolo italiano.

Nella mente restano certe le parole di un ammiraglio, dedicate alla nave italiana, nel 2006, durante l’ammaina bandiera, “Il Vittorio Veneto vivrà in tutti noi, ché, quando da un’altra nave ne scorgevamo all’orizzonte l’inconfondibile sagoma, provavamo un senso di ammirazione, di rispetto e di orgoglio.”

venerdì 25 ottobre 2013

NSA, le mani sugli account


di Michele Paris

Una nuova serie di documenti riservati dell’Agenzia per la Sicurezza Nazionale americana (NSA) pubblicati martedì dal Washington Post hanno rivelato un’ulteriore attività dell’ente governativo con sede a Fort Meade, nel Maryland, che conferma l’avanzato stato di degrado dei diritti democratici negli Stati Uniti. La più recente rivelazione apparsa grazie all’ex contractor della stessa NSA, Edward Snowden, riguarda questa volta la raccolta massiccia e indiscriminata delle liste dei contatti e-mail contenuti negli account personali di posta elettronica e in quelli di messaggistica istantanea di utenti in tutto il mondo, Stati Uniti compresi.

Questa operazione non è mai stata resa nota in precedenza e i documenti forniti da Snowden indicano come l’NSA sia in grado di appropriarsi illegalmente di dati riservati intercettandoli nel momento in cui essi “si muovono attraverso collegamenti globali”, ad esempio quando un utente effettua un log-in, compone un messaggio oppure “sincronizza un computer o un telefono cellulare con le informazioni archiviate su server remoti”.

Come accade regolarmente con gli altri programmi di intercettazione di dati telefonici e traffico internet, anche in questo caso l’NSA non procede con la raccolta mirata di informazioni in caso di utenti sospetti, ma entra in possesso delle liste di contatti in maniera indiscriminata.

La quantità dei dati così ottenuti è perciò impressionante. La sezione dell’NSA denominata Special Source Operations in un singolo giorno ha messo le mani su 444.743 indirizzi e-mail provenenti da account Yahoo, 105.068 da Hotmail, 82.857 da Facebook, 33.697 da Gmail e quasi 23 mila da altri provider. Numeri simili indicano come l’NSA entri in possesso mediamente in un anno di oltre 250 milioni di indirizzi di posta elettronica contenuti nelle liste degli utenti di tutto il mondo.


Secondo quanto riportato dal Washington Post, il metodo con cui l’NSA raccoglie questi dati rende superflua qualsiasi notifica alle compagnie informatiche che li ospitano. Portavoce di Google, Microsoft e Facebook si sono infatti affrettati a dichiarare la loro estraneità al più recente programma di intercettazione di dati riservati rivelato da Snowden.

Tuttavia, come spiega ugualmente il quotidiano della capitale americana, la capacità dell’NSA di avere accesso alle liste di contatti “dipende da accordi segreti con compagnie di telecomunicazioni straniere o servizi di intelligence di paesi alleati” degli Stati Uniti.

Teoricamente, l’NSA avrebbe facoltà di raccogliere informazioni solo su cittadini stranieri, ma nella rete dell’agenzia cadono anche in questo caso numerosi contatti conservati nelle liste di utenti americani. Questo genere di dati, d’altra parte, offre preziose informazioni per l’intelligence d’oltreoceano, visto che gli elenchi dei contatti contengono spesso non solo nomi e indirizzi e-mail ma anche numeri di telefono, indirizzi postali e altro ancora.

Assieme ai dati telefonici e a quelli sul comportamento degli utenti su internet, questi ultimi permettono così agli agenti dell’NSA di delineare una mappa esaustiva della vita delle persone intercettate, comprese le loro frequentazioni e le opinioni politiche.

Questo sistema di controllo pervasivo smentisce dunque in maniera clamorosa le ripetute rassicurazioni da parte del governo americano circa le intenzioni dell’NSA, la quale opererebbe in questo modo solo per trovare informazioni legate ad attività terroristiche, mentre non ci sarebbe alcun interesse per le informazioni personali dei cittadini.

Le stesse debolissime regole create appositamente per dare una parvenza di legalità a sistemi da stato di polizia vengono inoltre puntualmente aggirate dall’NSA, dal momento che per ammissione dei vertici dell’intelligence questa agenzia non ha alcuna autorizzazione formale per raccogliere in massa liste di e-mail, così come altri dati informatici o telefonici, di cittadini americani.

L’NSA, tuttavia, ottiene le informazioni in questione da “punti di accesso in tutto il mondo”, da cui transitano appunto anche i dati degli americani, visto che compagnie come Google o Facebook utilizzano impianti situati fisicamente in svariati paesi esteri.

Queste ultime rivelazioni contribuiscono dunque a mostrare la totale assenza di scrupoli democratici del governo americano nelle proprie attività di controllo del dissenso interno e delle minacce agli interessi della propria classe dirigente in ogni angolo del pianeta.

