martedì 30 giugno 2015

Famiglia, demografia e sviluppo: il miracolo ungherese

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da azionetradizionale.com

Le politiche pro vita, pro famiglia e per l’incremento demografico non riscuotono certo il consenso politicamente corretto dei grandi media e delle Istituzioni internazionali.
Frequentemente, per esempio, leggiamo sulla stampa attacchi contro Viktor Orban, il capo di Stato Ungherese, spesso presentato come un dittatore.
Vediamo ora cosa ci dicono i fatti, dai quali si potranno dedurre le ragioni della propaganda internazionale contro l’Ungheria ed il suo Presidente.
Il parlamento Ungherese ha inserito nella Costituzione la protezione della Vita dal concepimento.
Il Governo fa uscire il paese dalla crisi, manda a casa il Fondo Monetario Internazionale e rende la Banca Centrale indipendente dalle pressioni finanziarie internazionali.
Più bambini sono nati nel 2014 che negli ultimi cinque anni. Il tasso di fecondità totale è 1,41, il valore più alto dal 1997, anche se ancora non è abbastanza alto. Il numero dei matrimoni è aumentato costantemente dal 2010, del 9% nel solo 2014. Ricordiamo che tra il 2002 e il 2010 il numero dei matrimoni in Ungheria era sceso del 23%. Il numero dei divorzi è diminuito del 15% tra il 2010 e il 2013. Il numero di aborti è in continuo declino, ed è diminuito del 20% dal 2010. Grazie ai sussidi alle famiglie 236 miliardi di HUF (fiorini ungheresi) sono rimasti alle famiglie nel 2014. Le pensioni sono aumentate del 19% dal 2011 al 2014.
Dietro a queste cifre vi sono i numerosi vantaggi fiscali per le famiglie: diminuzione delle tasse sul reddito per famiglie con più di due figli, l’indennità di maternità, l’indennità per gli acquirenti della prima casa, l’aumento del 25% nei posti in asili nido e le misure sulla tutela del lavoro.
Numerosi anche i miglioramenti generali dell’economia: 210.000 posti di lavoro in più nel 2014. La disoccupazione al 7.1% (contro il 13.1% in Italia). Il PIL è aumentato del 3.5% l’anno scorso (quasi il doppio della media europea). I salari sono anche in continuo aumento: 4% nel 2014. Con l’eliminazione dei prestiti in valuta estera, sono stati convertiti prestiti per un valore di 3.600 miliardi di HUF, e sono state quindi protette le case di mezzo milione di famiglie. L’ anno scorso il turismo è aumentato del 13% e gli investimenti esteri del 14%.
Questo vero e proprio miracolo è il diretto risultato di una politica di indipendenza monetaria e di supporto alle famiglie che sono il nerbo di ogni nazione.
Riflettiamoci!

sabato 27 giugno 2015

Se la scuola democratica (e renziana) è un fallimento



di Giovanni Balducci (Centro Studi La Runa)

In merito alle ultime disposizioni in materia scolastica che ci giungono da Palazzo Chigi, la prima cosa che ci viene da fare è rispolverare con spirito futurista il celebre pamphlet "Chiudiamo le scuole" di Giovanni Papini, e quanto sostenuto nel Manifesto del Futurismo da Marinetti & Co. contro la cultura accademica in genere. Quindi a fronte della “buona scuola” di Matteo Renzi e della ministra Giannini, l’unica vera buona scuola per noi sarebbe quella chiusa.

Ma si sa, non siamo più nell’Ancient Règime e l’istruzione di massa è uno dei capisaldi dell’ideologia illuminista e neo-illuminista che domina già da qualche secolo l’occidente. Lontani sono i tempi in cui durante un censimento voluto da Federico II di Prussia un nobile poté vantarsi d’essere “analfabeta per via dell’alta nobiltà”. Oggigiorno un esercito di maestrine dalla penna rosa invece ci obbliga a passare tra i banchi di scuola gran parte della nostra giovinezza, con il pretesto dell’alfabetizzazione di massa e il miraggio di elevarci socialmente attraverso lo studio.

