domenica 25 gennaio 2015

A SIENA IL CORTEO PER IL RICORDO DEI MARTIRI DELLE FOIBE



Una marcia silenziosa senza slogan e simboli di partito,ma con decine di tricolori e fiaccole per ricordare il sacrificio di migliaia di italiani infoibati e massacrati dalle truppe del generale Tito,sul finire della Seconda Guerra Mondiale. Una tragedia troppo spesso dimenticata e relegata all’oblio da storici, politici (prevalentemente comunisti, socialisti e democristiani) con il mero intento di difendere alcuni partigiani italiani complici di quello sterminio.
Per celebrare il giorno del Ricordo Fratelli d’Italia, Gioventù Nazionale, Casaggì Valdichiana e Laboratorio Identitario hanno organizzato un corteo che si snoderà per le vie del centro di Siena il giorno 7 febbraio 2015. La partenza è prevista per le ore 18.00 da Via Tito Sarrocchi (nei pressi di Porta Tufi) per poi procedere per Via di Città, Piazza del Campo e terminare in Piazza Indipendenza.

mercoledì 21 gennaio 2015

De Benoist:“In Europa il potere politico è nelle mani delle lobby”

anello poteredi Nicolas Gauthier, traduzione di Manlio Triggiani (Barbadillo.it)

 Signor de Benoist, Alain Madelin e Gérard Longuet, che lei ha conosciuto quando erano dei giovani spadaccini, alla fine divennero ministri. Solo per constatare che il vero potere era detenuto più dalle amministrazioni che avrebbero dovuto obbedir loro, ma che non obbedirono … Oggi, in politica, dov’è il potere?
“Molte persone oggi hanno una concezione del potere che risale al XIX secolo. Un partito politico cerca di ottenere la maggioranza per assumere il potere. Quando è al potere, attua il suo programma. Il campione (o la campionessa) diventa così un salvatore! Sfortunatamente, non è più questo il modo in cui vanno le cose. Gli ex ministri che lei ha citato, e molti altri prima di loro, non hanno smesso di constatarlo: il margine di manovra di cui dispongono, dopo essere ‘arrivati al potere’ non ha smesso di restringersi come la pelle di zigrino. Ciò non significa che loro sono totalmente impotenti, ma che la loro libertà d’azione urta contro vincoli di tutti i tipi che la limitano o l’ostacolano in maniera sempre più stretta. Il potere ha peraltro lasciato da tempo le sue istanze tradizionali. Domandarsi dove è il vero potere è chiedersi dove si prendono le decisioni. La grande domanda in politica è: chi decide? ‘ E’ sovrano, ha scritto Carl Schmitt, chi decide nel caso d’eccezione’. In poche parole, era stato detto tutto. Il potere dello Stato, oggi, è in gran parte diventato un potere accessorio o subordinato. Coloro che detengono il potere reale appartengono a un cenacolo al di fuori dello Stato e anche al di fuori del territorio. Questi cenacoli contano molti nominati o cooptati che eletti. E sono loro che decidono. E’ una delle cause della crisi della democrazia rappresentativa, che sarebbe meglio chiamare altrimenti democrazia sostitutiva, poiché sostituisce alla sovranità popolare l’unico potere dei suoi presunti rappresentanti”.
Quando, nel 1997, Lionel Jospin, allora primo ministro, riconobbe a proposito della chiusura dello stabilimento Renault di Vilvorde che “lo Stato non può fare tutto”, firmò la capitolazione del potere politico nei confronti del potere economico?
“Non so se questo è il miglior esempio che si possa prendere, ma è evidente che la subordinazione del potere politico al potere economico, e soprattutto finanziario, è uno dei tratti maggiori della situazione attuale, come anche una delle principali cause di deperimento del politico (il politico è tutt’altro che la politica nel senso corrente del termine). L’ideologia liberale, per la quale il legame sociale si riduce esclusivamente al contratto giuridico e allo scambio commerciale, ha sempre sostenuto tale subordinazione, in quanto la sovranità politica impedisce i meccanismi di ‘regolazione spontanea’ (la ‘mano invisibile’ del mercato) di produrre pienamente i loro effetti – contro una tradizione europea che aveva sempre badato che la dimensione economica fosse ‘incastrata’ (embedded, incorporata, dice Karl Polanyi) nel sociale, sotto l’autorità del politico e che aveva sempre messo in guardia contro il potere della crematistica. Il triste privilegio della nostra epoca è stato di spingere questa subordinazione a un livello che non aveva mai raggiunto prima. La politica del debito adottata dagli Stati li ha legati mani e piedi al potere dei mercati finanziari. I diktat moralistici dell’ideologia dei diritti umani hanno fatto il resto”.
Un potere che non è più sovrano perde di per sé il suo carattere politico. Ora, come tutti sanno, intere parti di sovranità sono venute meno nel corso degli ultimi decenni. La nostra sovranità militare è stata delegata alla Nato, la nostra sovranità politica è stata svenduta alle istituzioni dell’Unione europea, la nostra sovranità di bilancio al Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance firmata a Bruxelles nel 2012, la nostra sovranità giuridica alla Corte europea dei diritti dell’uomo. Ciò a cui stiamo assistendo, è quindi l’espropriazione pura e semplice del potere politico, e al suo massiccio trasferimento verso istanze e persone che non sono state mai elette. E come queste differenti istanze sono a loro volta acquisite all’ideologia liberale, il potere politico scompare in una sorta di buco nero”.
Per riassumere, qual è lo scopo del potere? La volontà di potenza? Dotarsi di mezzi per ripristinare un po’ di senso in una società sempre più frammentata? Lasciare una traccia nella storia? Far trionfare le sue idee a scapito di altri?
“Un po’ di tutto questo, non c’è dubbio. Nel senso più alto, il potere politico avrebbe per fine soprattutto di garantire a un popolo, non solo un avvenire, ma un destino. Ma nell’immediato, il primo compito sarebbe quello di provare a ridare al politico i mezzi per svincolarsi dal sistema monetario. Essendo ben consapevoli che prendendo il potere si rischia di più di cederlo. Il primo gennaio 1994, il molto zapatista subcomandante Marcos disse: ‘Noi non vogliamo prendere il potere poiché sappiamo che se prendessimo il potere, saremmo presi da lui’. Un avvertimento sul quale si potrebbe meditare”.