La conoscenza da parte dell’opinione pubblica di simili operazioni non dipende, come è ovvio, dalla trasparenza del governo di Washington, bensì dal coraggio di persone come Snowden, le quali, per le loro azioni che forniscono un servizio di grandissimo valore vengono spesso perseguiti in maniera feroce.


A mettere in luce i metodi punitivi adottati dall’amministrazione Obama contro i propri critici e i cosiddetti “whistleblowers”, cioè coloro che dall’interno del governo rivelano abusi e crimini a cui hanno assistito in prima persona, è stata una recente indagine del Comitato per la Protezione dei Giornalisti (CPJ), un’organizzazione che promuove la libertà di stampa con sede a New York.

Secondo l’autore del rapporto, il docente di giornalismo presso l’università statale dell’Arizona Leonard Downie, “la guerra lanciata dall’amministrazione Obama contro le fughe di notizie e i suoi sforzi per controllare l’informazione non hanno precedenti per aggressività”.

Dalle testimonianze raccolte dal CPJ sulla questione, appaiono evidenti, tra l’altro, i tentativi di impedire l’accesso da parte dei giornalisti alle fonti interne al governo, le intimidazioni contro le testate e i singoli reporter e il controllo del flusso di informazioni alla stampa a seconda dei propri interessi.

Il quadro che emerge appare più consono ad una dittatura che ad un paese democratico e questo scenario risulta ancora più allarmante alla luce della promessa di assoluta trasparenza fatta nel 2008 in campagna elettorale da Barack Obama dopo l’eccessiva segretezza dell’amministrazione Bush.

Appena installato alla Casa Bianca, infatti, lo stesso Obama si è rapidamente adeguato ai sistemi ormai consolidati dell’apparato della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, adottando addirittura misure ben più severe del suo predecessore, in linea con le crescenti necessità di controllo delle informazioni di un regime sempre più screditato e impopolare.

FIRENZE: BLOCCO DELLA PUBERTA' E CAMBIO SESSO PER I BIMBI CON "DISFORIA DI GENERE"...




Non è la trama di un pessimo film di fantascienza, ma quanto sta accadendo a Firenze. Il reparto di Medicina della sessualità e andrologia di Careggi ha chiesto alla Regione di poter diagnosticare il disturbo della “disforia di genere” sui bimbi. Nel caso in cui, quindi, un bambino maschio presentasse comportamenti tipicamente femminili, o viceversa, si potrebbero applicare delle cure atte a bloccarne la pubertà e ad avviare un percorso ormonale in grado di evitare, in futuro, il ricorso alla chirurgia. I medici hanno spiegato ai giornali che “ci sono farmaci che bloccano la pubertà precoce e abbiamo chiesto di estenderli anche sulla pubertà inadeguata, in modo da indirizzare subito la pubertà verso il sesso che veramente sente il paziente”. Riteniamo di una gravità assoluta la possibilità di intervenire in modo invasivo su dei bimbi che non hanno alcuna colpa, se non quella di manifestare dei comportamenti diversi da quelli dei loro coetanei. Riteniamo incivile la volontà di stabilire, attraverso una cura, il destino di una persona, senza che questa ne abbia coscienza. Riteniamo ignobile l’utilizzo della scienza per simili esperimenti. Riteniamo discutibile il parere di chi, non si sa su quali basi, andrebbe a diagnosticare dei disturbi del genere in pazienti di così giovane età. Siamo convinti che con queste pratiche si sia superato il limite della decenza e si sia confuso l’abuso con il diritto, in nome di una libertà che ha offuscato il buon senso. Una cosa è certa: ci opporremo.


Fonte della notizia:

giovedì 24 ottobre 2013

Eresia e democrazia


di Cassandra Del Greco (Ereticamente)



« Diciamo, pronunziamo, sentenziamo e dichiaramo
che tu, Galileo sudetto, per le cose dedotte in processo
e da te confessate come sopra, ti sei reso a questo S.o Off.o
veementemente sospetto d'eresia, cioè d'aver
tenuto e creduto dottrina falsa e contraria alle Sacre e
divine Scritture, ch'il sole sia centro della terra e che
non si muova da oriente ad occidente, e che la terra si
muova e non sia centro del mondo, e che si possa tener
e difendere per probabile un'opinione dopo esser stata
dichiarata e diffinita per contraria alla Sacra
Scrittura; e conseguentemente sei incorso in tutte le
censure e pene dai sacri canoni e altre constituzioni
generali e particolari contro simili delinquenti imposte
e promulgate. »


Una voce fuori dal coro si leva in difesa della libertà d’opinione - e di ricerca.
E’ la voce di Piergiorgio Odifreddi, il quale non solo difende il metodo oltre i contenuti, il principio oltre il merito: da matematico, razionalista, ateo quale è, rifiuta ogni tipo di dogma e rivendica il diritto al dubbio e alla ri-messa in discussione di qualunque assunto. Non solo fa questo, ma si permette persino di entrare nel merito: critica Norimberga, insinua il dubbio sulle camere a gas, parla di “propaganda alleata”. Già in passato aveva osato confrontare i numeri delle Ardeatine con l’eccidio del popolo palestinese a opera delle forze israeliane. Tutte e due le volte lo fa su Repubblica e, manco a dirlo, tutte e due le volte il suo intervento solleva polemiche, polveroni e l’immancabile fango - e il tentativo di ‘salvarsi la testa’ replicando alle accuse con rettifiche, spiegazioni, ulteriori specificazioni.