Nella realtà dei fatti però le cose stanno diversamente e la scuola in quanto a garanzia di mobilità sociale e su molti altri punti si rivela sempre più una barca che fa acqua da tutte le parti. Certo, si è cercato di correre ai ripari: le riforme della scuola tese a puntellarla, se non proprio a rattopparla, ormai non si contano più. Dal ventennio fascista ad oggi saranno state sette o otto e tutte piuttosto che migliorare il sistema scolastico, l’hanno peggiorato.

Ma partiamo per gradi, agli albori del secolo scorso il filosofo Giovanni Gentile, nel saggio Il concetto scientifico di pedagogia, avvia una rifondazione in senso idealistico della pedagogia, che sarà attuato nella famosa riforma del sistema scolastico che appunto dal filosofo prenderà il nome. Gentile afferma che l’oggetto specifico della pedagogia è l’educazione, diretta a “fare lo spirito”, identificando così la pedagogia con la filosofia. Per quanto riguarda i suoi contenuti culturali, la scuola che emerge dalla dottrina pedagogica gentiliana è legata alla tradizione umanistico-letteraria. Relativamente alla sua organizzazione, essa è caratterizzata da un ordinamento gerarchico e centralistico. Si tratta di una scuola aristocratica, pensata per gli “studi di pochi, dei migliori”, e suddivisa per quel che riguarda il livello secondario, in un ramo classico-umanistico per preparare le future classi dirigenti e in uno professionale per avviare al lavoro manuale e meccanico.

La riforma Gentile, come sappiamo si è attirata gli strali della cultura progressista che la accusava di essere fautrice di un tipo di cultura nozionistico, distante dalla prosaicità della vita quotidiana. Con questi presupposti, e con il pretesto che la scuola gentiliana difendesse un tipo di società patriarcale e padronale, con il ’68 le si sono inferti colpi mortali, così studenti ed insegnanti hanno protestato, scioperato, manifestato, sino a condurre la scuola alla situazione in cui ora versa.

Si è protestato negli ultimi anni contro i ministri dei governi di centro-destra, accusati di voler riportare in auge l’antico regime gentiliano, fatto sta che la scuola italiana continua ad essere inadeguata alle esigenze dei ragazzi, sempre più in difficoltà nel trovare un posto nella società e nel mondo del lavoro una volta usciti dalle mura degli istituti scolastici.

Tante e gravi sono le pecche dell’odierno sistema scolastico: si può innanzitutto dire che ad un tipo d’insegnamento di carattere qualitativo se ne è sostituito uno quantitativo, si è di fatto sostituita la memoria all’intelligenza in una concezione della cultura puramente verbale, che di fatto rimpinzando il discente di concetti non tenta di spiegare la loro connessione e le loro conseguenze. Altro che nozionismo gentiliano, almeno il modello gentiliano che prediligeva un tipo di cultura umanistico, fondato sui classici, riusciva nel dare una visione d’insieme della cultura e della vita. Ciò unito all’osservanza cieca di quello pseudo-principio rappresentato dall’uguaglianza, ha fatto sì che ad ognuno fossero impartiti gli stessi insegnamenti, e che si finisse col pretendere di insegnare a tutti applicando lo stesso metodo, in una completa ignoranza delle naturali differenze insite in ognuno. Poi, la credenza diffusa che tutti, per il solo fatto di desiderarlo possano ascendere socialmente, ha fatto sì che molti studenti con pochi mezzi intellettuali, e magari anche pochi mezzi economici, fossero spinti dalle loro famiglie e dai loro insegnanti a continuare gli studi controvoglia, a causa di un malcelato arrivismo diffuso dalla propaganda progressista.