martedì 20 gennaio 2015

Il fondamentalismo dietro la democrazia

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di Francesco Carlesi (L'intellettuale dissidente.it) 


Uno dei frutti più dolci delle primavere arabe, secondo i massimi organi di stampa del nostro paese, è la Tunisia. Il paese dove la democrazia ha trionfato, grazie alla spontanea rivolta del popolo di fronte al regime dittatoriale e oppressivo. Una rivoluzione benedetta dall’Occidente e realizzata grazie al benefico influsso dei social network e degli strati più giovani del paese, verso cui l’attrazione del “migliore dei mondi possibili” non poteva che essere più ampia e salutare. Ma come spesso accade, dietro la propaganda e le spiegazioni facili, sta la realtà. Seppure Tunisi non abbia conosciuto i travagli di paesi quali l’Egitto, le ombre l’hanno fatta da padrone. E la fanno tuttora.
Tanto per cominciare, il maggior numero di foreign fighters al servizio del Califfato islamico arriva proprio dalla Tunisia. Elementi di primo piano in Siria, Iraq e nella vicina Libia, dove la situazione precipita di giorno in giorno: «i miliziani di Ansar al Sharia, alleati e vassalli del Califfo Al Baghdadi, controllano buona parte della Cirenaica ed hanno proclamato un sedicente emirato islamico a Derna, all’estremità orientale del pese», riporta un’inchiesta di Amedeo Ricucci (di «Repubblica») in loco. Gli aspiranti combattenti tunisini provengono spesso dalla gioventù, la migliore: di età compresa tra 18 e 25 anni e con una buona istruzione alle spalle. Eppure attirati nella rete salafita, alimentata dagli imam venuti dall’estero. Giunti da quei paesi del Golfo, come l’Arabia Saudita, ormai da lungo tempo in prima fila nel finanziamento del fondamentalismo più estremo.
Ma l’Occidente, invece di prendere le distanze, ha sempre intrattenuto ottimi rapporti con queste realtà, la Francia in primis. Difficile rinunciare ai petro-dollari, meglio quindi colpire quei regimi laici che, pur con tutti loro problemi, garantivano stabilità e contrastavano i gruppi violenti. Eliminati Saddam e Gheddafi le tensioni si sono moltiplicate. Per detronizzare Assad l’Occidente ha ripetuto il copione, finanziando l’estremismo che è poi sfuggito di mano (i killer di Parigi erano passati da lì). L’attivismo di John McCain è uno degli emblemi della questione, parte fondamentale degli attuali sconvolgimenti mediorientali. Esso vanta precedenti illustri, come quel Zbigniew Brzezinski che sostenne gli islamisti in ottica anti-sovietica (Afghanistan) sin dalla fine degli anni ’70.
La Tunisia, quindi, è in una situazione difficile: il 16 luglio scorso, sul massiccio del Chaambi, un violento scontro tra terroristi e esercito ha causato la morte di 15 soldati, più 20 feriti. Il bilancio più pesante dai tempi della lotta per l’Indipendenza del 1956. E le tensioni non sono cessate. «Vista la nostra collocazione geografica e visti i flussi migratori che ci sono fra i nostri paesi, è evidente che il pericolo rischia di estendersi a tutto il Mediterraneo», ha dichiarato il ministro degli Interni Ben Jeddou. Quel Mediterraneo in cui proprio la diplomazia italiana, anche nelle difficoltà del dopoguerra, era riuscita a esercitare un’azione incisiva ed efficace.
Quella Tunisia che ospitò Craxi in segno di riconoscimento per gli aiuti economico – politici e le influenze positive. Ma ora tutto è incerto. La nostra classe politica non ha la statura di un tempo, e partecipa alle follie di Francia e Inghilterra contro i suoi stessi interessi (Libia). Le «primavere arabe» si sono rivelate un bluff, le ingerenze esterne hanno dato frutti avvelenati e anche la Tunisia, il campione democratico, ammette paurose difficoltà. E’ arrivato il momento per l’Occidente di fare una seria autocritica, e per l’Italia di riscoprire lo spirito e le tendenze fondamentali della sua politica mediterranea. E il suo orgoglio.