Molto significativo un commento su facebook di una persona che si ritiene di sinistra, antifascista e laica: “(…) Odifreddi avrebbe fatto meglio a star zitto, ma non per le sue opinioni, quanto perché incapace di capire che non tutto quel che pensa può essere detto. Pena: la scomunica della comunità.” Pena: la scomunica della comunità. Fa riflettere.

Galileo Galilei, nel 1633, viene condannato per eresia, per aver sostenuto la teoria eliocentrica contro quella geocentrica, quest’ultima unica teoria scientifica-dogmatica riconosciuta al tempo, salvo poi abiurare per permettersi almeno il lusso degli ‘arresti domiciliari’ ad Arcetri. Prima di lui, nel 1600, bruciava sul rogo Giordano Bruno, tacciato di eresia per aver elaborato una dottrina teologica che si distanziava da quella ufficiale della sua epoca. Ma ancora molto, molto tempo prima, nel 399 a. C., la democrazia ateniese processa e manda a morte Socrate per asébeia, una condanna insieme religiosa politica e sociale.

Continua il mio ‘amico’ di facebook: “Ciò che ha ingannato Odifreddi è il pensare di poter applicare il suo metodo a qualsiasi cosa, mentre vi sono casi in cui quest'applicazione deve essere moderata”. Eccola, la verità: puoi essere laico (in senso ampio), razionalista, logico, libero di applicare un metodo -scientifico, e dunque anche storiografico- su tutto, su tutto quello che vuoi… ad eccezione dei dogmi di volta in volta imposti dall’attualità - e dal regime. I dogmi per cui furono scomunicati Galileo e Giordano Bruno non sono più dogmi per nessuno oggi, neppure per la Chiesa; è proprio grazie a loro che li abbiamo superati, quei dogmi. Non così per i nuovi dogmi. La storia diventa teologia, la Shoah non si tocca, guai a lanciare sguardi indiscreti e re-visori alla Seconda Guerra Mondiale! [Per inciso, neanche la democrazia si tocca, motivo per cui un Socrate sarebbe oggi, dopo più di duemilaquattrocento anni, ancora proscritto.] Se lo fai -chiunque tu sia e qualunque argomentazione tu adduca- sei un apostata, un eretico, uno scomunicato e infine un proscritto. Se ti va bene vieni solo insultato e isolato; se ti va male, ti fanno un processo.
Nonostante già nel 2007 molti storici italiani si opposero, fermamente e con chiare argomentazioni, a una proposta dell’allora ministro della Giustizia Mastella, e nonostante oggi vi si opponga formalmente persino l’Unione delle Camere Penali Italiane, è lì che si vuole andare a sbattere: un processo alle idee, una legge dello Stato che limiti la libertà d’espressione su determinati argomenti. La censura, nei fatti, con annessa lista di libri proibiti. Ancora una volta, alla politica si vuol rispondere con la legiferazione, in mancanza di migliori argomentazioni, in mancanza di lucidità, schiettezza, coraggio.

Eretici di oggi e di ieri.
Ieri, nella democraticissima Atene, un uomo viene condannato a morte per il suo continuo sottoporre qualunque verità acquisita a una critica spietata e per la presa che aveva sui giovani. Oggi, nella democraticissima Italia, si va in galera (o si rischia di andarci) se si rompe il tabù su certi argomenti: la Guerra, la Shoah, il razzismo, la democrazia.

“Una vita senza ricerca non è degna per l'uomo di essere vissuta” ammonisce Socrate, il saggio. E Cartesio lo riprende e lo completa: “Il dubbio è l'inizio della sapienza”.

mercoledì 23 ottobre 2013

23/10/1956 - 23/10/2013 :Avanti ragazzi di Budapest!


Il 23 Ottobre 1956, le scintille di libertà accesesi in Polonia, infiammano la fiaccola della riscossa ungherese contro la durissima occupazione. Sono generose mani di studenti ad impugnare quella fiaccola.

A quei giovani, con un moto che si propaga spontaneo e fulmineo nella grande metropoli, si affiancano migliaia e migliaia di operai, impiegati, professionisti, anziani e persino bambini.

L'intera Budapest reclama che al Paese vengano restituite la dignità di nazione e l'indipendenza. Con sublime eroismo, il popolo si scaglia a contrastare l'avanzata dei carri armati sovietici: per il popolo d'Ungheria, infiammato dal magnifico Sogno della Libertà, la parola "resa" non ha alcun significato.