Questo appiattimento sociale, unito alla meccanicizzazione del sapere, il “calcolo senza pensiero” come ebbe a definirlo Martin Heidegger, ha condotto molti giovani ad intraprendere strade errate, non confacenti a ciò che intimamente è la loro reale vocazione, e a quelle che sono le loro necessità sociali, pur di aderire aidiktat del mercato richiedenti oggi più che mai una mercificazione del sapere, di un sapere, per altro, che non è più sapienza, ma al massimo mera erudizione, un sapere che non mira a creare uomini padroni delle proprie conoscenze, ma automi in serie da sfruttare come materiale umano.

Ecco che molti giovani brancolano nel buio, non avendo sane linee guida da seguire per affrontare le dure prove della vita, questo unito all’imperante pensiero debole, che tende ad abolire ipocritamente ogni differenza, ha creato intere generazioni di uomini sviati, senza più valori, e succubi di un mondo che ha eretto ad unico discrimine il successo economico. Che per altro per la gran massa degli studenti, diplomati e laureati, si rivela un vero e proprio miraggio, tant’è che i molti titolati piuttosto che star meglio dei loro genitori o dei loro nonni, i quali all’età in cui loro discutono la loro brava tesi di laurea erano già belli e sistemati, versano in una condizione di cronico precariato. Ma lo spirito del nostro tempo è quello ben sintetizzato dal rapper americano 50 Cent: “Get rich or die tryin”, (Diventa ricco, o muori provandoci).

martedì 23 giugno 2015

Mario Sanesi: itinerario di libertà dal Msi alle Nuove sintesi

La Voce della Fogna
di E. Nistri (Barbadillo.it)