lunedì 19 gennaio 2015

“La Grande Guerra Futurista” e Italo Balbo trasvolatore: Avanguardia o Fascismo?

di Giovanna Balducci (Barbadillo.it)

Centosei anni fa, con il famoso Manifesto nasceva il Futurismo, prima avanguardia artistica e culturale della storia, che rappresentò un nuovo modo, inusitato, di approcciarsi non solo all’arte, ma alla vita stessa.
futurismobookcarmOggi, memore di questo grande passato senza per questo essere passatista, in quanto crediamo anche disposto a seguire il proclama di Marinetti, ossia di cestinare gli uomini che furono, il movimento Neo-Futurista sale nuovamente agli onori delle cronache con una azzeccata pubblicazione nel centenario dell’entrata dell’Italia nel primo conflitto mondiale ed in memoria di Italo Balbo trasvolatore, indimenticato ed indimenticabile orgoglio nazionale.
L’opera giustappunto intitolata La Grande Guerra Futurista (Wold War I, Centenario 1915-1918) Italo Balbo trasvolatore: Futurismo o Fascismo? Eedita da La Carmelina Edizioni e curata dallo stacanovista del Neo-Futurismo nostrano Roberto (Roby) Guerra, vero e proprio catalizzatore di cultura in quel di Ferrara, vede la collaborazione di più teste pensanti della cultura neofuturista e neofuturibile nostrana, tra cui Graziano Cecchini papà del Rosso-Trevi, Vitaldo Conte, Sandro Giovannini, Paolo Melandri, e Antonio Saccoccio, coadiuvati nell’impresa da giovani e meno giovani, navigati lupi di mare e enfants terribles dell’avanguardia italica, tra cui il giovane rampante Luca Siniscalco.
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 L’opera è architettata in una serie di brevi e godibili saggi, che consegnano al lettore un fervido e conciso ensemble di ciò che fu, di ciò che è e di ciò che sarà l’Avanguardia (Da Marinetti a Tzarà, a Dalì, alle folle lisergiche di Woodstock, allo sputnik, ai sogni transumanisti), processo che ha visto un inizio con il Manifesto del 1909, ed un battesimo di fuoco nelle trincee di guerra, che ha accompagnato l’Italia durante gli anni controversi del Fascismo, ma che con contaminazioni e variazioni sul tema attinenti al tempo e allo spazio ha fatto proseliti in tutto il mondo e ancora oggi a più d’un secolo continua ad ispirare i cuori e le menti di nuovi Ulisse dell’arte, della cultura, della vita.

domenica 18 gennaio 2015

Crolla l'alibi pacifista.

