domenica 20 dicembre 2015

CASAGGì IN CORTEO: PRIMA GLI ITALIANI!












Il sogno si è avverato: tantissime persone hanno risposto all’appello di Casaggì e Fratelli d’Italia, con Gioventù Nazionale, sfilando per le strade di Firenze al grido di PRIMA GLI ITALIANI.

Una grande mobilitazione identitaria che ha centrato l’obiettivo: rappresentare il dissenso popolare e portarlo nelle strade, per lanciare un forte messaggio al governo Renzi nella città del Premier. Il riscatto dei tantissimi italiani che il buonismo ipocrita ha lasciato indietro: una maggioranza silenziosa e stanca, composta dai tanti lavoratori che mantengono in piedi questo sistema con le proprie tasse e si vedono scavalcati nelle graduatorie per le case popolari da chi è arrivato in Italia pochi mesi prima, dalle tante famiglie indigenti che si sacrificano silenziosamente per sbarcare il lunario, dai pensionati senza più una dignità, dai residenti di quelle periferie che stanno subendo la crisi economica e la violenza di un immigrazione incontrollata che viene pagata soltanto dagli ultimi, mentre la classe politica al governo continua a sistemare gli amici degli amici nella peggiore tradizione del clientelismo italiano.

Un messaggio chiaro al governo del “Boldrini-pensiero”: per una chiusura immediata delle frontiere e l’utilizzo della nostra Marina Militare per il presidio dei confini; contro il business milionario dell’accoglienza, che sta alimentando questo traffico disumano di persone; per una politica estera che intervenga nei paesi di origine con accordi e scelte forti che possano prevenire gli esodi; contro lo Ius Soli e la cittadinanza rapida; per la reintroduzione del reato di immigrazione clandestina e l’attuazione di un piano legislativo che consenta alle forze dell’ordine di intervenire e rimpatriare; contro quella elite politica, capeggiata dal Pd, che incarna uno spirito anti-nazionale incapace di rilanciare il paese, sempre attento alle ingiustizie che avvengono dall’altra parte del mondo, ma incapace di salvaguardare i nostri anziani, i nostri esodati, le nostre partite iva e i nostri cittadini. 

Una manifestazione che non ha mai, neanche per un attimo, prestato il fianco alle banalizzazioni della “guerra tra poveri” che l’estrema sinistra – nella sua contromanifestazione – sperava di affibbiarci: sappiamo perfettamente che il primo nemico è quella globalizzazione che rappresenta la causa dei processi migratori, che relega l’uomo a merce, che destabilizza le Nazioni e sopprime gli spazi di sovranità. Comprendiamo benissimo che il libero mercato ha la necessità di muovere le masse come i capitali, nella speranza di creare manodopera a basso costo ed eserciti di schiavi di riserva che abbassino i tetti salariali e gli standard sindacali dei paesi con uno stato sociale più marcato. E’ anche per questo che occorre ribadire la necessità di chiudere le frontiere e fermare questa invasione: per tutelare i nostri lavoratori, la nostra identità, il nostro futuro; per non illudere nessuno con la speranza di un avvenire che non abbiamo più neanche per noi.

Una marcia, la nostra, che ha ribadito l’assoluta necessità di riconquistare una sovranità, per tornare padroni del nostro destino: la sovranità nazionale e politica ormai subordinata alle potenze straniere, quella monetaria affossata dall’eurocrazia e dal signoraggio, quella popolare svilita da governi tecnici e premier per nomina. Uno degli striscioni firmati da Casaggì recitava: “Nazione, sangue e suolo: vivere sovrani, per non morire schiavi”. Perché questa rivoluzione sovranista deve avere il marchio della nostra identità: quella della Civiltà europea, delle nostre tradizioni, delle nostre cattedrali, delle nostre lingue, della nostra arte, della nostra cucina, della nostra agricoltura, della nostra storia. Solo così si combatte il mostro globale: riscoprendo un sano senso di appartenenza che è il solo argine al pensiero unico e all’omologazione planetaria, il solo antidoto a quella società multietnica senza punti di riferimento, senza radici e senza origini, tenuta insieme soltanto dalla frenesia del consumismo, privata di ogni riferimento di ordine superiore, liquefatta nel mare del nichilismo e delle teledipendenza. Un’identità, la nostra, che vuole rinsavire il senso di Comunità, riscoprire i legami solidali, difendere le Idee e custodire le differenze. 

In piazza sventolavano centinaia di bandiere, firmate da Casaggì, riportanti il simbolo della fiaccola tricolore: un testimone stretto nel pugno, con una fiamma che simboleggia il movimento e la trasmissione dell’eterno. Lo striscione di apertura recitava ciò che riassume al meglio questa magnifica giornata di mobilitazione e passione: “Siamo lo stupendo vivere in un mondo di morti”. L’Italia più bella è questa.

sabato 28 novembre 2015

TERRORI$MO I$LAMICO

Da anni sentiamo parlare di terrorismo islamico, ultimamente di ISIS. 
La prima cellula a dare il via al fenomeno fu Al Qaeda, ma soprattutto il suo leader Osama bin Laden. 
Dal giorno dell’attacco alle Torri Gemelle di New York il Mondo ha scoperto il terrorismo su scala globale e soprattutto da quel giorno è nato il “terrorismo islamico”. Pian piano l’Occidente iniziò ad accomunare in maniera spesso impropria e superficiale la religione con gli atti delle cellule terroristiche. Con la nascita dell’ISIS siamo passati ad un livello superiore ossia la presenza di un fantomatico “Stato Islamico” quindi una vera e propria porzione di territorio gestito ed amministrato da terroristi. Ciò è stato possibile grazie alle così dette “primavere arabe” ed alla volontà di governi della Penisola Arabica come Qatar e Arabia Saudita che insieme agli alleati occidentali USA, Francia e Inghilterra in prima battuta hanno finanziato l’ISIS in ottica anti-Assad. Le guerre volute dagli americani in Afghanistan e Iraq che secondo costoro sarebbero servite a portare pace e democrazia in Medio Oriente,in realtà hanno solo portato bombe e zone grigie dove sono potute proliferare cellule terroristiche. 
L'ISIS ha espanso i suoi confini su parte del territorio iracheno e siriano esercitando controllo politico compiendo di pari passo azioni contro yazidi ,curdi e cristiani. Tutto ciò in nome di Allah, riuscendo così a nascondendosi dietro a un culto religioso secolare e seguito da miliardi di credenti. I titoli sensazionalistici di alcuni media e gli urli di qualche “politico” opportunista hanno indotto l’opinione pubblica ad accusare tutti i musulmani di spalleggiare o comunque non condannare il terrorismo. 
Giunti a questo punto non dobbiamo cadere nell’accusa generalizzata, nella logica “fallaciana” del puntare il dito contro il mondo islamico, anzi dobbiamo sostenere quei musulmani che si oppongono da sempre all’ISIS; va sostenuto il Presidente Siriano Assad e il suo alleato Vladimir Putin, ma ancor di più gli europei devono abbandonare la passività per l’azione, il servilismo per l’intraprendenza, il rifiuto delle proprie origini per una riscoperta delle radici comuni. Abbiamo quindi due fronti: uno interno che è quello più difficile ossia con noi stessi e quello esterno contro l’ISIS.