Longanesi ha scritto che i figli dei grandi uomini assomigliano al padre solo per il naso. L’aforisma si adatta solo in parte al caso di Mario Sanesi, anche se non è da escludere che la personalità volitiva e un po’ ingombrante del padre abbia influito sul suo “profilo basso” in politica come nel lavoro. Su di esso pesò anche un’innata modestia, che lo indusse per esempio, lui laureatosi a pieni voti in storia medievale, con una ponderosa tesi di ricerca che Franco Cardini gli aveva assegnato intuendo in lui non comuni doti di ricercatore, a non cercare gli sbocchi universitari che il suo maestro gli aveva proposto, accontentandosi di una decorosa e inappuntabile carriera come professore di scuola. Ma non sempre la modestia, con buona pace di Marinetti, è la virtù dei mediocri, e, come dimostrano i suoi articoli e le sue recensioni su “Diorama letterario”, sempre puntuali, documentate, approfondite, Mario un mediocre non era.
Legato da rapporti di amicizia e di stima a Marco Tarchi, Sanesi seguì le principali tappe del suo itinerario umano, politico e culturale, dentro e fuori il Msi: dal campeggio a Corfù, nella Grecia dei Colonnelli, l’anno della maturità (quando però, dopo qualche dissapore coi locali, non rinunciò a intonare le strofe irripetibili dell’Osteria numero dieci cantate a suo tempo dal padre volontario di guerra) alla cooptazione nel direttivo provinciale del partito, a metà anni Settanta, insieme a figure di non comune levatura intellettuale, dallo stesso Tarchi a Dario Durando, dai fratelli Sinatti a Carlo Terracciano; dai viaggi in Francia all’amicizia con Jacques Marchall, dalla fondazione della “Voce della Fogna” a quella di “Diorama”, dall’esperienza della Nuova Destra alla fuoruscita dal partito, a costo di entrare in collisione col “federale padre” che pure doveva essere orgoglioso di quel figlio colto, lui che per i traumi del dopoguerra e la necessità di mantenere la famiglia non era potuto andare al di là di un diploma di ragioniere.
Il destino lo accomuna a Terracciano e alla Tre Re
Negli ultimi mesi della sua vita il suo aspetto fisico appariva pesantemente segnato dal subdolo operato di un male rivelatosi invincibile. Il suo volto di eterno ragazzo appariva ormai opaco e segnato. Eppure, stoico senza enfasi, cercò fino all’ultimo di condurre una vita normale, senza indulgere all’autocommiserazione, continuando a seguire i suoi discepoli sin quasi alle soglie della maturità, forte di una vocazione didattica che lo accomunava a Marco Tarchi. Pochi giorni fa, quando il suo destino era ormai segnato, fece la scelta di vivere i pochi giorni che gli restavano in Sardegna, con un gruppo di amici fidati. La morte, per arresto cardiaco, l’ha colto quasi in riva al mare, all’età di 62 anni: troppo pochi per chi avrebbe avuto ancora tante cose da offrire e da chiedere alla vita. Resta il rimpianto di un uomo modesto ma non mediocre, riservato ma non timido, colto senza ostentazioni, riservato ma capace di dire quello che pensava senza ritrosie né infingimenti. E la rabbia per un destino ingrato che l’accomuna purtroppo a tanti altri esponenti della sua generazione, da Carlo Terracciano a Susanna Tre Re.
Addio, Mario. Di quella magica e remota stagione di “Elementi”, che, insieme a tanti fraintendimenti e incomprensioni, ci regalò qualche attimo di rara felicità, non hai voluto essere che un discreto testimone e un intelligente comprimario. Ma non è retorica scrivere che, se tutti noi avessimo preso esempio da te, l’Italia sarebbe forse un paese migliore.
Alla politica era arrivato quasi per predestinazione familiare. Il padre, Sergio, originario di Castelfiorentino, uno dei comuni più rossi d’Italia, era stato giovanissimo volontario nella campagna di Grecia, combattente nella Repubblica Sociale, per poi divenire, dopo anni molto difficili, dirigente della Silvaneon, un’azienda pionieristica nel campo della pubblicità luminosa, fondata da Nando Martellini, anch’egli reduce della Rsi, vittima di uno dei primi rapimenti in Toscana. All’alba degli anni Settanta, quando il figlio si iscriveva alla Giovane Italia sull’onda delle grandi manifestazioni per la libertà della Polonia, era il segretario della federazione fiorentina del Msi, asserragliata come in un fortilizio al piano nobile di un palazzotto di piazza Indipendenza. Consigliere comunale e provinciale, alla fine degli anni Ottanta sarebbe divenuto senatore, per poi traghettare, forte del suo prestigio di ex combattente, il riottoso mondo reducistico missino in Alleanza Nazionale. Buon oratore, stimato nelle istituzioni anche dagli avversari, ricco di interessi culturali nonostante gli studi interrotti, morì nel 1999 e non è forse un caso se la sua scomparsa è coincisa con l’emergere di forze centrifughe sempre più devastanti all’interno della destra fiorentina.