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di Gian Micalessin (IlGiornale.it)


Il ministro Paolo Gentiloni, protagonista in Parlamento di una difesa a spada tratta di Greta Ramelli e Vanessa Marzullo, avrebbe fatto meglio a consultarsi prima con i carabinieri del Ros. Carabinieri che, magari, avrebbero potuto mostrare pure a lui le intercettazioni delle telefonate, pubblicate da Il Fatto Quotidiano , tra le due suffragette lombarde e alcuni fiancheggiatori dei gruppi jihadisti siriani. 
Telefonate assai scomode e imbarazzanti. Telefonate da cui emerge con chiarezza come le due ragazzine non ambissero al ruolo di crocerossine neutrali, ma piuttosto a quello di militanti schierate e convinte.  

Militanti tradite dai propri stessi «amichetti» e riportate a casa solo grazie al trasferimento nella cassaforte della formazione al qaidista di Jabat Al Nusra, o di qualche altro gruppetto jihadista, di una decina di milioni di euro sottratti ai cittadini italiani. Milioni con cui i fanatici siriani, o quelli europei passati per le loro fila, potrebbero ora organizzare qualche atto di terrorismo in Italia o altrove nel Vecchio Continente.
Che Greta e Vanessa progettassero di mettere in piedi qualcosa di diverso da una normale organizzazione umanitaria, Il Giornale lo aveva intuito subito dopo il sequestro. Esaminando su Facebook le gallerie fotografiche di «Horryaty» - l'associazione creata assieme al 46enne fabbro di Varese Roberto Andervill - quel che più saltava agli occhi era l'aspetto chiaramente «militare» dei «kit di pronto soccorso» distribuiti da Greta e Vanessa in Siria. I kit, contenuti in tascapane mimetici indossabili a tracolla, assomigliavano più a quelli in dotazione a militanti armati o guerriglieri che non a quelli utilizzati da infermieri o personale paramedico civile. Anche perché la prima attenzione di medici e infermieri indipendenti impegnati sui fronti di guerra non è quella di mimetizzarsi ma piuttosto di venir facilmente identificati come personaggi neutrali, non coinvolti con le parti in conflitto. Un concetto assolutamente estraneo a Greta Vanessa.
Nelle telefonate scambiate prima di partire con Mohammed Yaser Tayeb - un 47enne siriano trasferitosi ad Anzola in provincia di Bologna ed identificato nelle intercettazioni del Ros come un militante islamista - Greta Ramelli spiega esplicitamente di voler «offrire supporto al Free Syrian Army», la sigla (Esercito Libero Siriano) che riunisce le formazioni jihadiste non legate al gruppo alaaidista di Jabat Al Nusra o allo Stato Islamico. L'acquisto dei kit di pronto soccorso mimetici da parte di Greta e Vanessa è documentato dalle ricevute pubblicate sul sito di Horryaty il 12 maggio di quest'anno, subito dopo la prima trasferta siriana delle due «cooperanti». La ricevuta, intestata a Vanessa Marzullo, certifica l'acquisto in Turchia di 45 kit al costo di 720 lire turche corrispondenti al cambio dell'epoca a circa 246 euro. La parte più interessante è però la spiegazione sull'utilizzo di quei kit. Nel rapporto pubblicato su Horryaty, Greta e Vanessa riferiscono con precisione dove hanno spedito o portato latte, alimenti per bambini, medicine e ogni altro genere di conforto non «sospetto». Quando devono spiegare dove sono finiti quei tascapane mimetici annotano solo l'iniziale «B.» facendo intendere di parlare di un avamposto militare dei gruppi armati il cui nome completo non è divulgabile per ragioni di sicurezza. 
Nelle telefonate con l'«amichetto» Tayeb registrate dai Ros, Greta Ramelli si spinge invece più in là. In quelle chiacchierate Greta spiega che i kit verranno distribuiti «a gruppi di combattimento composti solitamente da 14 persone». Spiegazione plausibile e circostanziata visto che in ambito militare una squadra combattente, dotata di uno specialista para-medico, conta per l'appunto dalle 12 alle 15 unità. L'elemento più inquietante, annotato dai Carabinieri del Ros a margine delle intercettazioni, sono però i contatti tra l'«amichetto» Tayeb e Maher Alhamdoosh, un militante siriano iscritto all'Università di Bologna e residente a Casalecchio del Reno. Con Maher Alhamdoosh s'erano coordinati - guarda un po' il caso e la sfortuna - anche Amedeo Ricucci, Elio Colavolpe, Andrea Vignali e Susan Dabous, i giornalisti italiani protagonisti nella primavera 2013 di un reportage in Siria conclusosi anche in quel caso con un bel sequestro. Un sequestro seguito da immancabile ed esoso riscatto pagato, anche allora, dai generosi contribuenti italiani.

