mercoledì 29 aprile 2015

SERGIO RAMELLI: UNA STORIA CHE FA ANCORA PAURA...


A Sergio Ramelli, nell'anniversario della morte. Lo ricordiamo col suo sorriso, come molte fotografie ce lo dipingono e come molti amici lo ricordano. Aveva diciotto anni, ma un commando di sciacalli di Avanguardia Operaia, in nome dell'antifascismo, lo massacrò sotto casa a colpi di chiave inglese, spaccandogli il cranio, nella Milano degli "anni di piombo" dove "uccidere un fascista non è reato". Sergio rimase in coma per 47 giorni, prima di spegnersi in una fredda stanza di ospedale, coi ragazzi del Fronte della Gioventù al suo capezzale. 

Sergio fu vittima di una violenza cieca, ideologica e feroce. La violenza dell'antifascismo militante, che lo aveva preso di mira a scuola, al Liceo Molinari, dove era stato ritenuto "colpevole" di aver scritto un tema nel quale criticava l'operato delle Brigate Rosse, già responsabili del duplice omicidio di due militanti missini a Padova, Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci. Ne seguirono i "processi politici", le aggressioni verbali e fisiche, le minacce vergate sulle mura del quartiere. Fino a quando la sua foto non venne recapitata nelle mani del servizio d'ordine di Avanguardia Operaia, che decise di passare alle vie di fatto e di eliminarlo utilizzando le chiavi inglesi Hazet 36, purtroppo assai in voga in quei terribili giorni. 

Al suo funerale, partecipato da molti attivisti della destra politica, si cercò di vietare il corteo funebre, mentre nel consiglio comunale milanese la notizia della sua morte venne accolta con un applauso corale, come nel peggiore degli incubi. Qualche anno più tardi venne scoperto il covo di via Bligny. a Milano, dove fu rinvenuto un vero e proprio archivio tenuto segreto per decenni dalla sinistra extraparlamentare milanese, che aveva schedato e colpito decine di attivisti di destra, magistrati, poliziotti, politici e personalità ritenute scomode. Il processo per l'omicidio Ramelli si concluse con condanne ridicole, con pene abbreviate e con assassini rilasciati dopo pochi anni di carcerazione. 

Nel primo anniversario della morte di Sergio, il 29 aprile del 1976, Prima Linea "festeggiò" con un altro omicidio, quello di Enrico Pedenovi, consigliere del Msi milanese. Lo ricordiamo, assieme a tutte le vittime di quella stagione di sangue e di odio. 

Mai più infamia, mai più antifascismo. 
SERGIO ED ENRICO PRESENTI!

martedì 28 aprile 2015

Milano torna agli anni di piombo: colpite librerie e centri di destra

 di Matteo Carnieleto (Il Giornale)

La sinistra milanese non conosce rispetto. Sono, questi, giorni importanti per la destra meneghina. Domani, infatti, verranno commemorati Sergio Ramelli, Enrico Pedenovi e Carlo Borsani, tutti barbaramenti uccisi da uomini di estrema sinistra.
Nella notte, dopo l'incontro Divide et impera: Milano Burning, le radici dell'odio, sulla morte di Sergio Ramelli, sono stati colpiti alcuni importanti centri della Destra milanese. La libreria Ritter, uno dei più importanti centri della destra meneghina, è stata data alle fiamme. Le vetrine sono andate in frantumi, sono tutte da tappezzare, come ci racconta il proprietario. A causa dell'incendio, i condomini del palazzo che ospita la libreria sono stati evacuati.
Anche la sede dell'Ugl di via Aosta 13 è stata colpita questa notte. Come si legge nel sito: "Tra le ipotesi, le posizioni assunte dalla federazione su Expo in merito alle inefficienze relative alla sicurezza".
La sede di Forza Nuova Milano Sud è stata imbrattata con della vernice e le sono state divelte finestre e imposte. Attualmente, i ragazzi di Forza Nuova stanno aspettando gli artificieri perché nella sede del locale è ancora presente un tubo inesploso.
 