mercoledì 17 giugno 2015

Maturità 2015: riflessioni non conformi


di Gianfranco Maccarone

Maturità 2015: risulta a dir poco ridicola e propagandistica la scelta di una traccia con il tema della Resistenza,proprio nel centenario della Prima Guerra Mondiale,tanto più se definita come un "nuovo Risorgimento" che avrebbe ricompattato l'Italia e l'avrebbe liberata dallo straniero.
Fu la Prima Guerra Mondiale ad unire il nostro popolo temprandolo nel fango delle trincee.Ciascun soldato,nonostante parlasse un dialetto diverso e spesso poco comprensibile dal proprio commilitone, si immolò per difendere la propria Patria dall'invasione straniera e per costruire un'Italia libera e sovrana.
La cosiddetta Guerra di liberazione,tanto decantata dai paladini della resistenza altro non è stata se non un guerra civile,dove ad essere versato fu il sangue di migliaia di italiani per consentire alle altre potenze straniere,Stati Uniti d'America in primis, di relegarci al rango di colonia.
La Guerra Civile ha portato soltanto fratture e divisioni.
Anche se finalmente una certa storiografia comincia a mettere in luce i crimini dei partigiani ,vedi la strage di Codevigo piuttosto che il supporto dato dai partigiani della brigata Garibaldi al generale Tito nella sua pulizia etnica solo per citare alcuni esempi,ancora si cerca di far leva sulla solita retorica dei "vincitori" che punta il dito contro i ragazzi di Salò, che ebbero il coraggio di mantener fede alla parola data sapendo di sacrificare la propria vita e di andare incontro ad una sicura sconfitta,indicandoli come "quelli schierati dalla parte sbagliata".
I "custodi della Verità",di fronte a tutto questo, cercano ancora di spacciare una delle pagine più buie e vergognose della storia italiana come l'inizio di un processo che avrebbe portato ad unire la nostra Nazione,un "nuovo Risorgimento",il cui simbolo a Guerra finita non furono altro che i cartelli che giravano nelle grandi città del Nord "Non si affitta ai meridionali",che qualcuno forse ha dimenticato.
Ancora oggi queste fratture sono sono ben visibili nelle ridicole parate del 25 Aprile capeggiate dall'ANPI (un associazione finanziata con i soldi dei contribuenti,di cui nessuno sa neanche bene il numero degli iscritti,che si erge a censore e moralizzatore della cultura e della vita pubblica), nelle manifestazioni indette sotto le bandiere rosse con tanto di sindaci ed assessori quando viene inaugurato un "centro sociale di destra", e in provincia di Siena dovrebbero saperne qualcosa,nei ragazzini che puntano il dito contro il proprio compagno,magari incitati dai propri insegnanti, perchè non si vuole appiattire alla solita retorica partigiana,ma guarda alla storia con pensiero critico scevro dai pregiudizi che qualche servo ha cercato di inculcargli a forza.
Si vedono, quando sono i Paesi stranieri a decidere come l'Italia debba gestire la propria politica economica,l'immigrazione,il lavoro,la cultura e tutte quelle scelte che una Nazione sovrana con una storia millenaria alle spalle dovrebbe prendere in totale autonomia.
La Guerra Civile dei partigiani guidati dai sovietici e dagli anglo-americani ha gettato le basi per disgregare l'Italia.
La Prima Guerra Mondiale,nel suo centesimo anniversario, rimane sempre un fulgido esempio di come unire e far venire fuori le migliori energie di un popolo.
Tanti saluti al Ministero del pensiero unico.

lunedì 15 giugno 2015

Addio a Rutilio Sermonti, per 94 anni fedele alla linea



di Antonio Fiore (Barbadillo)


Novantaquattro anni fedele alla linea.E’ salito in cielo come una cometa luminosa, a pochi giorni dal Solstizio, Rutilio Sermonti, “militante integrale” di un mondo antico, dove la guerra interiore veniva combattuta accanto a quella autentica, nelle trincee d’Europa.

Scompare ad Ascoli il più controcorrente di una famiglia di creativi, dal genetista Giuseppe al dantista Vittorio. Rutilo fu volontario nella seconda guerra mondiale, decorato con la Croce di Ferro, e donò ai suoi giovani discepoli la storia esemplare del combattente tedesco, che spirando a sedici anni sul fronte orientale, come ultimo sussulto di vita, gridò “Niemals”, “Mai”, estremo invito a non arrendersi e non terminare mai la propria lotta.

Le cronache giudiziarie, in una inchiesta su proclami grotteschi e deliranti di estremisti da tastiera, registravano Rutilio indagato per associazione sovversiva, reato che sarebbe evaporato con il procedere del lavoro degli inquirenti. Un destino che lo vedeva accomunato al grande scrittore non allineato, il Nobel Knut Hamsun, anch’egli perseguitato alla fine dell’esistenza terrena.

La vita di Rutilio dopo la guerra


“Avvocato, paleontologo, zoologo e scrittore. E’ stato – scrive Gianluca Borgatti – presidente dei GRE (Gruppi di Ricerca Ecologica). Ha ricostruito animali preistorici, scritto libri in difesa dell’ambiente (memorabile “Il prezzo della salvezza” scritto a quattro mani con il noto presentatore televisivo Sandro di Pietro), libri di storia e perfino raccolte di fiabe per bambini. Rutilio ha avuto un’intensa e multiforme attività pubblicistica”. Sterminato l’elenco delle sue pubblicazioni, tra cui una monumentale Storia del fascismo, scritta con Pino Rauti e ora ripubblicata da Controcorrente di Napoli.