sabato 17 gennaio 2015

TERRORI$MO I$LAMICO



L’attacco terroristico avvenuto nei giorni scorsi a Parigi ha portato alla ribalta di tutto il Mondo il problema del fondamentalismo islamico (da non confondere con la religione islamica). 
L’Europa si trova sicuramente in una situazione difficile ed è quanto mai necessario prendere le dovute precauzioni per ridurre al minimo il rischio del ripetersi di tali eventi. Allo stesso tempo però è necessario riflettere sul fatto che questi gruppi fondamentalisti sono il frutto di politiche dissennate,portate avanti dagli israeliani e americani con l’appoggio degli alleati europei e mediorientali. 
Con le guerre in Iraq, Afganistan e le Primavere Arabe sono stati destituiti presidenti di stampo laico che non lasciavano spazio a fondamentalisti ed estremisti. Per far cadere questi governanti, spesso, sono stati armati coloro che oggi progettano atti terroristici contro i cittadini occidentali.
Si sono così create delle aree in cui il terrorismo è proliferato liberamente, grazie all’assenza di autorità territoriali che lo contrastassero.
Ultimamente Obama ha provato a riproporre questo copione anche in Siria dove però, fortunatamente, le pressioni internazionali hanno evitato la caduta del Presidente Assad, l’unico che sta realmente combattendo l’ISIS e le altre organizzazioni terroristiche islamiche. 
A questo punto è ben chiaro che dobbiamo condannare non solo il terrorismo,ma anche coloro che di fatto lo hanno creato.

FOIBE: IO NON SCORDO. MANIFESTAZIONE A FIRENZE...


Come da tradizione, anche quest’anno la destra fiorentina, unita dal tricolore, ricorderà i MARTIRI DELLE FOIBE. Ricorderemo le decine di migliaia di innocenti torturati e uccisi, gettati vivi - spesso a guerra terminata - nelle cavità carsiche del confine orientale. Innocenti che sono stati uccisi due volte: dall’odio comunista dei partigiani titini e dall’oblio di una cultura imposta e faziosa che ha relegato questa tragedia sotto silenzio. Una pulizia etnica su vasta scala della quale ancora si stenta a parlare a causa dell’imbarazzo provato da certa sinistra, all’epoca connivente con i carnefici. Ricorderemo le vittime di un odio cieco, massacrati perché “colpevoli” di essere italiani e di non voler rinnegare la propria italianità.

Ci saremo perché crediamo che la Patria non sia soltanto un’eredità dei nostri padri, ma un prestito dei nostri figli. Ci saremo perché l’appartenenza alla nostra Terra e i valori della nostra Civiltà si difendono anche onorando il sangue versato. Ci saremo perché vogliamo tramandare a chi verrà dopo di noi il senso di una memoria condivisa, l’amore per l’identità nazionale e la precisa volontà di far parte di un Popolo che sia prima di tutto una Comunità cosciente delle proprie radici, orgogliosa dei sacrifici e pronta ad affrontare il futuro a testa alta e senza paura. 

Perchè la nostra missione non è soltanto quella di vivere il presente e di onorare il passato, ma anche di costruire il futuro nel solco di quei principi etici e morali che sono il solo e vero antidoto per salvarci dalla crisi in atto. Perché abbiamo il dovere di fare i conti con la storia, tutta, senza omissioni di comodo e revisionismi di parte. Perché anche a Firenze deve tornare a sventolare il tricolore e noi faremo sventolare i nostri dal punto più alto della città, guardandola in tutto il suo splendore. 