I cingoli dei carri armati bolscevichi, non potranno mai più cancellare la parola Libertà, che gli eroici figli d'Ungheria hanno scritto col loro sangue sul suolo della Patria.

martedì 22 ottobre 2013

Il nuovo idolo della sinistra è un paraplegico che spruzza vernice sulla polizia senza sapere perché


di Luca Maurelli (Secolo d'Italia)


Il video di Lello "il maestro" che sfida i blindati spopola sul web. Ma la differenza con piazza Tienanmen è enorme...

In poche ore Lello il “maestro” è diventato più famoso di Enrico Toti, quello della stampella lanciata contro il nemico prima di morire. Lello è un anziano paraplegico in carrozzina che sabato scorso s’è avvicinato a un blindato e ha spruzzato sul veicolo della vernice rossa: così, tanto per protestare, senza porsi minimamente il problema del perché. Piccolo inconveniente: gli agenti lo hanno ignorato e lui se n’è tornato indietro forse un po’ dispiaciuto per non essere stato manganellato a beneficio delle telecamere e non aver potuto consegnare al Paese un video leggendario con i segni di una violenza fascista sul corpo di un eroe metropolitano già colpito duramente dal destino.

In un Paese normale, se un uomo – bello, brutto, malato, paralitico o culturista – imbratta un’auto, un muro, un mezzo dello Stato, si becca un vaffanculo, una denuncia, una multa o anche un semplice rimprovero dai compagni che manifestano con lui. Invece no, in Italia Lello – che non a caso viene definito il “maestro” dai suoi compagni di spruzzata – in poche ore è diventato un idolo del movimento No Tav, No Global e No Tutto grazie a un filmato che sta facendo il giro della rete, accompagnato da un’enfasi che non si era sprecata manco per il ragazzo cinese che nel 1989 aveva sfidato i carri armati del governo in piazza Tienanmen.

La tristezza dei quelle immagini di un uomo malato messo in piazza a fare da apripista, incitato da giovani euforici che gli chiedono di spruzzare contro quel titanico simbolo del potere (una camionetta malandata di poliziotti pagati 1300 euro al mese) avrebbe fatto deprimere perfino Pasolini, ma a quanto pare la sinistra di oggi non butta via nulla, anzi: Lello ha creato suggestione, interesse, ha riempito un vuoto di eroi metropolitani, ha vendicato a dovere la frustrazione per i black bloc che criminalizzano i corteo pseudo-pacifici. State sicuri che a breve anche Saviano parlerà della straordinaria impresa di Lello. Eppure a leggere l’intervista al ” maestro”, quella tristezza iniziale diventa profondo magone perché si scopre che Lello in piazza ci va da anni, a prescindere dal perché. «C’è solo una sola regola quando ci si trova in situazioni del genere. L’ importante è non avere paura quando ci sono le forze dell’ ordine. Io sono venuto avanti come nulla fosse, senza mai indietreggiare, e loro non mi hanno fatto niente», spiega. Eh sì, non ci sono più i poliziotti di una volta che manganellavano i paraplegici e bucavano le ruote delle carrozzine. Ma cosa la porta in piazza, Lello? «Non c’ è un motivo preciso. Sono un anarchico e amo le manifestazioni. Ogni volta che c’ è un corteo, io ci sono».

Il finale è a sorpresa. Sempre senza sapere perché “il maestro a fine corteo – racconta il giornalista di Repubblica – ha ancora la bomboletta in mano e tenta di scarabocchiare qualcosa sul bianco delle strisce pedonali”. «Un ragazzo si avvicina per aiutarlo: Mae’ , che scrivemo? Lui, basco blu sempre in testa e il caschetto agganciato alla sedia a rotelle, ci pensa un attimo e poi spara: “Siamo sotto alla statua del bersagliere, scrivi liberi tutti…». Ben detto, maestro, ma attenzione, perché questi ragazzi anche domani le chiederanno dove spruzzare. Lei, nel dubbio, gli indichi le ascelle, sarebbe un buon inizio.

Il video con Lello lo spruzzatore

lunedì 21 ottobre 2013

Il caso. Adriano Olivetti un “riformista” al di là della destra e della sinistra?

Adriano Olivetti


di Mario Bozzi Sentieri (Barbadillo)



