sabato 9 luglio 2016

Lezione di sovranità da Ungheria: sui migranti voterà il popolo


da: azionetradizionale.com

Brexit? Forse solo l’inizio di un effetto valanga e, forse, dai risvolti anche positivi. Lo ha capito il premier Orban che, per il 2 ottobre prossimo, ha convocato un referendum per chiedere al popolo ungherese se vuole o meno gli immigrati redistribuiti dalla UE sul suo territorio. Una bella lezione di “democrazia” da parte di chi “democratico” non è.

(www.repubblica.it) – Dopo la vittoria del leave al referendum britannico sul Brexit, un’altra consultazione popolare si annuncia in un paese membro della Ue e della Nato, l’Ungheria. E sarà un difficile e importante test della “voglia d’Europa” nelle opinioni pubbliche dell’Unione. Il capo dello Stato ungherese, Jànos Ader, ha formalmente comunicato oggi che è stata scelta la data del 2 ottobre per il referendum in cui i cittadini magiari saranno chiamati a dire se accettano o no una ripartizione di quote di profughi e migranti decisa dall’esecutivo europeo.

Vista la forte paura verso l’immigrazione – specie dopo la grande ondata dell’estate scorsa, e la costruzione della barriera di filo spinato alla frontiera serba, poi prolungata a quella croata – e considerata l’altissima popolarità e il carisma del premier nazionalconservatore Viktor Orbàn, ideatore della consultazione, una vittoria del no sembra quasi scontata.

Ecco la domanda che i cittadini leggeranno sulla scheda elettorale del referendum: “Volete che l’Unione europea, anche senza consultare il Parlamento ungherese, prescriva l’immigrazione in Ungheria di persone che non sono cittadini ungheresi?”. Da tempo Orbàn si è detto assolutamente contrario alla politica europea della ripartizione in quote, e in questa sua linea dura trova il consenso della grande maggioranza del Paese. Sulla stessa posizione lo hanno seguito gli altri tre Paesi del centroest europeo membri di Ue e Nato, cioè Cèchia, Polonia e Slovacchia, membri insieme all’Ungheria del “Gruppo di Viségrad”. Il Gruppo di Viségrad, organo di cooperazione regionale di quei 4 paesi, tutti Stati dove le dittature comuniste finirono con la svolta del 1989, sta diventando sempre più un’alleanza del fronte della fermezza dell’Est di Unione e Alleanza contro i profughi. Una posizione che non esita a scontrarsi con quelle di Bruxelles (intesa come Ue), Roma, Berlino o Parigi. 

Nel settembre scorso, la Ue aveva deciso di ripartire in altri Paesi per quote 160mila profughi da Italia e Grecia, aree di transito sovraffollate. Secondo i piani di Bruxelles l’Ungheria avrebbe dovuto accoglierne 2300 circa, ma il premier magiaro, col paese alle spalle che lo appoggia, si è subito opposto, e in dicembre ha sporto denuncia alla Corte europea di giustizia contro l’idea dei contingenti di profughi e migranti da ripartire. Da allora, egli aveva cominciato a parlare di referendum. L’Unione europea, ha dichiarato più volte Orbàn, “non può permettersi di prendere decisioni alle spalle dei popoli e contro la volontà dei popoli ,decisioni che cambiano la vita dei popoli e delle loro generazioni future”.

La linea di Orbàn – che di fatto a causa del dibattito sul problema dei migranti è cresciuto come vero statista-leader del centroest euro minimalista – è criticata da Commissione e Parlamento europeo, e un compromesso non appare in vista. Il governo di maggioranza ungherese, con due forti vittorie elettorali alle spalle (201 e 2014) e di fronte a sé un’opposizione debole, spesso divisa e priva di creatività politica, è in generale contrario a un’eccessiva, accentuata integrazione politica europea, difende competenze e poteri degli Stati nazionali. E ha commentato con dispiacere la decisione degli elettori inglesi di abbandonare la Ue, notando che “il voto del Regno Unito mostra quali rischi l’Europa corre quando non ascolta i popoli”. Rammarico ben comprensibile: per Budapest, come per Varsavia, Londra in generale eurominimalista era di gran lunga il più importante alleato nella Ue. 