venerdì 24 aprile 2015

La “Festa della Liberazione” ha 70 anni. E li dimostra tutti

La “Festa della Liberazione” ha 70 anni. E li dimostra tutti
di Lando Chiarini (Il Secolo d'Italia)


Un 25 Aprile all’insegna della massima mobilitazione mediatica, ma anche dei veti, delle ripicche e delle esclusioni. Se ancora fino a qualche tempo fa tali celebrazioni servivano a diffondere e a rafforzare la religione civile della “Liberazione“, sul cui culto poggiava la retorica dell’Italia “nata dalla Resistenza“, oggi, a settant’anni di distanza, le stesse non riescono a trasmettere altro che il senso di una festicciola di partito, e per di più, impastata di polemiche.
Emblematico è il caso di Alessandria, il cui sindaco Maria Rita Rossa, “piddina” di confessione renziana, si è vista categoricamente bocciare dall’Anpi la proposta di affidare ad un ministro (Orlando, Boschi, Pinotti) l’orazione ufficiale. Niente da fare. Ufficialmente, perché alle celebrazioni non partecipano i membri del governo. In realtà, perché gli uomini (e le donne) di Renzi non risultano graditi all’associazione dei partigiani. Diversamente da Sergio Cofferati, il cui nome è stato fulmineamente rispedito al mittente dal sindaco, che lo ha bollato come una provocazione: «Ha denunciato il partito dopo aver perso le primarie». A sua volta l’ex-leader della Cgil ha controreplicato in un crescendo rossiniano di dichiarazioni e prese di posizioni il cui interesse è davvero pari a zero.
La “baruffa alessandrina” non stupisce più di tanto. Anzi, da un certo punto di vista rappresenta lo scontato epilogo di una ricorrenza mai stata veramente di tutti. Non lo è stata per gli italiani del Sud, “liberati” solo dalle truppe americane sbarcate in tutta libertà in Sicilia con l’appoggio dei mafiosi costretti dal regime di Mussolini ad espatriare negli Stati Uniti. Non lo è stata per quegli italiani del cosiddetto “triangolo della morte” – non necessariamente fascisti, anzi – per i quali la guerra cominciò nel momento in cui finiva per tutti gli altri. Non lo è stata, infine, per quella generazione di giovani che si arruolò dall’altra parte per servire la nazione più che la fazione. Sono aspetti arcinoti, ma ignorati da ben 70 anni. È esattamente da allora che la Resistenza è una festa di parte. Per renderla davvero nazionale e patriottica sarebbe servita una grande e coraggiosa “operazione verità”. È accaduto l’esatto contrario e chi, come Gianpaolo Pansa, ha cercato da sinistra di avviarla, si è ritrovato insultato e isolato dal “culturame” ufficiale. Tutto normale in un’Italia, unica nazione al mondo in cui si festeggia la tragedia della guerra civile. È proprio questo, del resto, il frutto avvelenato della retorica partigiana del 25 Aprile imposta dal Pci. Nessuna meraviglia, dunque, se siano oggi i suoi eredi nel Pd ad usare la “Liberazione” per regolare i conti al proprio interno.

lunedì 20 aprile 2015

Accame: “Da Malaparte a Pound, da Brasillach a Drieu: le mie letture ribelli”

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 Di Gabriele Marconi (Barbadillo.it)