Arriva sul piccolo schermo (Rai1 il 28 e 29 ottobre)  Adriano Olivetti. La forza di un sogno, miniserie coprodotta  da Rai Fiction e Casanova Multimedia. Ad interpretare l’eccentrico imprenditore di Ivrea è Luca Zingaretti, sotto la regia di Michele Soavi, nipote, da parte di madre,  dello stesso Olivetti  e figlio di Giorgio, intellettuale  raffinato, poeta e giornalista (tra i fondatori de “il Giornale”), in gioventù  soldato della Repubblica Sociale Italiana,  da cui disertò, trasferendo il suo dramma interiore nel libro Un banco di nebbia.
Nel titolo della fiction, La forza di un sogno,  c’è la sintesi di una storia, quella  di chi ha provato a coniugare capitalismo e profitto con bellezza, cultura e solidarietà sociale.  Ingegnere  chimico, erede di una ricca dinastia imprenditoriale, con sede ad  Ivrea, di religione valdese, ma convertitosi al cattolicesimo nel 1949,  antifascista di orientamento azionista, ma vicino al fascismo “intellettuale”, quello di Giuseppe Bottai e dell’architettura razionalista , a cui legò i progetti del suo nuovo stabilimento,  Adriano Olivetti è, nel dopoguerra, l’imprenditore-politico che immagina  la fabbrica-mezzo, non solo dispensatrice di profitti, ma anche di cultura e di servizi, cuore della comunità, in cui realizzare un’autentica, concreta solidarietà, base di un’ idea nuova  di Stato: “Voglio  che la Olivetti non sia solo una fabbrica  – afferma  – ma un modello, uno stile di vita. Voglio che produca libertà e bellezza perché saranno libertà e bellezza a dirci come essere felici”. Ecco allora la fabbrica aperta alla luce, in cui gli orari sono ridotti ed i salari aumentati, i lavoratori vengono incentivati a studiare e a leggere, i loro figli hanno asili nido – si direbbe oggi  – “di prossimità” e l’assistenza sanitaria è gratuita.
Non è stato, quello di Olivetti, un impegno solo intellettuale e sociale. Nel 1948, proprio per dare sostanza politica alle sue analisi (è del 1945 L’ordine politico delle Comunità che va considerato la base teorica per una nuova idea dello Stato, dove accanto alla Camera politica, espressione delle comunità, ci sia anche un Senato della tecnica e delle competenze), Olivetti fonda il Movimento Comunità, con l’ambizione di costituire una terza forza, fra  la Democrazia Cristiana ed il Partito Comunista. I tempi non erano evidentemente maturi. L’idea di una politica “nuova”, al di là del capitalismo e del socialismo,  si scontrava con i “blocchi” dell’epoca e da essi venne schiacciata.  Parlando della fine  di quella esperienza , “l’Unità”, organo del Pci, scrisse, nel 1958,  di “fallimento di tutte le teorie della collaborazione di classe e delle strane elucubrazioni che attorno a Comunità si sono venute enucleando”.
Per anni su quell’esperienza e sul suo protagonista calò il silenzio. Grazie anche alla fiction con Luca Zingaretti ora è bene che il discorso venga riaperto, evitando – ci auguriamo – di fare del personaggio un innocuo santino, ma chiedendo piuttosto: nel gioco delle scomposizioni-ricomposizioni post ideologiche che ruolo può occupare Adriano Olivetti ?  Il tema del “comunitarismo” ha visto crescere, negli ultimi anni, interessi diversi, legati alle scuole d’oltreceano, che fanno capo a Alasdair MacIntyre, Charles Taylor, Michael Sandel, Robert N. Bellah, Michael Walzer.
Bisogna però anche ricordare che è stata la Nuova Destra italiana, sul finire degli Anni Settanta, a farne uno dei suoi temi distintivi. Nel primo numero di “Elementi”, uscito nell’autunno 1978, è Alain de Benoist a firmare un lungo articolo (“’Comunità’ e ‘società’”) dedicato al sociologo Ferdinand Tonnies e alle sue teorie organicistiche. Tra le immagini che integravano quell’articolo c’era anche la copertina della prima edizione  di Comunità e società, pubblicata nei classici della sociologia delle Edizioni di Comunità, le edizioni volute da Olivetti, griffate con quella campana ed il motto “Humana Civilitas” che era stato il suo simbolo politico. Una consonanza che ci piace sottolineare, invitando a leggere finalmente l’esperienza olivettiana liberi da qualsiasi schematizzazione ideologica, e cercando di  comprendere nel profondo la  “forza di un sogno”. Con in più la consapevolezza che, oggi, di tornare a sognare abbiamo tutti un grande bisogno.

domenica 20 ottobre 2013

Stanno stravolgendo lo Stato di diritto: hanno partorito un mostro giuridico


di Marcello Veneziani

Non ce ne stiamo accorgendo ma, nel giro di poche settimane, la repubblica di Napolitano e della Boldrini, del ministro Kyenge e dei volenterosi manovali del Parlamento, sta stravolgendo lo Stato di diritto e il senso della giustizia col plauso dei media.
Viene introdotto il reato di omofobia, nasce cioè un reato dedicato in esclusiva; viene introdotto il femminicidio, cioè viene stabilito che c'è un omicidio più omicidio degli altri; viene negato il reato di immigrazione clandestina e dunque la cittadinanza non ha più valore; viene introdotto il reato di negazionismo, valido solo per la shoah.
Vengono così stravolti i principi su cui si fonda ogni civiltà giuridica: l'universalità della norma che deve valere per tutti, il principio più volte sbandierato e poi di fatto calpestato, della legge uguale per tutti; viene punito col carcere il reato d'opinione, e colpendo solo certe opinioni; viene sancita la discriminazione di genere, a tutela di alcune minoranze; è vanificata l'opera del giudice nell'individuare eventuali aggravanti nei reati giudicati perché vengono indicate a priori quelle rilevanti e dunque sono suggerite pure quelle irrilevanti.
Usano l'eccezione per colpire la norma, piegano le leggi a campagne ideologico-emotive e le rendono variabili. Sfasciano la giustizia col plauso dei giustizialisti, uccidono la libertà e l'uguaglianza, il diritto e la tolleranza nel nome della libertà e dell'uguaglianza, del diritto e della tolleranza.
Un mostro. E se provi a dirlo, il mostro sei tu, a suon di legge.