MANIFESTAZIONE TRICOLORE
SABATO 14 FEBBRAIO 2015 ORE 16 
PIAZZALE MICHELANGELO - FIRENZE

FIACCOLATA, PRESIDIO, INTERVENTI, TESTIMONIANZE

giovedì 15 gennaio 2015

Il governo delle chiacchiere

Durante il discorso di chiusura del Semestre Europeo dell'Italia Renzi ha detto che: <<Le famiglie italiane hanno visto crescere i propri risparmi>>
A contraddirlo sono ancora una volta i dati, questa volta della Banca d'Italia che attesta un progressivo impoverimento delle famiglie italiane.

ANCORA GLI CREDETE?

L’anima persa in un centro commerciale



di Marcello Veneziani


Mi hanno deportato nel più grande centro commerciale d’Italia, sorto da pochi giorni a due passi da Roma. Sono venuti a prelevarmi all’aeroporto di Fiumicino ed io credevo che fosse un gesto per portarmi a casa. Invece mi hanno sequestrato affettuosamente, adottando subdoli motivi e allettanti occasioni, e mi hanno tenuto per svariate ore in questo gigantesco consumificio dove pascolano migliaia di individui beati con carrello, tra zone residenziali e innumerevoli negozi. Eccitati, quasi commossi, mi hanno mostrato dove sorge la multisala con ventiquattro sale cinematografiche, poi il più grosso ipermacrosupermercato che ci sta;infiniti ambulacri dove sciami di insetti umani ronzavano sereni; mi hanno fatto vedere i siti dove sorgeranno 40 nuovi ristoranti, che si aggiungono ai 40 già assediati da un’umanità affamata e benestante. Tutto è bello, futuribile, anche gli aerei che scendono a pelo sulla nuova città-mercato, e sembrano anch’essi ciclopici carrelli per la spesa. Palazzi ben costruiti, piazze affollate, fiumane di auto, niente mi dice se siamo a Roma o negli Emirati arabi, in America o a Hong Kong. C’è tutto, nel nuovo, leonardesco centro dei Caltagirone. Ma proprio tutto. Tu che vivi qui, dicevano ad un nuovo abitante di Tuttopoli, non hai bisogno di muoverti, la multisala, la palestra, fitness, hai tutto qui. Arrivi col carrello della spesa dentro casa tua. Erano contenti. Mi ha preso alla gola un senso d’angoscia: come, non hai più bisogno di muoverti, vuol dire che per te è finita? Ti dai al volontario ergastolo, ti chiudi felice nella prigione dorata, e fai tutto qua, vita morte e consumo?

Ho cominciato a sognare i posti dove mancano le cose, dove sei costretto a muoverti per via della Benedetta Carenza; dove esci di casa e vai in piazza. Ho cominciato a idealizzare l’imperfezione delle vecchie cittadine, dei borghi confortevoli, dove ogni pezzo importante lo devi andare a prendere in città o devi ordinarlo e ti arriverà tra giorni. La perfezione mi spaventa, la totalità esaudita mi atterrisce. Se non hai un altro mondo a cui attingere, verso cui tendere, sei finito. La regolarità geometrica di questi spazi, queste aiuole, questi palazzi, mi fa star male. Benvenuti nella Roba Esaudita. Preferisco l’irregolarità, l’imprevisto, in questo caso amo perfino l’abusivo e l’eccessivo.