Fondatore del Msi

In una intervista, il racconto di Sermonti: “Il Movimento è stato fondato da sette giovani: Giorgio Almirante Giacinto Trevisonno, Mario Pazzi, Giovanni Tonelli, Loffredo Gaetani Lovatelli, Giuliano Bracchi e io, in seguito l’ho abbandonato perché troppo dialogante con la Democrazia Cristiana. Il Msi nasce dopo una lunga discussione, decidemmo di fare un partito che partecipasse alla competizione politica contro la Democrazia Cristiana”. Partecipò anche ai Far e al Centro Studi Ordine Nuovo, come fondatore.

Ammiratore di Mussolini

“La grandezza di Mussolini – spiegava Sermonti – era quella di saper affrontare i problemi e utilizzare ciò che aveva a disposizione. Ha usato sindacati e agricoltori e ciò che già c’era, ma ha infuso uno spirito diverso. Lo stato organico è lo stato in cui ogni forza esistente ha la sua funzione, esiste ed è rappresentata: il cervello in un corpo è utile come i piedi. Fare unità, qualcosa che unisce uomini, donne e associazioni e ne fa uno strumento per il bene della nazione”.

Il monito ai giovani

“Per parlare bisogna studiare. Ho saccheggiato tutti i rami del sapere, se non hai una visione ampia diventi una vittima. Per vivere bene devi essere capace di gettare il cuore oltre l’ostacolo. Altrimenti campi come una lucertola o un lombrico. Noi non ci fidiamo del pensiero. Il libero pensiero non esiste: ci sono 50 modi per alterarlo senza che l’interessato se ne accorga neppure. Se gli interessi di parte sono subordinati a quelli superiori della nazione, anche gli interessi di parte vengono perseguiti in modo lecito e fecondo”.