lunedì 2 novembre 2015

GRANDE CORTEO A FIRENZE CONTRO IMMIGRAZIONE E GOVERNO RENZI!



La destra scende in piazza con un grande corteo nel cuore di Firenze: l’obiettivo è quello di lanciare un forte messaggio al governo Renzi, al Presidente della Regione Rossi e al sindaco Nardella. Una mobilitazione popolare, sostenuta da comitati e movimenti, contro l’emergenza dell’immigrazione clandestina gestita in modo fallimentare da una sinistra che ha aperto le frontiere senza preoccuparsi delle conseguenze e dei rischi per il tessuto economico, sociale e culturale di una Nazione che vive un momento di crisi. 

Il pericolo dell’infiltrazione di terroristi islamici, lo Ius Soli e la cittadinanza rapida, le cooperative rosse che gestiscono il business milionario dell’accoglienza, lo sfruttamento della manodopera a basso costo, l’abbandono delle nostre periferie, l’assenza di un futuro per i nostri giovani, l’abolizione del reato di clandestinità, l’insicurezza e la criminalità in crescita, la subordinazione verso un’Europa che non tutela i nostri interessi, la concessione di diritti agli stranieri che i nostri connazionali si vedono negati, l’abusivismo e il degrado nel nostro centro storico, l’attacco ripetuto ai pilastri fondanti della nostra Civiltà e della nostra Tradizione, i rischi connessi alla società multietnica: sono solo alcuni dei problemi che, da italiani e da fiorentini, abbiamo il dovere di affrontare e risolvere. 

Con noi ci sarà la gente che non vuole chinare il capo. Un popolo al quale non può essere negata la legittima difesa; un Popolo che sta subendo gli errori di una classe politica scollegata dalla realtà; un Popolo che vuole poter contare sul diritto ad una casa e ad una stabilità lavorativa; un Popolo stanco di delegare e di subire. E’ il nostro Popolo, quello che non vuole rinunciare alla propria identità, che vuole vivere in un paese sovrano, che crede nella giustizia sociale, che vuole restituire una dignità all’Italia e dare una speranza ai propri figli. 

Per troppo tempo sei rimasto a guardare. Adesso è tempo di lottare!

SABATO 19 DICEMBRE ORE 16 - PIAZZA DELL’UNITA’ - FIRENZE
GRANDE CORTEO TRICOLORE

CON OSPITI NAZIONALI E INTERVENTI POLITICI 

lunedì 19 ottobre 2015

Tre anni di CASAGGì Valdichiana

Una sede stracolma, un’atmosfera di sano cameratismo e fratellanza hanno fatto da cornice al grande concerto di Skoll. Non potevamo chiedere di meglio per i tre anni della nostra sede di Montepulciano. Questo luogo è ormai un vero e proprio baluardo nel nulla politico, intellettuale e aggregativo della Valdichiana.
Nel 2012 con le nostre sole forze abbiamo preso una stanza e ne abbiamo fatto un luogo accogliente dove si fa cultura, ci si confronta e si combatte per un futuro migliore, in poche parole si fa militanza politica.
Quelle quattro mura rappresentano per noi e per decine di simpatizzanti  che le frequentano uno dei pochi posti realmente liberi della provincia di Siena. La nostra volontà è quella di proseguire sulla strada che abbiamo imboccato tre anni fa senza guardarci indietro e con la solita voglia di assaltare il futuro.



giovedì 8 ottobre 2015

STOP GENDER!

Affissione di volantini nelle scuole materne, elementari e medie di Siena e provincia contro la teoria gender.

La Riforma voluta dal governo, nonostante le raccomandazioni e le minacce del Mininistro Giannini, apre la strada alla diffusione nelle scuole della teoria del gender. Quest’ultima, ormai affermata in molti paesi occidentali, è un’ideologia che fonda la propria essenza sulla convinzione che non esistano uomini e donne, ma comportamenti sociali in grado di stabilire – a piacimento – l’identità sessuale della persona. Questo attacco alla sessualità e ai suoi generi – maschile e femminile – è una manipolazione dell’essere umano e della sua natura, una mutazione antropologica che viene promossa dalle grandi lobby con un bombardamento mediatico e culturale. Negli ultimi anni abbiamo assistito al tentativo, già in atto, di far scomparire i termini “madre” e “padre” dall’utilizzo quotidiano per convertirli nei più anonimi e politicamente corretti “genitore 1” e “genitore 2”: sono stati proprio alcuni istituti a cancellare queste parole dalla propria modulistica e dai libretti delle giustificazioni o a diffondere nelle scuole elementari le fiabe gay. Lo scopo ultimo di questo folle progetto è la creazione di un uomo senza identità, amorfo e resettato, manipolabile e fluido, una pedina di quell’omologazione assoluta fondata sul pensiero unico e allineato. È un attacco al cuore della nostra civiltà e del suo pilastro storico: quella famiglia che rappresenta la prima cellula comunitaria della società. Il comma 16 del testo della “Buona scuola”, in nome della lotta alla discriminazione, rimanda alla legge 119 del 2013 che, a sua volta, fa riferimento alla Convenzione di Istanbul e al decreto legge n.93. Il testo non si riferisce alla nozione classica di “sesso biologico”, ma al concetto di “ruoli, comportamenti, attività e attributi socialmente costruiti” e di “superamento degli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne o uomini (…) mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa”, oltre all’assoluta necessità di “promuovere una adeguata formazione non solo alle superiori, ma fin “dalla scuola dell’infanzia e del primo ciclo di istruzione”. Abbiamo ritenuto nostro dovere informare le migliaia di famiglie che da domani potrebbero essere coinvolte, attraverso l’educazione scolastica dei propri figli, in questo folle progetto di sovversione della natura e dell’identità. Questa è solo la prima battaglia, domenica saremo alla fiera di Sinalunga per un volantinaggio informativo contro la teoria gender.