Ecco la prima chiacchierata sui “Miti fondanti”. Quando pubblicammo su Area questa rubrica, alcuni anni fa, decisi di cominciare il ciclo d’incontri con Giano Accame, uno dei motori più brillanti della nostra rivista, il più anziano e, al tempo stesso, il più giovane di tutti noi. Ed è a lui – morto un anno e mezzo fa -, amico carissimo e maestro indimenticabile, che voglio dedicare la ripubblicazione di queste pagine.
 Il primo incontro è con Giano Accame, giornalista e saggista di lungo corso, autore del recente Una storia della repubblica. Accame fa risalire la prima pietruzza del suo personale mosaico «all’annuncio dell’Impero, nel maggio del ’36, quando frequentavo le scuole elementari. Un paio d’anni dopo quelle atmosfere vennero esaltate dai film “africani”…».
Ricordi i titoli?
Luciano Serra pilota, di Alessandrini, con Amedeo Nazzari, poi Sentinelle di bronzo, mi sembra di Romolo Marcellini, sui dubat, le nostre truppe coloniali; li ricordo perché sono legati appunto all’idea dell’Impero, dell’espansione italiana che tanto mi avevano colpito da bambino… erano gli anni in cui, vicino al Colosseo, insieme alle carte geografiche dell’espansione romana, se ne aggiungeva una con la nuova espansione italiana… c’era l’illusione del nuovo impero di Roma… l’idea di grandezza, insomma. E naturalmente il fascino dell’Africa. Ho il ricordo delle camicie nere a La Spezia: noi balilla assistemmo al loro ritorno. Portavano i caschi coloniali, un accessorio buffo che in tutti i viaggi che poi ho fatto da giornalista inviato (anni ’60-’70), in Angola, Mozambico, Nigeria, non ho mai più visto… I legionari portavano dall’Africa chi una lancia, chi uno scudo, chi addirittura una scimmietta sulla spalla… sembrava di veder vivere i romanzi di Salgari, no? L’avventura si fondeva alla storia.
E li leggevi, in quel periodo?
I libri di Salgari? Sì, certo, ma soprattutto Luigi Motta, che mi piaceva di più… allora era conosciuto forse più di lui.
Ma parlavano dell’Oriente o proprio dell’Africa?
Boh, adesso non ricordo esattamente… Avventure esotiche, comunque, e poi nella fantasia dei ragazzi si faceva un tutt’uno: Mompracem chissà dov’era… per noi poteva essere anche dalle parti di Mogadiscio! Un’altra “impressione” forte della mia infanzia fu il Museo navale, all’Arsenale di La Spezia. Anche perché ero figlio di un ufficiale di Marina, nipote di un ammiraglio… ero destinato a seguirne la strada, pur senza una particolare vocazione, come era successo sempre in famiglia: il Museo Navale era il luogo dei miei sogni per l’avvenire, insomma.
Poi la guerra, che sfiorasti soltanto, arruolandoti un giorno prima della fine, nella Rsi.
E vennero I proscritti, di Ernst von Salomon, avrò avuto diciotto, diciannove anni, più o meno nel ’46.
E dov’è che vendevano un libro del genere, in quel periodo?