sabato 19 ottobre 2013

Una grande serata con la Siria a Casaggì


Si è svolta ieri sera, come da programma, l'attesa serata per festeggiare un anno dall'apertura di Casaggì Valdichiana. Tanta gente ha partecipato, un anno dopo, a quello che è stato il primo compleanno di una realtà che in questi dodici mesi non ha mai smesso di essere sul pezzo producendo attività sociali, politiche, ludiche e culturali a tutto tondo. Per l'occasione abbiamo deciso di dare un taglio attuale alla serata, parlando della Siria. Interessanti gli interventi degli ospiti, in rappresentanza della comunità siriana e del Fronte Europeo di Solidarietà per la Siria, una presenza che ci ha onorati e istruiti sulla situazione di un popolo e di una terra che, ormai da tempo, si trovano sotto attacco costante da parte del fondamentalismo islamico e delle potenze occidentaliste. Molto interessante la proiezione dei filmati registrati in loco, a Damasco, dagli ospiti presenti: la testimonianza, in presa diretta, di una paese che va avanti, a fianco del Presidente Assad, in una lotta che i media hanno distorto e mistificato, ma che non ha mancato di unire in un solo fascio di forze tutte quelle anime del popolo che hanno a cuore la sovranità e l'indipendenza della propria terra. Un sentimento nobile, quello di essere coscienti di appartenere ad un qualcosa di più alto e di più grande della propria fazione politica: la terra dei padri, quella che va difesa senza esitazioni al momento del bisogno, ad ogni costo e contro ogni nemico. Un messaggio bello, che l'italiano medio dovrebbe imprimere nella propria mente e scolpire nel proprio cuore. Noi ne abbiamo fatto tesoro e, nel nostro piccolo, abbiamo dato un contributo alla divulgazione di un pensiero libero e oltre gli schemi. E' questo l'impegno di Casaggì Valdichiana, un avamposto di vita in un mondo di morti. Lunga vita ai nostri sogni, lunga vita alla Siria di Assad!



venerdì 18 ottobre 2013

«Crimini di guerra»: alla sbarra un ex ministro comunista in Ungheria (ma non fa notizia…)

di Girolamo Fragalà (Secolo d'Italia)

«Criminale di guerra». Ma stavolta non si tratta di un ex nazista. I riflettori sono puntati su Béla Biszku, uno dei principali responsabili della sanguinosa repressione dei patrioti di Budapest che, nell’ottobre del 1956, si ribellarono al regime comunista. Durante la rivolta – è bene ricordarlo – morirono quasi tremila ungheresi, furono migliaia i feriti e circa 250mila persone lasciarono il proprio Paese per rifugiarsi in Occidente. 

Da quel momento il sostegno alle idee del comunismo fu ridotto al lumicino. E di sicuro adesso qualche anima buona della sinistra dirà che l’attuale governo ungherese è vendicativo e magari anche fascista, perché colpisce Biszku. E proprio perché si tratta di un ex dirigente comunista, la vicenda probabilmente passerà in secondo piano e molti giornali le dedicheranno uno spazio molto ridotto. L’uomo, oggi novantaduenne, era stato arrestato a settembre dell’anno scorso, dopo che il governo conservatore di Viktor Orban aveva modificato il quadro legislativo, per perseguire le persone sospettate di rappresaglie dopo la Rivoluzione ungherese. 

Molti deputati di destra avevano, dunque, denunciato Biszku che, in un’intervista televisiva, aveva dichiarato di non aver nulla da rimproverarsi. L’uomo è accusato di crimini di guerra per due fucilazioni, una nella stazione Ovest di Budapest e un’altra al confine con la Slovacchia, che fecero 51 morti. Deve rispondere anche di “complicità in atti criminali”, per aver coperto atti di rappresaglia dopo la repressione della rivolta popolare. Rischia l’ergastolo.

Negli anni Novanta, dopo la svolta democratica in Ungheria, il primo governo eletto voleva processare gli ex dirigenti comunisti, ma la Corte costituzionale abrogò la legge relativa perché a suo giudizio i reati erano caduti in prescrizione. L’incriminazione attuale parla di “crimini di guerra”, che non cadono in prescrizione.