Contemporaneamente, l’Ungheria ha annunciato che da oggi entra in vigore per gli immigranti illegali la procedura di espulsione immediata, cioè senza che l’espulsione stessa sia preceduta da un esame di eventuali richieste d’asilo. Da oggi, chiunque sarà scoperto dopo un ingresso illegale nell’arco di otto chilometri entro le frontiere ungheresi sarà immediatamente ricondotto dalle forze di sicurezza ai reticolati che blindano l’Ungheria ai confini con la Serbia e la Corazia. Lo ha annunciato Gyoergy Bakondi, consigliere per la sicurezza interna del capo del governo, spiegando che il Parlamento ungherese (Orszaghàz), dove la Fidesz (il partito guidato da Orbàn) ha posizione di forza prominente, ha già approvato la decisione. Secondo il premier si tratta di decidere sull’indipendenza del Paese e sul suo diritto di scegliere con chi convivere.

venerdì 8 luglio 2016

Gli iracheni sbaragliano l’ISIS, ma la stampa italiana attribuisce tutto agli Stati Uniti


da: l'Opinione Pubblica

In Iraq gli esperti del Pentagono hanno ripetuto per settimane che la presa di Fallujah sarebbe stata operazione lentissima, faticosa e oltremodo sanguinosa. Secondo le stime degli esperti militari la popolazione civile di confessione sunnita si sarebbe schierata con l’ISIS o con le milizie sciite addestrate dall’Iran che si sarebbero abbandonate a vendette e saccheggi.

Niente di questo è successo, Fallujah è tornata in mano irachena rapidamente con la popolazione civile che ovunque abbia potuto si è data alla fuga e ha fornito informazioni utili alle milizie che liberavano la città.

Ma esiste, purtroppo una stampa italiana che ha serie difficoltà quando si tratta di riconoscere meriti a potenze in ascesa come la Russia. Infatti se le milizie del paese invaso dall’ISIS riescono ad avanzare velocemente su alcuni fronti, bisogna ringraziare soprattutto la tecnologia e gli equipaggiamenti di marca russa cui sono forniti. Invece i continui bombardamenti di apparecchi ad ala fissa e mobile con cui l’Aviazione Irachena, equipaggiata in massima parte con macchine russe, ha distrutto le colonne dei terroristi in fuga da Fallujah e dintorni, sono stati immediatamente attribuiti all’Aeronautica Usa, quella che, lo ricordiamo, all’apice della sua campagna anti-ISIS compiva sei missioni al giorno, spesso sbagliando bersaglio e colpendo gli irakeni o lanciando munizioni e rifornimenti sulle posizioni del Califfato.

Gli Usa, ricordiamolo, finora hanno fornito all’Iraq solo quattro F-16, e hanno nicchiato talmente tanto sulla vendita degli elicotteri d’attacco “Apache” da esasperare Nouri al-Maliki (all’epoca Premier irakeno) spingendolo a rivolgersi a Mosca, che prontamente ha fornito elicotteri Mi-35 e soprattutto Mi-28, i “Cacciatori della Notte” dotati di cannoncino da 30mm, 16 missili anticarro e pod di razzi da 80 o 122mm.

Gli Usa, nonostante i loro proclami roboanti, non hanno mai preso nessuna risoluta iniziativa contro l’ISIS, forse sperando che l’orda di Al-Baghdadi riuscisse a spaccare la Mesopotamia lungo linee etniche e a togliere le leve del potere statale alla maggioranza sciita della popolazione e ai partiti politici che ne sono espressione.

giovedì 7 luglio 2016

De Benoist: “Il patriottismo? Amare i propri non significa odiare gli altri”

di Nicolas Gauthier (barbadillo.it)




Per alcuni partiti politici l’unica linea di frattura è tra i “nostri” e gli “altri”. Non è un concetto un po’ smilzo?


“Soprattutto, è equivoco. Si vuol dire che per principio è sempre legittimo preferire i “nostri” o che, rispetto agli “altri”, i “nostri” hanno sempre ragione? Il vecchio principio “my country, right or wrong” è spesso mal interpretato. Non significa affatto che si debba dare ragione al proprio paese anche quando ha torto ma che, anche quando ha torto, resta il proprio paese: non è lo stesso.


Per ammettere, inoltre, che il proprio paese possa avere torto, bisogna disporre di un criterio di giudizio che vada al di là della sola propria appartenenza. In mancanza di tale criterio, la verità si riduce all’appartenenza, cioè alla mera soggettività. E’ la concezione sviluppata da Trotsky ne “La loro morale e la nostra” (1938). Non è la mia. Sulla preferenza, invece, non ho obiezioni. L’appartenenza comune alimenta, non solo nell’uomo ma anche negli altri animali, un sentimento naturale che porta a preferire quelli che ci sono più vicini, che ci somigliano e che possono riconoscerci. Non ne segue che dobbiamo detestare gli altri. In genere, un uomo preferisce i suoi figli ai figli degli altri. Se suo figlio sta annegando assieme a uno dei suoi compagni, cercherà di salvare per primo suo figlio. Ci sono, certo, eccezioni, a volte giustificate, ma confermano la regola.