Lo trovai su una bancarella, credo fosse la vecchia edizione Einaudi, quella con la copertina di Guttuso. Con sottile e perfida intelligenza, Einaudi decise di pubblicare proprio nel ’43 libri idealmente molto schierati, ma che già suggerivano l’idea della sconfitta: non per niente, uno fu L’Alfiere, di Carlo Alianello, nel quale un soldato borbonico vede morire il Regno delle Due Sicilie, l’altro, quello di von Salomon, raccontava le vicende dei “corpi franchi”, i tedeschi che in qualche modo si ribellavano alla sconfitta della Prima guerra mondiale. Per me era rappresentativo dei sentimenti di rivolta di quelli della mia generazione, gente come Fabio De Felice, Fausto Gianfranceschi, Enzo Erra… che si ribellavano alla sconfitta con la politica attiva.
E il Movimento sociale italiano venne fondato il 26 dicembre ’46…
Infatti, ma io cominciavo a far politica qualche mese prima, con il Fronte degli italiani, che era nato intorno a Rivolta ideale, il settimanale di Tonelli. Quando poi venne fondato l’Msi, gli iscritti del Fronte furono automaticamente accorpati nel nuovo movimento.
Il partito curava la formazione?
Ci pensò Carlo Costamagna, il grande giurista fascista (aveva scritto la Carta del Lavoro) poi tra i fondatori del Msi. Proprio lui, credo nel ’48, mi passò Rivolta contro il mondo moderno, nell’edizione Bocca.
Ed ecco Evola…
Rivolta mi “curò” dalla delusione e dall’irritazione che avevo provato alla prima lettura di Gentile, Genesi e struttura della società… mi ero incagliato nel primo paragrafo, intitolato “Disciplina”: quel linguaggio, quel gergo dell’idealismo, mi sembrava troppo complicato. Con Evola ho trovato una lettura più semplice.
Sembra una battuta!
È che forse ero più predisposto a ricevere il messaggio tradizionale di Evola che non quello filosofico di Gentile. Insomma quei due libri, I proscritti e Rivolta contro il mondo moderno furono fondamentali per i miei anni giovanili. Certo, poi naturalmente c’erano i testi più facili di Evola, quasi dei manuali di reclutamento per la corrente dei “Figli del sole”: Orientamenti e Gli uomini e le rovine, letture da cui poi mi sono anche un po’ allontanato, ma sono quelle che hanno avuto l’effetto più formativo.
Non hai più parlato di film.
E be’, parlando di eventi formativi, quanto a film mi fermo a quelli che ho ricordato prima.
Anche semplicemente “importanti”… indimenticabili, ecco.
Allora Casablanca, con Bogart.
Perché Casablanca?
E chi lo sa! Forse perché mi piaceva la Bergman. So di certo, però, che mi colpivano molto i film sulla vittoria degli altri.
Dove ti colpivano?
Mi si torcevano le budella dall’invidia… sentivo che questa era la grande cosa che nella vita mi era mancata: la vittoria dell’Italia in guerra, insomma. Ero abituato, fin da bambino, a considerare l’Italia vittoriosa… ero cresciuto avendo alle spalle la Grande guerra, le celebrazioni della vittoria, e poi la conquista dell’Impero, la Guerra di Spagna… Sì, questa cosa mi è mancata tutta la vita.
Adesso ti faccio una domanda retorica, visto che già conosco la risposta: c’è stato un libro che ha evidenziato questi tuoi sentimenti?
La pelle di Malaparte, che ho letto come un doloroso racconto “fascista” su che schifo era stata la liberazione, con gli americani che sfruttavano in maniera vergognosa la fame degli italiani. Malaparte, che aveva seguito le truppe Alleate come ufficiale di collegamento, ne poté parlare con una libertà assoluta. E nel buio terribile del dolore e dell’umiliazione dell’Italia liberata, si illumina di orgoglio soltanto nelle pagine che parlano dei “franchi tiratori” fiorentini fucilati dai partigiani.