sabato 3 ottobre 2015

La "Buona Scuola" è una cagata pazzesca!

Questa mattina abbiamo distribuito, presso gli istituti superiori di Montepulciano, più di mille volantini contro la "Buona Scuola" di Renzi e del ministro Giannini.


La "Buona Scuola" è una cagata pazzesca!

Nuovo governo, nuova Riforma della Scuola. Ogni volta è la stessa musica: le esigenze degli studenti sono messe in secondo piano e i problemi che affliggono il mondo dell’Istruzione restano tali e quali. 

La coppia Renzi-Giannini ha partorito la “Buona Scuola”, che ha già suscitato feroci polemiche: poche novità in merito alle decine di migliaia di insegnanti precari e potere spropositato al Preside, vero sceriffo della scuola: una prospettiva disarmante per i tanti Istituti nei quali questa figura si è fatta conoscere per parzialità e faziosità. Il raccordo tra scuole e imprese, poi, non lascia spazio all’immaginazione: si è aperta la strada all’aziendalizzazione della scuola, sempre più soggetta ai ritmi serrati e alle feroci regole del mercato, annientando missione educativa che la scuola dovrebbe preservare.

Una riforma che ricalca le volontà dei “poteri forti”: creare masse addomesticate e silenti, greggi senza identità e senza certezze, privati delle proprie radici e dei propri miti, degli slanci e delle speranze che ogni sana generazione dovrebbe avere.

L’edilizia scolastica, che avrebbe dovuto avere la priorità, non sembra aver subito accelerazioni: le strutture continuano ad essere fatiscenti, mentre sono inesistenti investimenti seri sulla ricerca e sull’aggiornamenti degli strumenti utili all’insegnamento.

La “Buona Scuola” è la negazione di ciò che il mondo dell’Istruzione dovrebbe essere: una comunità educante lontana dal nozionismo e dal tecnicismo; la manifestazione di una Civiltà che affonda le radici nella storia di Roma e di Atene, che parla la lingua di Dante, che contempla la bellezza di Michelangelo e di Botticelli, la filosofia di Marco Aurelio e di Gentile, la terribile voglia di scoprire la vita e di edificarla nella palestra del pensiero e dell’azione.

Non puoi restare indifferente: è il momento di schierarsi!