OGGI: "LA SIRIA AVAMPOSTO DI LIBERTA' " , DIBATTITO E PROIEZIONI A CASAGGì VALDICHIANA



"La Siria avamposto di libertà":

Da mesi, gli Stati Uniti, stanno finanziando le truppe dei cosiddetti “ribelli”, mercenari provenienti da tutto il mondo e al soldo di Al Qaeda che, unendo gli interessi del fondamentalismo islamico a quelli delle potenze occidentali, stanno cercando di destabilizzare il governo siriano presieduto da Assad. La sovranità e la libertà della Siria, paese con una posizione geopolitica strategica e con un governo legittimo, hanno subito un pericoloso attacco, che però non ha minato il consenso e la tenacia dei siriani. In queste ultime settimane, complice l’impasse dei “ribelli”, il premio nobel per la pace Obama ha deciso di intervenire direttamente, minacciando di attaccare militarmente la Siria. Gli Stati Uniti, da decenni i “guardiani del mondo”, spingono per prendere parte all’ennesima guerra. Dopo le fallimentari campagne militari nella ex Jugoslavia, in Iraq e in Afghanistan; dopo l’attacco alla Libia, dopo l’appoggio ai bombardamenti israeliani in Palestina e i tanti conflitti foraggiati sotto banco e fatti combattere ad altri, si cercano nuovi nemici. Le motivazioni, come al solito, sono buone per il cabaret: Assad è un dittatore cattivo e usa i gas contro i “ribelli”. La realtà è un’altra: l’utilizzo dei gas è stato fatto da parte dei “ribelli” e, non a caso, Assad è un Presidente che ha azzerato la disoccupazione, migliorato i servizi, rifiutato le ingerenze del Fondo Monetario Internazionale e sviluppato una politica fondata sulla sovranità, poco avvezza al servilismo verso Washington. Schierati con noi al fianco del popolo siriano, contro l’egemonia imperialista americana, per il rispetto della sovranità, della libertà e dell’identità.

A Casaggì Valdichiana verrà analizzata la situazione siriana. L'evento con dibattito e proiezioni verrà condotto da Giovanni Feola,responsabile del Fronte Europeo per la Siria - associazione nata nel 2013 che raccoglie tutti i sostenitori e simpatizzanti europei della causa siriana - e Ouday Ramadan,rappresentante della comunità siriana in Italia.

La proiezione di documentari d'eccezione servirà per meglio comprendere le dinamiche della guerra civile siriana,la condizione dei civili e l'oscurantismo dei mas media occidentali. 
Casaggì Valdichiana, nel giorno in cui festeggia il suo primo anno di attività,a partire dalle ore 18 affronterà le ragioni e le conseguenze di un conflitto che ha coinvolto l'intera Comunità internazionale.

OGGI,VENERDì 18 OTTOBRE

DALLE 18 APERITIVO
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A SEGUIRE DIBATTITO E PROIEZIONI CON OUDAY RAMADAN
E GIOVANNI FEOLA:
"LA SIRIA AVAMPOSTO DI LIBERTA' "
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CASAGGì VALDICHIANA - VIA DEL POGGIOLO 3

giovedì 17 ottobre 2013

In alto i cuori, i gagliardetti al vento...

di Mario M. Merlino (ereticamente.net)


Già Ernst von Salomon, ne I Proscritti, aveva narrato con pagine di forte impatto descrittivo l’ostilità del proletariato berlinese verso gli uomini dei diversi movimenti nazionali, Corpi Franchi o dei vari tentativi di colpo di stato. Con la Battaglia di Berlino Joseph Goebbels ci fornisce privilegiata testimonianza di quei sette anni in cui, giorno dopo giorno, si mosse e crebbe e vinse il Partito Nazionalsocialista, conquistando prima la capitale, città refrattaria e cosmopolita, e poi consegnando il potere al Fuehrer. Perché – e lo scrive appunto lo stesso futuro ministro della propaganda – chi fa sua la piazza dominerà il cuore stesso dello stato. E fu impresa epica anche perché, nella metà degli anni ’20, esso era fenomeno tipicamente bavarese. Qui era nato il Partito Operaio Tedesco e qui Hitler aveva tentato, nel novembre del ’23, il putsch di Monaco. E fu proprio Goebbels, superata la diffidenza e i contrasti con Hitler, che si adoperò, tanto simile a un missionario al servizio dell’Idea, a imporre il verbo nazionalsocialista al di fuori del bastione meridionale.
Dunque un libro di memorie d’un tempo eroico con il partito ridotto nei ranghi e diviso in interna contesa, sprezzante e ostile a farsi comandare da uno sconosciuto capo la cui origine austriaca e il risiedere a Monaco non giocavano a suo favore. (Tuttora oggi permane un certo disprezzo verso i tedeschi del Sud, i bavaresi, con accenti e ironia che ricordano tanto certe forme legate al costume intorno alla nostra ‘questione meridionale’…). Quell’essere in pochi a volere, comunque e nonostante tutto, andare oltre la miseria del presente perché i grandi sogni si vivono ad occhi aperti (lo ricordava Lawrence d’Arabia) e in strada (lo ricordava Céline), induce il dottor Goebbels a dedicare il libro, questa sorta di diario appassionato ed esaltante, ‘alla vecchia guardia berlinese’. Un doveroso omaggio perché il sangue versato – furono in 170 i caduti della Rivoluzione – l’impegno e il sacrificio quotidiano divengano lavacro purificatore e scuola di formazione per le future giovani generazioni.