«Li ammazzano perché gridano viva il duce»… «No, gridano viva il duce perché li ammazzano».
Sì, Malaparte, che già si diceva antifascista e che di lì a poco avrebbe preso la tessera del Pci, non riusciva a nascondere lo schifo per l’arroganza e l’inciviltà degli americani e l’ammirazione per quei ragazzini di Firenze che non volevano starci, a perdere la dignità. Lo lessi prima che uscisse in Italia: veniva pubblicato a puntate, su un giornale francese che mi portava mio padre… lui era ingegnere navale, e non potendo lavorare in Italia, perché personaggio non gradito, era costretto a lavorare in Africa, prima in Cirenaica e poi in Algeria, dove comprava questa rivista, di cui non ricordo il nome.
E Rivolta contro il mondo moderno si inserisce idealmente qua. Ma poi, come dicevi prima, ti sei un po’ allontanato da Evola: per approdare dove?
A Il borghese, di Werner Sombart… ad interessi di carattere economico e sociale.
Siamo negli anni…
Direi il ’60 o ’61. Il borghese, dicevo, poi Il tramonto dell’Occidente, di Spengler: la rivolta all’economicismo, il rifiuto dell’economia come destino, quando quel destino si rivelava incombente. È stato un po’ come liberarsi dallo snobismo evoliano, che ha portato tutta una generazione a non occuparsi di economia… come si diceva nei Promessi sposi, «scostati, vile meccanico», no? Accanto ai nuovi interessi, però, continuavano ad affascinarmi gli scrittori in qualche modo legati al fascismo… Amavo soprattutto i francesi, La Rochelle e Brasillach, avevo una grande passione per loro.
Come arrivarono nelle tue mani?
Tutto cominciò dalla lettura di Romanticismo fascista, di Paul Serrand, che poi sono andato a conoscere in Francia.
E cosa ti smuovevano libri come L’uomo a cavallo o Sette colori?
La concezione eroica dell’esistenza, la gioia fascista del cameratismo e dell’attesa del combattimento.
Ancora non ti ho sentito parlare di Ezra Pound.
Ma è perché l’ho davvero scoperto molto tardi. Avevo comprato nel ’57, ’58 i Canti pisani… erano appena usciti… trovandoli difficili e astrusi: la prima reazione è stata quella di rigetto. Insomma, gli davo ragione quando diceva che «la Bellezza è difficile».
E il recupero?
Nei primi anni Ottanta, quando facevo il giornalista economico al Fiorino, e Antonio Pantano (forse il maggior collezionista del grande poeta americano), nel primo decennale della morte mi commissionò un saggio su Pound economista, da inserire in un libro collettaneo. Mi sono dovuto impegnare a leggerlo a fondo, e da allora ho capito che avevo sbagliato per pigrizia, nel rifiutarlo al primo impatto.
Tanto da pubblicare, dopo una decina d’anni, un libro con lo stesso titolo, e un paio d’anni fa, sempre in tema di analisi poundiana, Il potere del denaro svuota le democrazie.
Sì, per Settimo Sigillo, con cui ho pubblicato buona parte delle mie cose.
Quindi Pound, nella maturità.
Diciamo pure nell’ultimo tratto…