mercoledì 16 settembre 2015

L’immigrazione incontrollata? Determinata dai nostri politici



Intervista ad Alain de Benoist (barbadillo.it)
La foto di quel bambino siriano arenato sulla spiaggia sarebbe potrebbe essere in grado di cambiare le opinioni degli europei? Nella nostra epoca di “narrazione”, si tratta di mostrare che la questione dei migranti è un “dramma umana”…
E’ chiaro che si tratta di un “dramma umano”. Bisogna avere il cuore arido o essere accecati dall’odio per non rendersene conto. I musulmani minacciati dall’islamismo jihadista, intere famiglie in fuga dal Vicino Oriente destabilizzato dalle politiche occidentali, tutto questo è un “dramma umano”. Ma è anche una questione politica, e anche geopolitica. Si tratta quindi di sapere quali rapporti dovrebbero esserci tra politica e questione umanitaria. Ora, l’esperienza dimostra che gli interventi “umanitari” in genere aggravano le cose. E che il dominio delle categorie morali sulle categorie politiche è una delle principali cause di impotenza degli Stati. Lo tsunami migratorio al quale stiamo assistendo non fa che aggiungersi al disastro. Sono stati calcolati in migliaia i profughi, poi in decine di migliaia, poi in centinaia di migliaia. Più di 350mila migranti hanno attraversato il Mediterraneo in questi ultimi mesi. La Germania ha acconsentito ad accoglierne 800mila, molto di più di quante nascite avvengono in quella nazione ogni anno. Siamo lontani dall’”immigrazione interstiziale” di trent’anni fa! Di fronte a questo assalto, i Paesi europei non si chiedono che una cosa: “Come accoglierli?”, mai “Come impedire loro di entrare?”. Laurent Fabius trova anche “scandaloso” l’atteggiamento dei Paesi che vogliono chiudere le frontiere. Come sarà quando gli ingressi saranno conteggiati a milioni? I politici continueranno a preoccuparsi di innumerevoli “drammi umani” che accadono nel mondo più che del bene comune dei loro concittadini? L’intera questione è lì.
Al di là della emozione scaturita dallo “shock delle foto”, quali sono gli argomenti usati da coloro che vogliono convincerci della fondatezza delle migrazioni?
Si dispiega su due livelli: gli argomenti morali (“sono nostri fratelli, abbiamo un obbligo morale verso di loro”) e gli argomenti economici (William Lacy Swing, direttore generale dell’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni: “Le migrazioni sono necessarie se vogliamo che l’economia prosperi”). I primi, che confondono la morale personale e privata con la morale politica e pubblica, fanno risaltare lo stesso universalismo dei secondi. Coloro che li impiegano pensano che prima di essere Francesi, Tedeschi, Siriani o Cinesi gli individui sono innanzitutto “esseri umani”, vale a dire che appartengono innanzitutto all’umanità, mentre in realtà vi appartengono solo in maniera mediata, in quanto membri ed eredi di una data cultura. Per loro, il mondo è popolato da “persone” astratte, fuori dalla terra, dei quali la caratteristica principale è quella di essere intercambiabili. Per quanto riguarda le culture, non vi si vedono che degli epifenomeni. E’ ciò che dichiarò Jacques Attali alla rivista Cadmo nel 1981: “Per me, la cultura europea non esiste, non è mai esistita”. Il Dipartimento degli Affari economici e sociali delle Nazioni Unite ha pubblicato un rapporto secondo il quale, nei Paesi europei, il calo del tasso di natalità fa sì che “il calo demografico è inevitabile in assenza di migrazioni di sostituzione”. E’ indicato che “per l’Europa nel suo complesso il livello di immigrazione dovrebbe essere il doppio di quello registrato negli anni Novanta del secolo scorso”, altrimenti l’età pensionabile dovrà essere spostata a 75 anni. L’Europa invecchia, l’immigrazione la salva: ecco una perfetta illustrazione dell’idea che gli uomini sono intercambiabili indipendentemente dalla loro origine, e che gli imperativi economici devono prevalere su tutte le altre. La morale di “diritti dell’uomo” non è che un insieme di interessi finanziari. In particolare, vi è anche l’aspetto demografico. Voi conoscete le parole dell’ex presidente algerino Houari Boumedienne, che le persone di destra non finiscono mai di citare: “Un giorno milioni di uomini lasceranno l’emisfero Sud per andare nell’emisfero Nord. E non andranno lì come amici perché andranno lì per conquistarlo. E lo conquisteranno con i loro figli. Il ventre delle nostre donne ci darà la vittoria”? Grande sostituzione? Secondo alcuni, Boumedienne avrebbe fatto queste osservazioni nel febbraio 1974 in occasione del secondo vertice islamico di Lahore, in Pakistan; secondo altri, 10 aprile 1974 alla tribuna delle Nazioni Unite. Questa incertezza è già rivelatrice, tanto più che il testo integrale di questo presunto discorso non fu mai consegnato a nessuno. Houari Boumedienne, che non era un imbecille, inoltre sapeva molto bene che il Vicino Oriente è nell’emisfero Nord, non nel Sud del mondo! Quindi ci sono buone possibilità che si tratti di un testo apocrifo. In questo settore, è più sicuro ascoltare i demografi. La popolazione del continente africano è passata da 100 milioni nel 1900 a oltre un miliardo di oggi. Negli anni 2050, cioè fra soli trentacinque anni, gli africani saranno tra due e i tre miliardi; supereranno i quattro miliardi alla fine del secolo. Anche se i rapporti demografici non sono riconducibili a un semplice fenomeno di vasi comunicanti, bisogna essere ingenui per pensare che questa prodigiosa crescita demografica, che noi stessi abbiamo favorito, non avrà alcuna incidenza sulle migrazioni future. Come ha scritto Bernard Lugan, “come sperare che i migranti cesseranno di andare verso un ‘paradiso’ europeo indifeso e popolato da vecchi?”. Grande sostituzione? Personalmente, io parlerei piuttosto di grande trasformazione. La Grande sostituzione, a mio parere, sarà la sostituzione dell’uomo con la macchina, la semplice sostituzione dell’intelligenza umana con l’intelligenza artificiale. Un pericolo più reale di quanto pensiamo
.

martedì 15 settembre 2015

Iniziativa: "STOP DEGRADO"

“STOP DEGRADO” abbiamo voluto chiamare così questa nuova iniziativa fatta in collaborazione con i militanti di Fratelli d’Italia-AN. 
La Valdichiana è stata fino ad un decennio fa una sorta di isola felice, ma oggi tutto è profondamente mutato sia per colpa dei continui tagli del Governo centrale ai Comuni sia perché spesso le amministrazioni non vedono al di là del proprio naso e adottano politiche che guardano al presente(leggasi al mantenimento dei voti) e molto poco al futuro. Il tessuto sociale si è sfilacciato, i paesi dove “tutti si conoscevano” oggi sono caratterizzati da zone d’ombra e stanno fiorendo ovunque zone a rischio degrado. Tale situazione è ancora fortunatamente marginale, ma non per questo priva di pericolosità. Basta poco per trasformare un quartiere curato e ben gestito in un’area disagiata e colpita dal degrado, dopo tornare indietro è sempre molto difficile anche perché attorno a luoghi trascurati si forma spesso un contesto sociale disagiato che colpisce chi li abita e frequenta, fornendo così il sottobosco ideale per criminalità e comportamenti antisociali. Per questo vogliamo fare la nostra parte e chiediamo agli abitanti dei comuni della Valdichiana di inviarci foto, descrizioni e video di zone a rischio degrado presenti nei loro paesi. Oltre ai soliti canali come la nostra casella di posta elettronica (casaggivaldichiana@gmail.com) e alle pagine Facebook (CASAGGì Valdichiana)Abbiamo predisposto un numero di telefono (344 110 57 66) a cui si possono inviare sms o anche messaggi e immagini tramite l’applicazione WhatsApp. Raccoglieremo quante più segnalazioni possibili e quando riterremo di aver concluso l’acquisizione del materiale produrremo delle relazioni che protocolleremo direttamente ai sindaci dei comuni interessati sollecitando così le varie amministrazioni comunali a risolvere le problematiche evidenziate.
Crediamo che una cura del bene pubblico debba, prima di tutto, partire dal cittadino e per questo vogliamo coinvolgere il più possibile gli abitanti dei paesi della Valdichiana in questa nostra iniziativa.

venerdì 4 settembre 2015

Il sindaco fa una comparsata TV e diventa l’idolo dei buonisti con le bende sugli occhi