(Doverosa parentesi, io credo. Le rivoluzioni nazionali del XX secolo non si lasciano ingabbiare nella prigione ideologica dove, come scriveva uno dei tanti intellettuali vittime dell’illusione e inganno comunista, si finisce per identificare una sardina con un possente cavallo da corsa. E sarebbe interessante, aggiungo io inoltre, quanto proponeva Carlo Marx, ormai in rotta con la sinistra hegeliana, in quell’opera, intitolata proprio l’Ideologia Tedesca, abbandonata dopo il decreto di espulsione nei suoi confronti dal governo francese del Guizot alla vigilia del ’48 e venuta alla luce in un polveroso baule ai primi del ‘900 all’università di Monaco. Qui essa, cioè l’ideologia, viene espressamente definita quale ‘mistificazione della realtà’, ulteriore segno del divario tra il pensiero dell’ebreo di Treviri e dei suoi estimatori. Le rivoluzioni nazionali propongono delle testimonianze, degli esempi, la stele dei ‘camerati’ caduti in combattimento sotto il piombo comunista, come avvertiva Robert Brasillach durante uno dei suoi viaggi in Germania. La dottrina nasce solo attraverso l’azione, ‘in quantità di sacrificio ed amore’ e il Fascismo italiano, tramite lo squadrismo, fu anche in questo principio).

Vi era un eroe della causa nazionale e di quella socialista: il capitano, già combattente della Grande Guerra e poi dei Corpi Franchi in Alta Slesia, Albert Leo Schlageter catturato e condannato a morte dai soldati francesi al tempo dell’occupazione della Ruhr, il 26 maggio del 1923 nei pressi di Duesseldorf. Egli era stato elevato ad eroe e martire sia dalle formazioni nazionaliste e sia dai comunisti (nella comune visione della difesa del territorio nazionale e della lotta contro le potenze del capitale tese a strozzare la Germania prostrata). 

Ad esso Goebbels seppe affiancare e farne mito principale della propaganda dei sentimenti della visione eroica della vita ben spesa per l’idea nazionalsocialista un giovane caduto proprio nella lotta per la conquista di Berlino, Horst Wessel, di anni 19, militante delle SA. E il suo nome diede il titolo a quel canto divenuto inno ufficiale dietro lo sventolio delle bandiere il rullo dei tamburi il passo cadenzato di uomini giovani e donne in marcia volti a far proprio il domani…

‘Die Fahne hoch die Reihen fest geschlossen – SA marschiert mit ruhig festem Schritt – Kam’raden die Rotfront und Reaktion erschossen – marschier’n im Geist in unsern Reihen mit’.Horst Wessel era nato nel 1907 a Bielefeld, piccola località nel cuore della foresta di Tautoburgo dove si narra che Arminio avesse sterminato tre legioni romane nell’anno 9 d.C., da padre pastore luterano e trasferito a guidare la parrocchia di San Nicola a Berlino. Nel 1926 Horst, dopo regolari studi scolastici, si iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza Friedrich Wilhelm sul viale più famoso della capitale del Reich, l’Unter den Linden.

Fin da giovanissimo egli aveva aderito a formazioni nazionaliste e con tanto ardore che la madre, timorosa per quel figlio sempre pronto a buttarsi nella mischia, l’aveva inviato a studiare a Vienna. La morte del fratello in un incidente di montagna lo riportò a Berlino e a rinnovare il suo impegno politico. L’incontro con Goebbels lo porta a divenire uno dei responsabili più attivi dei vari reparti d’assalto ( Sturmabteilung da cui SA) nella zona della centralissima Alexanderplatz, luogo di vita frenetica ove prostitute e bordelli ne rappresentavano bene il clima (più tardi la sinistra si sforzerà di gettare fango sulla sua figura insinuando come egli fosse un protettore e la sua compagna Erna come una puttana).

Fu una cellula del Fronte Rosso che decise di punire la sua attività a favore del Nazional-socialismo. La mattina del 14 gennaio 1930 un gruppo di comunisti riuscì a farsi aprire la porta di casa e gli sparò contro senza che egli avesse il tempo di mettersi in piedi e reagire, colpendolo mortalmente alla mandibola. Trasportato in ospedale l’agonia durò fino alle ore 6,30 del mattino del 23 febbraio. 

Il tempo la guerra la sconfitta la demonizzazione… a noi rimangono quei versi, quel ritmo cadenzato e severo (nel pomeriggio di quel 12 dicembre 1969, mentre le bombe scoppiavano a Milano e Roma e si predisponevano intrighi losche strategie infamia di quella stagione, ascoltavo Riccardo suonare proprio la Horst Wessellied in un arrangiamento sincopato al pianoforte…). E ci rimane l’invito a vedere quale nemico di sempre non più tanto il fronte rosso, ormai in declino e ridotto in becero antifascismo, ma quella reazione di cui la globalizzazione il potere monetario e la bandiera a stelle e strisce ne impersonano l’imperio...