venerdì 12 giugno 2015

"CHILD 44": UN FILM CHE INCRINA IL DOGMA DEL "PARADISO" SOVIETICO

Recensione di Marco Scatarzi

Leo Demidov è il soldato che ha issato la bandiera rossa sul Reichstag di Berlino ponendo fine alla seconda guerra mondiale sul suolo europeo. Tornato in patria da eroe, nella Russia che ha sete di nuovi miti proletari e vittoriosi da spacciare alle grandi masse, diventa uno dei migliori agenti dei servizi segreti e – suo malgrado – è costretto a fare i conti con le meschinità del sistema sovietico, che lo degrada e lo costringe alla lotta, portandolo a riscattare la propria dignità e, allo stesso tempo, ad accettare i dogmi di facciata che la nomenklatura imponeva senza reticenze.
Costretto dagli eventi a indagare sulle ripetute uccisioni di bambini che infestano la Russia di Stalin, Leo si scontra con le menzogne di un modello che parte da una certezza assoluta: in “paradiso” non esistono omicidi. L’Unione Sovietica non ammetteva la possibilità che, nel “paradiso” del socialismo reale, qualcuno potesse uccidere. Certe degenerazioni della mente umana sono logica conseguenza del sistema capitalista e non possono essere concepite laddove trionfa l’etica collettiva e tutti hanno ciò che potrebbero desiderare: ammettere l’infelicità, la malattia o il disagio rappresenterebbe la fine di un equilibrio che la classe dirigente di Mosca è disposta a difendere ad ogni costo e con ogni mezzo necessario. Un equilibrio artificiale, una menzogna che viene spacciata per verità e che ricorda molto la censura che la Repubblica Democratica Tedesca, che di democratico aveva solo il nome, metteva in piedi per camuffare le centinaia di suicidi che ogni anno si registravano tra i grigi palazzoni in cemento di Berlino Est.
E’ uno sguardo nuovo, quello di “Child 44”, una prospettiva che il regista Daniel Espinosa ha saputo rappresentare al meglio: a venticinque anni suonati dalla caduta del Muro inizia a crollare anche il silenzio che per decenni ha avvolto una delle più terribili dittature della storia. Quella che Espinosa mette in scena è la Russia che ha tenuto in scacco mezzo mondo per mezzo secolo: una società imposta con la forza della repressione, inculcata attraverso una serratissima pratica dell’ideologia, tenuta in piedi da un meccanismo sociale studiato per annientare i legami solidali, disgregare le famiglie, annichilire ogni impeto libertario, ogni radice, ogni tensione verso l’alto, ogni inclinazione al sacro e al bello, ogni stimolo di ribellione, ogni sfaccettatura dell’animo umano che non rientrasse nella penosa prospettiva del lavoro assegnato, della vita scandita dai soliti ritmi e dalla severa osservanza delle regole. Tra queste ve ne era una particolarmente crudele: se un tuo parente esprimeva idee contrarie al volgo comune, dovevi denunciarlo. Non farlo avrebbe significato finire sotto terra in buon compagnia o condividere l’ebbrezza di un viaggio di sola andata per le lande siberiane, a spaccare pietre e morire di stenti nel gelo della tundra.
Un regime che costruiva le accuse ed emetteva le sentenze, che non dava spazio ai sentimenti e al capriccio, che rimuoveva con precisione maniacale ogni più insignificante inclinazione al senso critico, che risolveva i problemi del dissenso interno con la “democrazia” del colpo alla nuca e l’oblio della damnatio memoriae. “Child 44” è un film da vedere, perché racconta delle ovvietà storiche che l’intellighenzia cinematografica non ha mai voluto mostrare al mondo.
Un film da far vedere a tutti, soprattutto ai tanti paladini dei diritti a buon mercato, quelli che chiedono le unioni gay sventolando la bandiera di chi concepiva l’omosessualità come una malattia da punire con quindici anni di campo di concentramento. Un film che contribuisce a ricomporre il mosaico della ricostruzione storica perché – citando Orwell – “in tempi di menzogna universale dire la verità è un atto rivoluzionario”.





giovedì 4 giugno 2015

26 anni fa la rivolta di Piazza Tienanmen



Nella notte tra il 3 e il 4 giugno 1989, una violenta repressione spense nel sangue le proteste di studenti e lavoratori cinesi in piazza Tiananmen a Pechino. 
Molto resta da chiarire su cosa sia esattamente successo tra il 3 e il 4 giugno 1989. In assenza di un'inchiesta indipendente, esistono versioni dei fatti molto diverse. Il numero dei morti, ad esempio, varia da centinaia a migliaia di persone e molte famiglie delle vittime stanno ancora aspettando una spiegazione su ciò che è accaduto ai loro cari.
Le proteste del 1989 Le proteste iniziano a metà aprile del 1989 nelle università di Pechino. Gli studenti chiedevano più libertà, riforme, salari più equi e condizioni di vita migliori. Dopo i funerali del politico riformista Hu Yaobang la rivolta esplode. I giovani indicono una grande manifestazione a cui aderiranno centomila persone. A metà maggio migliaia di studenti occupano Piazza Tiananmen e iniziano uno sciopero della fame a oltranza. Le autorità cinesi impongono la legge marziale e inviano carri armati e soldati. Ma negli stessi giorni, la protesta arriva sulle televisioni di tutto il mondo. La stampa internazionale infatti è a Pechino per l’arrivo di Mikhail Gorbaciov, nel paese per una riconciliazione russo-cinese. Gli studenti rilasciano dichiarazioni alla stampa estera e cercano di boicottare gli appuntamenti istituzionali. La situazione precipita velocemente. Il segretario del partito comunista Zhao Zhiyang si dimette, mentre Deng Xiaoping e il primo ministro Li Peng ordinano all’esercito la definitiva repressione della protesta di Piazza Tiananmen.