Soltanto un canale apertamente schierato politicamente come RAI 3poteva porre sul piedistallo uno dei Sindaci più anti-italiani delle provincia di Siena. Il video della trasmissione è diventata la bandiera per tutti coloro che credono che accogliere a scatola chiusa queste persone sia la cosa migliore da fare.
Questi buonisti pensano che sia meglio far fare un viaggio su barconi fatiscenti a queste persone invece che aiutarle nei propri Paesi d’origine e allo stesso tempo sono convinti che l’Italia si debba prendere tutti senza avere la ben che minima idea se siano veramente, rifugiati o soltanto dei migranti economici.
Noi ci chiediamo, invece, per quale motivo il Sindaco non vada in TV per parlare di come ha aiutato i suoi concittadini che hanno perso il lavoro. Perché il Sindaco Grazi non va in TV a dire come ha trovato dei fondi per aiutare le famiglie che non arrivano alla fine del mese? Perché il Sindaco Grazi non va in TV a dire come ha restituito dignità ai torritesi che hanno perso il lavoro impiegandoli in lavori socialmente utili? Ve lo diciamo noi il perché! Semplicemente perché il Sindaco Grazi non ha fatto nulla di tutto questo.
Il primo cittadino di Torrita di Siena si vanta che il suo Comune sia il primo in Italia a gestire direttamente i richiedenti asilo e che una buona parte dei fondi a disposizione per il mantenimento degli immigrati vengono trattenuti e messi a bilancio, tale sistema evita che qualcuno ci lucri sopra. Bene, ciò vuol dire che il PD ha talmente amministrato male questo comune che adesso si mette pure a speculare direttamente sui richiedenti asilo pur di trovare delle risorse.
Concludiamo invitando il Sindaco Grazi ad evitare certe comparsate in pieno stile renziano e di occuparsi dei torritesi prima di accettare degli immigrati richiedenti asilo di cui non sia certa la provenienza e che per di più vengono mantenuti dai contribuenti.

giovedì 6 agosto 2015

La campagna di terrore Usa non si fermò con le atomiche.

Hiroshima
di Mario Vattani (Barbadillo.it)
Da quando ho visitato Hiroshima per la prima volta, mi è capitato di condividere – da ultimo grazie alla disponibilità di Barbadillo.it – il racconto non solo di ciò che avevo ascoltato parlando con i testimoni del bombardamento, gli hibakusha, ma più in generale ciò che ho appreso e sentito sull’argomento durante gli anni che ho trascorso in Giappone.
Non credo di aver ancora finito di elaborare un pensiero fermo sull’argomento, anche perché la fine tragica della Guerra del Pacifico, e non intendo unicamente nel suo epilogo nucleare, si sviluppa in talmente tante schegge che resta difficile assimilarla in modo definitivo. Come il fungo atomico che settant’anni fa bruciò insieme il cielo e la terra, la mostruosità, la violenza e la spietatezza con cui si fa i conti nell’affrontare il racconto degli ultimi mesi di quel conflitto, toccano allo stesso modo il generale e il particolare, la strategia e la tattica, l’acciaio, il cemento, la pelle, gli occhi e le dita.
Adesso sono passati settant’anni dal 6 agosto 1945, e negli ultimi giorni sulla stampa italiana e sulla rete sono apparsi una varietà di articoli, di interventi, di opinioni. Trovo giusto che gli italiani provino compassione di fronte all’orrore del bombardamento atomico di quelle due città e dei loro abitanti, ed è un bene che la storia di Hiroshima e Nagasaki venga spiegata ai più giovani, come anche che la memoria delle vittime venga conservata e rispettata.
Però è importante ricordare che le esplosioni di Hiroshima e di Nagasaki non sono state due eventi eccezionali, due accecanti fulmini a ciel sereno che hanno concluso il disastro della guerra. Al contrario, esse hanno fatto parte integrante di un’ampia e spietata campagna di bombardamenti a tappeto delle città giapponesi, iniziata già nel giugno del 1944: una sistematica devastazione effettuata quotidianamente, di notte e di giorno, con ordigni potentissimi, bombe a grappolo incendiarie, esplosivi al fosforo, un inferno di fuoco che non si è interrotto nemmeno dopo che Hiroshima e Nagasaki erano state cancellate dalla faccia della terra.
Per comprendere l’intensità di questa campagna di bombardamento strategico, basti prenderne una singola incandescente frazione: per esempio uno solo dei tanti bombardamenti di Tokyo, la cosiddetta “operation meetinghouse” del marzo 1945, effettuata da trecento B29 che sganciarono sulle abitazioni della capitale giapponese quasi duemila tonnellate di bombe incendiarie, sviluppando una tempesta di fiamme di quattromila ettari, che solo in una notte scaraventò all’altro mondo oltre centomila persone, per non parlare dei feriti.
Il 6 agosto dell’anno scorso, proprio su Barbadillo.it, avevo suggerito di distogliere lo sguardo dall’immagine di quel fungo atomico, e di concentrarsi invece su cosa succedeva a terra, dove vivevano gli uomini e le donne, per vedere con che coraggio seppero reagire e resistere in mezzo alla nebbia velenosa.
Oggi, nel settantesimo anniversario del bombardamento di Hiroshima, potremmo allontanarci ancora da quella singola fotografia in bianco e nero, per vedere meglio quello che la circonda, ciò che l’ha preceduta e ciò che l’ha seguita. Soprattutto, dovremmo dare un nome e un volto a certe persone: perché la storia, fino a prova contraria, è fatta dagli uomini, non dalle bombe.
* * *
La concezione cavalleresca del generale americano Haywood Hansell
Entrato in aviazione negli anni venti, il Generale Haywood Hansell è uno dei principali responsabili dell’Air War Plans Division, l’AWPD. Fautore dello strategic airpower, è un esperto del sistema americano di bombardamento strategico. Hansell è un gentiluomo del Sud, nato in Virginia e cresciuto in una famiglia della southern aristocracy. Ama la musica, la letteratura e ha un carattere piacevole, anche se in qualche occasione gli viene imputato un eccesso di severità. In quanto a tradizioni militari, può vantare antenati che hanno combattuto nella rivoluzione americana, altri nella guerra del 1812, altri ancora nell’esercito confederato, e infine nella prima guerra mondiale.
Posto a comando delle operazioni di bombardamento del Giappone, a Guam, nell’autunno del 1944, Hansell mostra di avere ereditato dalla sua famiglia una concezione cavalleresca della guerra. Pur credendo fermamente nel valore strategico dell’arma aerea, il Generale si impegna nella misura del possibile a ridurre le sofferenze della popolazione civile, prediligendo i bombardamenti mirati, nelle ore di luce. Sapendo che questi però comportano più rischi per gli equipaggi dei suoi B29, Hansell cerca di contenere le perdite sviluppando – di concerto con la marina americana – un efficace sistema di salvataggio in mare degli aviatori abbattuti.
Tuttavia queste qualità di Hansell divengono presto motivo di contrasto con il suo comandante – che pure lo conosce bene dai tempi dell’AWPD – il Generale Henry Arnold. Quest’ultimo, un sanguigno aviatore della Pennsylvania, che ha imparato i rudimenti del volo nientedimeno che dai fratelli Wright, non è soddisfatto dei risultati ottenuti dalla flotta di B29: come il suo Chief of Staff Lauris Norstad, il generale Arnold è totalmente contrario all’impostazione di Haywood Hansell, quella dei bombardamenti di precisione, effettuati nelle ore diurne.
Arnold, sbrigativo e impaziente – e noto anche per il suo nervosismo, che gli causa ben quattro infarti tra il ’43 e il ’45 – preferisce ricorrere direttamente al bombardamento notturno delle città, con l’uso massiccio di bombe incendiarie.
Il rapporto tra i due generali peggiora di settimana in settimana, finché il 6 gennaio del 1945, senza mezzi termini Hansell manda a dire al suo capo Arnold che considera la sua tattica ripugnante, oltre che militarmente poco efficace.
Curtis LeMayNaturalmente Hansell viene immediatamente rilevato dall’incarico, e lascia Guam dopo una settimana. Da quel momento il suo sostituto – il generale Curtis LeMay (foto) – moltiplica ogni notte i bombardamenti incendiari sugli obiettivi civili. Inoltre mette in piedi la “Operation Starvation”, l’operazione carestia: una campagna di minamento dall’aria delle acque interne, dei canali ad uso agricolo e industriale, delle risaie e dei corsi d’acqua nipponici.
In pochi mesi, le maggiori città giapponesi sono ridotte a distese di cenere e macerie, e dopo esattamente sei mesi, Hiroshima e Nagasaki vengono praticamente cancellate dalle esplosioni nucleari.
Le difese aeree giapponesi sono inesistenti, e i bombardamenti proseguono.
Il Generale LeMay sostiene che per un bombardiere americano una missione nei cieli del Giappone è ormai più sicura di un volo di addestramento negli Stati Uniti.
Intanto, pressato dal governo a fronte di un apparente stallo nei negoziati di pace, il Generale Arnold dà ordini a LeMay di rafforzare la campagna di bombardamento aereo.
E’ passata una settimana dall’esplosione atomica di Hiroshima.
Le istruzioni adesso sono di organizzare un attacco il più ampio possibile – con l’utilizzo di almeno mille aerei – su Tokyo, Yokohama, Osaka e Kobe.
Bisogna bombardare giorno e notte, da bassa quota, volando in formazione sopra le aree abitate, per infondere il terrore nella popolazione civile.
E’ così che finisce la guerra del Pacifico.