Nondimeno il patriottismo è diventato oggi, agli occhi di molti, un’idea vetusta, degna di quella “Francia appassita” stigmatizzata a suo tempo da Philippe Sollers. Come si è arrivati a ciò?


“ottima domanda. Lattanzio, soprannominato “Il Cicerone cristiano”, diceva agli inizi del IV secolo che “l’attaccamento alla patria è, nell’essenza, un sentimento ostile e malevolo”. Pare aver fatto scuola. Ma come si è giunti a demonizzare il sentimento naturale di preferenza per i propri? Cerco di abbozzare una risposta. Sull’onda dell’ideologia del progresso, dapprima si è squalificato il passato per il solo motivo che la modernità attribuisce più valore al presente che al passato. Il passato, portatore di valori e di esempi superati, non ha quindi più niente da dirci. Al peggio è un errore, al meglio un annuncio imperfetto delle categorie moderne. Poi le grandi ideologie universaliste ci hanno convinti in primo luogo che tutti gli uomini sono ovunque gli stessi, poi che fra quelli identici ce ne sono comunque alcuni peggiori degli altri: gli europei. Questa convinzione ha spalancato le porte del pentimento: bisogna pentirsi, se non scusarsi di esistere. Amore dell’altro, odio di sé. Un debito infinito verso il resto del mondo, la redenzione tramite l’immigrazione. Come scrive Francois Bousquet, “il maggioritario è tre volte colpevole: in quanto maschio (processo per misoginia), in quanto eterosessuale (processo per omofobia), in quanto bianco (processo per razzismo)”. Ci si è anche impegnati a screditare tutto ciò che appartiene all’ordine della natura, dell’ancoraggio o del radicamento. Yann Moix dichiara fieramente che “la nascita non può essere biologica”, perché nascere “è affrancarsi dai propri geni”, cosa di cui è capace solo “chi preferisce gli orfani ai figli di famiglia, gli adottati ai programmati, i fuggiaschi ai successori, le devianze alle discendenze”. Il filosofo Ruwen Ogien scrive: “Si pone il problema di capire perché una donna dovrebbe preferire i propri figli a quelli del vicino, per il semplice fatto che sono biologicamente i suoi, quando tutti hanno lo stesso valore morale in quanto persone umane”. Infine, si è desacralizzato. Anche se alla fine è stato annullato, l’invito rivolto al rapper Black M di venire a cantare a Verdun rientra in questo quadro (Prokofiev a Palmira, Black M a Verdun, due mondi). Ancor più notevole sono le parole pronunciate da Najat Vallaud-Belkacem per giustificare che si possa ancora cantare la Marsigliese: “La Marsigliese è un inno nazionale rivolto all’universale. Il suo posto nella nostra scuole è dunque molteplice, diverso e vario. Si basa sulla voce, lo strumento più democratico che ci sia. Questo ordito di imbecillità esprime una vera contorsione mentale. Nello stesso spirito ci si impegna a rappresentare le opere di Wagner con messe in scena grottesche, per screditare il contenuto ideologico del libretto”.


L’antirazzismo ha svolto un ruolo…


“Il razzismo di cui oggi si parla non ha nulla a cui vedere con le razze. Il termine è diventato un comodo operatore che consente di stigmatizzare ogni critica rivolta a minoranza le cui rivendicazioni si esprimono nel linguaggio dei diritti onde mettere la maggioranza in imbarazzo e renderla estranea a se stessa. Dalla battuta alla “molestia”, tutto ciò che può essere percepito come sgradevole, spiacevole, umiliante, offensivo da questo o quell’individuo a causa della sua appartenenza a questo o quel gruppo, è considerato “razzismo”. Non si nasconde, del resto, che anche una definizione oggettiva del razzismo sarebbe discriminazione: “un atteggiamento percepito come razzista da una persona “razzistizzata” deve essere considerato tale senza discutere. Sono legittimate a definire il razzismo di una situazione solo le persone “razzizzate” in causa”, si è potuto leggere in un testo recente. In parallelo , al cinema i film di fantascienza hanno preso il posto dei western, perché solo con gli extraterrestri si può immaginare una lotta senza quartiere senza “discriminare”. Il razzismo ha finito così per raggruppare tutte le “fobie” nei cui confronti sensibilità esasperate esigono risposte istituzionali e giudiziarie. La legge è chiamata più che mai a consacrare il sentimento o il desiderio. Ritroviamo, qui, i disastri causati dalla soggettività. la figura del nomade, dell’individuo estraneo al suolo, disincarnato, che non è “determinato” da alcunché e si crea liberamente da solo si è imposta a poco a poco, mentre la “società aperta” si imponeva come l’insuperabile orizzonte del nostro tempo”.