Ma cos’è che non va, cosa ti senti? Non so, sussurro a mezza voce, sono contento per voi, è tutto bello e funzionale e utile e conveniente. È il massimo che si possa fare per la felicità. Ma non so cos’è questa vita da automi benestanti, qualcosa sento mancare, di fondamentale. Non esagerare, non farti prendere dai rigurgiti da fondamentalista arcaico; non pasolineggiare, non fare il mistico, questa gente è contenta di vivere, non nulla di male, perché glielo vuoi impedire? E poi, non semplificare, non vivono solo per il carrello, non sono solo consumatori. Amano, soffrono, sognano, godono, come te; hanno i loro hobby, avranno le loro nicchie in cui si esprimono creativamente, andranno persino in chiesa a pregare o in galleria a vedere le mostre, magari leggono. Ma sì, sarà così. Non cadere nella trappola dei nemici della modernità o negli imbecilli che fanno le crociate contro la Coca-cola. Anch’io come Bertinotti e Bossi offro chinotto a chi viene a trovarmi, non coca;ma un conto è una libera scelta individuale, un altro è frane una crociata. Per la stessa ragione, se questo Villaggio che sorge presso un centro commerciale non è nei tuoi gusti, sei libero di non frequentarlo, ma non farne una crociata contro, rispetta chi pensa altrimenti. Ci mancherebbe, nulla da eccepire. Però lasciate che io dubiti di queste rassicurazioni. Sospetto che a lungo andare il carrello diventi un prolungamento del corpo e il discount colonizzi un emisfero cerebrale. Siete sicuri che chi preferisce trascorrere il proprio tempo scarrozzando in questi santuari del Commercio abbia poi voglia, tempo e indole per arte, religione, lettura, vita interiore e vita di comunità? Siete sicuri che poi sarà un uomo libero e pensante? Cosa ci unisce in questo luogo se non il,fatto di essere consumatori? E basta questo per fondare una cittadinanza?

A me il mercato non è mai dispiaciuto, a differenza dei compagni; ma qui vedo realizzato un modello che ho sempre avversato, non il mercato dentro le città, ma la città dentro il mercato. Non dunque un mondo vario, fatto di chiese, piazze e mercato, di storia e di vita comunitaria, di palazzi antichi e di luoghi consacrati. Ma un Gran Mercato dove c’è Tutto, e introno dentro, ai margini di esso, qualche ricreazione funzionale allo scopo supremo. Vieni qua che ti offro un campioncino d’acqua santa, preferisci il piercing figo o le stimmate sante? Consumare, consumare.

La migliore descrizione del Centro Commerciale l’ho trovato in Tocqueville, risale all’800: “Vedo una folla smisurata di essere simili che volteggiano su se stessi per procurarsi piccoli piaceri… Ognuno di essi, ritiratosi in disparte, è come straniero a tutti gli altri, eccetto i figli e i pochi intimi; il resto dei cittadini è lì accanto a lui ma non lo vede; vive per sé solo e in sé… Al di sopra di questa folla vedo innalzarsi un immenso potere tutelare che si occupa di assicurare ai sudditi il benessere… È assoluto, metodico, minuzioso, previdente e persino mite, li tiene un un’infanzia perpetua, provvede alla sicurezza, ai bisogni, ai piaceri, si cura degli affari, toglierebbe loro la fatica di vivere e di pensare. Un potere che non spezza ma ammollisce, inebetisce”. Tocqueville pensava al futuro uno Stato dispotico, e invece descriveva un odierno centro commerciale…

In questi enormi spazi gremiti di vuoto e sovraffollati di gente in vacanza da sé, sento mancare l’alito caldo della Tradizione, qualcosa che si tramanda ma che è vita, che racconta di chi non c’è più, di chi è lontano, di chi è ancora, e perfino di chi verrà dopo di noi.

Qui tutto è presente, anzi il Presente è Tutto. Mi prende la nostalgia degli assenti, di coloro che non ci sono, che ci furono, o che saranno, mi prende l’angoscia del tempo e la passione per quel che non appartiene all’attimo fuggente, che non può entrare nel carrello, che non puoi parcheggiare alla fila tredicesima, angolo e. Vorrei avvicinarli a uno a uno e gridare: ma sapete che si muore, non potete fare come gli struzzi e mettere la testa dentro il carrello. Sono invocazioni primitive e sterili di cui debbo in fretta liberarmi, come di una patologia, così mi suggerisce tutto l’Apparato. E se invece, in quella’inquietudine, si è trincerata l’ultima traccia di umanità, l’ultimo straccetto invisibile che denominiamo anima. Dov’è l’anima nel Centro Commerciale? Alla cassa? All’entrata ,depositata negli appositi armadietti? In direzione o all’ufficio reclami? Avviso alla clientela. Si è smarrita una bimba di nome Anima, di anni imprecisati. I titolari sono pregati di venire a ritirarla all’uscita.