giovedì 30 luglio 2015

Ipotesi sulla morte del mullah Omar

Taliban leader Mullah Omar. PHOTO: REUTERS
Intervista a Massimo Fini di Matteo Carnieletto (il Giornale)



"Il mullah Omar è morto". Quante volte abbiamo sentito questa frase nel corso degli ultimi anni? Sei? Sette volte? Dato per morto, il mullah è sempre tornato a far sentire la propria voce; l'ultima volta per condannare i talebani che si stavano avvicinando all'Isis.
Oggi l'ennesimo annuncio della morte del mullah. Massimo Fini, che ad Omar ha dedicato un libro avvincente e a tratti romantico, ci aiuta a comprendere alcune cose sulla sua possibile morte e sul futuro dell'Afghanistan.
Secondo lei, è davvero morto il mullah Omar?
Nonostante la sua morte sia stata annunciata molte volte nel corso degli ultimi anni, questo annuncio mi sembra più attendibile degli altri. Bisognerà aspettare una conferma credibile e ufficiale però.
Eppure questa notizia è stata data alla vigilia dei colloqui tra il governo afghano e i talebani. Non può essere una mossa di propaganda?
Ci sono due ipotesi. Tempo fa il numero due di Omar aveva scritto una lettera ad Al Baghdadi in cui invitava l'Isis a non entrare in Afghanistan perché quella dei talebani era una lotta per la liberazione della loro terra, l'Afghanistan. L'Isis, in poche parole, non c'entra nulla con i talebani. In questa lettera aperta si condanna il modo di agire dell'Isis, che frammenta il mondo musulmano. C'era uno scontro tra Omar e l'Isis. Lo Stato islamico fa leva sui talebani più giovani che subiscono meno la leadership di Omar e che sono attratti dalle rapide conquiste dell'Isis in Siria e Iraq. La prima ipotesi sulla morte di Omar è dunque quella di un colpo riuscito all'Isis. Poi ce n'è un'altra: ci sono divergenze tra i talebani: c'è chi vuol raggiungere la pace con Kabul e chi vuole continuare la guerriglia. Quindi, e siamo alla seconda ipotesi, alcuni talebani potrebbero averlo tradito.
Morto Omar, quale potrebbe essere il futuro dell'Afghanistan?
Se Omar dovesse essere realmente stato ucciso, l'Afghanistan rischia ora di perdere definitivamente la sua indipendenza. Ashraf Ghani è un uomo degli americani. Ha studiato alla Columbia, ha insegnato alla Johns Hopkins University ed è stato membro del Fondo Monetario Internazionale. È come Karzai, ma più civile. Inoltre, ora l'Isis potrebbe davvero provare a penetrare anche in Afghanistan.

mercoledì 22 luglio 2015

Mantovano: «È tempo di dire basta ai luoghi comuni sulla droga libera»



di Mario Bozzi Sentieri (Secolo d'Italia)