giovedì 16 aprile 2015

Il rogo di Primavalle il 16 aprile 1973 e la morte dei fratelli Mattei



http://newsgo.it/wp-content/uploads/2015/04/il-rogo-di-Primavalle.jpg

 di Giulia Mammolotti (newsgo.it)

Erano gli anni di Piombo, quelli ricordati come un periodo buoi della storia nazionale post Seconda guerra mondiale: attentati, violenza e omicidi. Tutto in nome di un’ideologia, di uno scontro tra fazioni politiche. La notte del 16 aprile 1973 quando diversi militanti del gruppo extraparlamentare di sinistra Potere Operaio (Achille Lollo, Marino Clavo e Manlio Grillo) versarono diversi litri di benzina sulla porta di casa di Mario Mattei, il segretario della sezione del Movimento Sociale Italiano del quartiere Primavalle, nella periferia capitolina.
Immediatamente divampò l’incendio e l’appartamento andò a fuoco. Al suo interno c’era la famiglia Mattei, composta dalla madre Anna Maria, le figlie Antonella, Lucia e Silvia, i figli Giampaolo, Virgilio e Stefano e il padre Mario. La madre riuscì a fuggire dalla porta di casa insieme ai figli Antonella e Giampaolo (9 e 3 anni); Lucia (15 anni) si buttò dal balcone del secondo piano aiutata dal padre; Silvia (19 anni) si gettò dalla veranda e riportò solo qualche frattura, Sorte diversa toccò ai fratelli Virgilio e Stefano (22 e 8 anni), che morirono carbonizzati nel rogo di Primavalle. I due non riuscirono a gettarsi dalla finestra e la gente, insieme alla famiglia, assistette incredula alla tragedia.
Nel cortile uno striscione: “Brigata Tanas – guerra di classe – Morte ai fascisti – la sede del MSI – Mattei e Schiavoncino colpiti dalla giustizia proletaria“.
Le indagini sul rogo di Primavalle portaro a porre particolare attenzione nei confronti di alcuni esponenti di movimenti collegati al Potere Operaio, che replicò repentinamente parlando di una montatura creata ad arte, “il risultato di un meccanismo di provocazione premeditato a lungo e ad alto livello, tipo «strage di stato», «Primavalle» è piuttosto una trama costruita affannosamente, a «caldo» da polizia e magistratura, un modo di sfruttare un’occasione per trasformare un “banale incidente” o un oscuro episodio – “nato e sviluppatosi nel vermiciaio della sezione fascista del quartiere”. Due giorni dopo Achille Lollo fu arrestato e, insieme agli altri due imputati, fu rinviato a giudizio.
Ma non tutti andarono contro quelli che erano ritenuti i presunti responsabili del rogo di Primavalle e ben presto si scatenò l’opinione pubblica: vari i giornali e gli intellettuali che si schierarono dalla loro parte. Durante il processo ci furono anche delle manifestazioni per chiedere il loro proscioglimento. Durante il processo di primo grado si ipotizzò la strage e l’accus chiese l’ergastolo per i tre imputati, ma di fatto vennero assolti per mancanza di prove. Nel processo di secondo grado furono condannati a 18 anni di carcere per omicidio premeditato, ma Achille Lollo fuggì in Sud America, mentre Manlio Grillo fuggì in Nicaragua e di Marino Clavo si persero le tracce.
Dopo la prescrizione, la famiglia Mattei, in anni più recenti, la Procura di Roma ha chiesto la riapertura del caso grazie a informazioni ottenute dagli stessi imputati, che hanno permesso di ipotizzare il reato di strage. Nel 2005 la famiglia Mattei ha denunciato Lanfranco Pace, Valerio Morucci e Franco Piperno come mandanti dell’attentato e lo stesso Lollo confessò la responsabilità nel 2005, affermando però di non aver materialmente incendiato la porta: “Non volevamo provocare l’incendio, né uccidere. Doveva essere un’azione dimostrativa, come altre che avevamo fatto contro i fascisti a Primavalle. Ma al momento di montare l’innesco, mi si ruppe il preservativo… La Lilli, così si chiamava all’epoca la bomba artigianale, si costruiva con una tanica, un po’ di benzina — due o tre litri — e i due preservativi servivano per l’acido solforico, il diserbante e lo zucchero. L’innesco doveva far esplodere i gas della benzina. Se tutto avesse funzionato, avremmo provocato un botto e annerito la porta dell’appartamento. Invece io sbaglio, l’acido mi cola tra le mani e scappiamo, lasciando la tanica inesplosa. Da quel giorno ho il dubbio su cosa sia davvero successo dopo. Non abbiamo mai pensato di far scivolare la benzina sotto la porta per dar fuoco all’appartamento. Mai. Tutte le perizie ci hanno dato ragione, tra l’altro“.
Ma il rogo di Primavalle continua a bruciare anche oggi dato che i mandanti e i responsabili sono a piede libero o latitanti.

mercoledì 15 aprile 2015





SCHIERATI CON NOI!
Nel mese di febbraio la disoccupazione giovanile ha toccato la soglia record del 42,6%, ciò vuol dire che domani se il tuo compagno di banco avrà un lavoro molto probabilmente tu sarai un disoccupato!
La crisi economica, insieme all’immigrazione incontrollata e alla perdita dei valori su cui poggiava la nostra società stanno portando alla rovina l’Italia. Mentre tutto va rotoli e le famiglie italiane fanno fatica ad arrivare a fine mese Renzi pensa a farsi i selfie e a distribuire 80 euro per garantirsi il voto alle elezioni.
Ti hanno detto che sei un bamboccione, che non te ne vai fuori di casa perché non ti vuoi responsabilizzare. In realtà sono questi politicanti da quattro soldi che ti tolgono la possibilità di essere indipendente e di avere un futuro.
Non è più il momento di far finta di nulla, noi ti diamo la possibilità di far sentire la tua voce e di combattere per il tuo futuro!