Grande è la confusione sotto il cielo se ben 218 parlamentari, appartenenti a diversi schieramenti politici, arrivano a sottoscrivere una proposta di legge per la legalizzazione delle cosiddette “droghe leggere”. In pochi hanno denunciato la pericolosità dell’iniziativa. In pochissimi hanno cercato di rispondere, dati alla mano, ai tanti luoghi comuni fatti circolare sull’argomento. Tra questi Alfredo Mantovano. Dal 1996 al 2013 deputato e Sottosegretario dell’Interno, Consigliere, dal maggio 2013, alla IV sezione penale della Corte di appello di Roma, Mantovano continua a mantenere alto il suo impegno culturale sui temi sensibili della famiglia e del rapporto etica-diritto. E’ recente il volume – Libertà dalla droga, Sugarco 2015 -, scritto con Giovanni Serpelloni e con Massimo Introvigne, in cui sul tema sono stati raccolti ed esposti elementi di fatto e argomenti di carattere scientifico, giuridico e sociologico. Mentre rimandiamo ad una lettura del testo, con Alfredo Mantovano tentiamo di fissare alcuni dei temi essenziali di questa cruciale battaglia politica e civile, che ha radici profonde e si alimenta di una serie di “luoghi comuni” ormai entrati nell’immaginario collettivo e nelle stanze del Potere.

Mentre è infatti dagli Anni Settanta che si tenta di affermare l’idea della “droga libera”, ora la proposta di legalizzazione delle cosiddette “droghe leggere” apre, a livello parlamentare, scenari inquietanti…

La novità, di queste ultime settimane, – ci dice Mantovano – è che il Parlamento italiano si trova nelle sciagurate condizioni di approvare un testo del genere; quel che è accaduto dall’inizio del governo in carica legittima questa conclusione: da marzo 2014 a oggi, su impulso dell’esecutivo e col sostegno della sua maggioranza sono stati approvati il divorzio breve, il divorzio facile, una pessima controriforma della legge sulla droga, si è scelto di non dare alcuna legislativa alle sentenze della Consulta su eterologa e selezione genetica pre-impianto, e si è andati avanti col gender a scuola, se pur con qualche apparente correzione di rotta.

Il rischio, in questo clima di conformismo diffuso e di grande confusione culturale, è che la discussione si trascini banalmente…

Esatto, con il risultato che a trionfare siano i luoghi comuni sul tema, piuttosto che una seria ed approfondita discussione.

Il primo “luogo comune” è che ci sono droghe “buone” e droghe” cattive …

É una distinzione falsa e fuorviante: lo “spinello” oggi in circolazione ha effetti devastanti e non sempre reversibili sulla psiche e sul fisico. The Independent, il popolare quotidiano inglese che per circa un decennio, a partire dal 1997, ha condotto una intensa campagna a favore della legalizzazione della cannabis, il 18 marzo 2007 è poi uscito con la copertina dell’edizione domenicale recante il titolo Cannabis, an apology: una richiesta di scuse ai lettori fondata su dati obiettivi. ‘(…) nel 1997 – è possibile leggere nel reportage di Jonathan Owen, sulla stessa testata – mentre questo giornale chiedeva la depenalizzazione, milleseicento persone erano in cura per dipendenza da cannabis. Oggi (cioè nel 2007) sono diventate ventiduemila.

Resta il fatto – come affermano gli assertori della “droga libera” – che ognuno debba essere arbitro della propria salute …

E qui veniamo al secondo luogo comune. Questo argomento non va adoperato a intermittenza: nessuno ha mai contestato il principio ispiratore dell’obbligo del casco alla guida delle motociclette; si tratta dei primi tre articoli della legge 11 gennaio 1986 n. 3: eppure, in caso di incidente, il danno potenziale riguarda esclusivamente il soggetto che viola la norma. Non vi è mai stata contestazione perché la Costituzione italiana, e prima ancora il buon senso, pongono alla base della convivenza il principio di solidarietà, che si articola in diritti – quelli, per es., di ricevere cura e assistenza in caso di difficoltà – e doveri: nel momento in cui, colpevolmente o dolosamente, io ledo la mia salute a seguito di miei comportamenti, con ciò stesso mi sottraggo all’adempimento dei quei doveri e costringo le istituzioni a impiegare risorse ed energie per soccorrermi. Proprio con riferimento all’uso del casco, con una sentenza del 1994, la n. 180, la Corte costituzionale ha respinto la tesi dell’ingerenza dello Stato nei diritti del cittadino, e ha aggiunto che la salute dell’individuo costituisce “interesse per la collettività”, per cui va apprezzato l’intervento del legislatore, anche perché gli incidenti stradali hanno un costo per l’intera società.

Veniamo al terzo luogo comune. Come risponde a chi dice che anche alcool e tabacco fanno male, eppure, a differenza della droga, nessuno invoca sanzioni contro la loro commercializzazione ?

Partendo dagli alcolici, chi dice che è illogico vietare e punire la cessione controllata di droga, soprattutto di quella “leggera”, e invece ammettere la vendita bevande alcooliche, non ha ben chiara la distinzione fra uso e abuso. L’uso equilibrato di alcool, soprattutto se a bassa gradazione e in assenza di controindicazioni correlate alle condizioni di salute di chi lo assume, non fa male; un buon bicchiere di vino rosso è anzi consigliato durante il pasto. L’abuso provoca invece l’alterazione di sé, ed è in vario modo scoraggiato sul piano normativo: si pensi alle disposizioni sul tasso alcolemico da non oltrepassare quando si conduce un veicolo, e alle sanzioni penali in caso di inosservanza. Per il consumo di droga la distinzione non regge: già il semplice uso di stupefacenti produce alterazioni dell’equilibrio fisico e psichico; non attendere che si passi a stadi di dipendenza più elevati per dissuadere dall’assunzione è coerente con il sistema.

Viene comunque presentato come un dato di fatto che “legalizzare” le droghe sottrarrebbe potere e terreno alle organizzazioni criminali che traggono profitto dai traffici di stupefacenti, affidandone la distribuzione e la cessione al controllo dello Stato.

Siamo al quarto luogo comune. Premesso che il problema numero uno non è che i clan aumentino i profitti con i traffici degli stupefacenti, ma che questi ultimi determinino la morte o la prostrazione di tante persone, è certamente importante contrastare i network criminali che si dedicano, in tutto o in parte, ai giri di stupefacenti. Ammettendo che sia vera – e non lo è – la tesi secondo cui la mancata legalizzazione è causa dell’arricchimento dei clan, ogni ipotesi di legalizzazione sarebbe diretta a limitare lo sfruttamento criminale dei traffici, non a ridurre la platea degli assuntori di droga, quindi lascerebbe inalterato il problema n. 1. La realtà poi smentisce la tesi della riduzione della entità dei traffici criminali; ogni legalizzazione ha dei limiti, di età dell’assuntore, di quantità e di qualità (intesa come percentuale di principio attivo) della sostanza. Neanche il “legalizzatore” più convinto arriva a sostenere che un fanciullo possa recarsi a piacimento al tabaccaio, o allo sportello della Asl, e farsi impacchettare mezzo chilo di cocaina, con elevata percentuale di principio attivo. Alla criminalità sarà sufficiente operare oltre i limiti fissati: quanto a quello dell’età, puntando, ancora di più di quanto non avvenga oggi, allo spaccio fra minorenni; quanto alla quantità e alla qualità, offrendo “merce” in grammi o in capacità stimolante, al di là delle soglie stabilite. L’esperienza degli Usa, al cui interno circa venti States hanno legalizzato il fumo di cannabis per uso medico, e due States anche per uso ricreazionale, indica che la legalizzazione della cannabis aumenta soprattutto la quantità consumata pro capite. Gli introiti per gli Stati derivante dalle accise sulla cannabis “legale” è annullato dalle maggiori spese connesse al trattamento dei suoi effetti è cronici. I due mercati, legale e illecito, sono strettamente connessi: quantità sostanziali di marijuana medica prodotta in eccesso grazie a economie di scala sono dirottate verso il mercato clandestino. Tuttavia, negli Usa gli adolescenti non possono accedere alla cannabis legale: la legalizzazione non riguarda i minori, che sono i maggiori consumatori di cannabis e quelli più a rischio per i suoi effetti a lungo termine. Risultato: negli Usa la legalizzazione della cannabis non ha eliminato il mercato illegale ma ne ha semplicemente ristretto la clientela agli adolescenti e agli adulti che non possono permettersi il costo elevato della cannabis legale.

domenica 19 luglio 2015

Borsellino, l'icona di destra usata dalla sinistra

di Mariateresa Conti (il Giornale)

«Mio padre di sinistra non lo era di certo». Era il 1994, due anni dopo la strage di via D'Amelio. E Manfredi Borsellino, il figlio del giudice Paolo trucidato in quell'eccidio, in un'intervista, smentiva lo zio Salvatore, fratello minore del padre, che tacciava di «sciacallaggio» chiunque osasse dire che Paolo era di destra. Corsi e ricorsi storici, la storia si ripete, 23 anni dopo: da un lato i figli, che quest'anno hanno voluto rimarcare la loro assenza alle celebrazioni del 19 luglio, domenica proprio come 23 anni fa, contro l'«antimafia di facciata» che, caso Crocetta docet, vuol fare del ricordo un proprio spot; dall'altro una sinistra che a dispetto delle simpatie di destra di Paolo Borsellino - da giovane studente si iscrisse al Fuan, l'organizzazione universitaria del Msi, e proprio il Msi, il 19 maggio del 1992, quattro giorni prima dell'uccisione di Giovanni Falcone, votò Borsellino come capo dello Stato di bandiera, tributandogli 47 voti - tenta in ogni modo di tirarlo per la giacca. Tuttora.
Povero Paolo Borsellino, icona di destra strattonata da una sinistra che continua a tentare di usare lui e che ha usato e buttato via alcuni dei suoi affetti più cari. Come Lucia, la figlia, bandiera della giunta guidata da Rosario Crocetta sino a qualche settimana fa, quando all'indomani dell'arresto dell'amico e medico personale del governatore Matteo Tutino si è dimessa, e ancora la notizia dell'intercettazione choc su di lei non era di dominio pubblico. O come la sorella Rita, eurodeputata del Pd dal 2009 al 2014 ma ormai fuori dalla politica e in rottura col Pd dal 2012, quando apertamente si rifiutò di sostenere alle Regionali proprio Crocetta. Corsi e ricorsi storici, ancora una volta. Nel 1994 Rita, certamente non di destra, non fece salire a casa sua in via D'Amelio l'allora premier Silvio Berlusconi, intervenuto alle commemorazioni, e parlò con lui solo al citofono. Adesso sempre Rita, come ha rivelato il fratello Salvatore a Radio24 , «ha mandato un sms a Crocetta, scrivendogli di non presentarsi alle manifestazioni di via D'Amelio perché non sarebbe una persona gradita».
Povero Paolo Borsellino, icona di destra strattonata dalla sinistra e anche dagli affetti più cari. Come il fratello Salvatore, che dal 2009 col movimento delle Agende rosse è in prima fila alle commemorazioni del fratello connotandole di un «rosso» che con le idee di Paolo c'entra ben poco. «Meglio un giorno da Borsellino che cento da Ciancimino», diceva uno slogan della destra coniato subito dopo la strage. E un anno fa il 19 luglio in via D'Amelio un Borsellino, Salvatore, ha abbracciato un Ciancimino, Massimo, il figlio del sindaco boss sotto accusa ma pur sempre testimone chiave del processo sulla trattativa Stato-mafia. Già, la trattativa, il processo dei processi su cui la Procura di Palermo si gioca tutto. I processi di Caltanissetta sono franati dopo 20 anni perché Vincenzo Scarantino era un falso pentito e si stanno rifacendo. In parallelo, a Palermo, c'è il processo sulla trattativa ideato da quell'Ingroia che Crocetta ha piazzato al vertice di una società regionale. Ha spaccato anche la sinistra, la trattativa. Una parte ha criticato l'impostazione del processo. Ricevendo di rimando l'accusa classica, quella del tentativo di delegittimazione. Povero Paolo Borsellino, icona di destra ostaggio della sinistra. Dopo 23 anni meriterebbe, almeno, verità e giustizia.