lunedì 12 gennaio 2015

La farsa del corteo di Parigi

 
 da L'Inellettuale Dissidente

Quasi due milioni di persone e quarantacinque capi di stato hanno partecipato ieri a Parigi al corteo contro il terrorismo, una mobilitazione senza precedenti a seguito del massacro della redazione del settimanale Charlie Hebdo. Tra i presenti, diversi leader: Francois Hollande, Angela Merkel, Matteo Renzi, David Cameron, Mariano Rajoy, Martin Schulz, Jean Claude Juncker, e perfino Benjamin Netanyahu e Petro Poroshenko. In sintesi, il fiore all’occhiello delle élites del mondo Occidentale. Quella andata in scena ieri a Parigi tuttavia non è stata una manifestazione di solidarietà ne tantomeno un occasione sincera per dire no al terrorismo, ma una vera e propria farsa mediatica. Qualcuno sembra aver improvvisamente riscoperto che il terrorismo non è solo un elemento attraverso cui destabilizzare stati sovrani, ma un nemico da combattere con fermezza. I vari Hollande, Cameron, Merkel e Netanyahu, hanno già dimenticato la scia di sangue che hanno contribuito a far scorrere in Siria in questi ultimi anni per rovesciare il regime di Bashar Al Assad. Il sostegno, economico e militare, che insieme hanno fornito a diverse fazioni terroristiche islamiche – come Al Nusra, Al Qaida e ISIS – rende evidente una semplice e banale considerazione: l’ipocrisia che i leader dell’Occidente mettono continuamente in mostra manipolando l’opinione pubblica mondiale.
Il copione è sempre lo stesso: da una parte ci si mostra uniti e decisi a combattere insieme un nemico pericoloso ed imprevedibile, dall’altra lo si utilizza per i propri scopi anche a costo di isolare chi quel nemico lo combatte veramente. Il 18 Giugno del 2014 il presidente siriano Bashar Al Assad ha rilasciato delle dichiarazioni che suonano oggi profetiche: “L’Occidente e i Paesi che sostengono l’estremismo e il terrorismo in Siria e nella regione devono rendersi conto che questa minaccia crescente sta per colpire tutti, in particolare i Paesi che hanno sostenuto il terrorismo e gli hanno permesso di svilupparsi” L’attentato alla redazione di Charlie Hebdo può essere interpretato utilizzando diversi elementi e punti di vista: fattori religiosi, etnici/culturali, economici, sociologici e politici; in riferimento alla questione dell’immigrazione clandestina e al modello di integrazione costruito dalla Francia nel corso degli ultimi anni.
Diverse cose sono state dette e scritte in questi giorni, tuttavia in pochi hanno fatto notare come la vera ragione di questa mobilitazione e spasmodica attenzione mediatica non sono stati i 12 morti di mercoledì scorso; ma la paura, il terrore con cui l’Occidente, in modo ipocrita, è tornato a fare i conti: la consapevolezza di essere inermi ed indifesi di fronte a qualcosa di cui non si ha più il controllo. Dopo decenni passati a fare delle fazioni terroristiche islamiche l’arma attraverso cui rovesciare e isolare paesi ritenuti scomodi – dalla Russia, alla Siria, all’Iran – l’Europa oggi si trova di fronte ad un bivio: decidere di combattere realmente il terrorismo attraverso la costruzione di intelligence condivise proprio con quei regimi ritenuti come il male assoluto, oppure continuare a fare finta di niente, sperare semplicemente che tutto ciò non accada più, e dopo, al massimo, sfilare in corteo per pulirsi la coscienza, senza girare a guardare quella di scia di sangue che oggi ci si è ritorta contro.

sabato 10 gennaio 2015

La conquista del K2, un orgoglio tutto italiano


di Giuseppe Contarino (Barbadillo)

Erano i primi anni ’50. L’Italia, da poco una Repubblica, era un Paese zoppicante bisognoso della stampella del Piano Marshall e con ancora le ferite fresche inferte dal secondo conflitto mondiale, una guerra che tra le molte vittime aveva colpito duramente anche l’amor proprio della nazione.

Ci voleva un sogno, qualcosa di grande in grado di restituire agli Italiani la fierezza di una stirpe antica, cancellando – o almeno nascondendo in parte – il marchio infame di sconfitti e voltagabbana. Fu con questo spirito che Ardito Desio, geologo ma anche esploratore, presentò all’allora presidente De Gasperi l’impresa che avrebbe ridato lustro alla patria:conquistare la vetta del K2.

Una spedizione al limite dell’impossibile, tenuto conto che l’anno prima, il 1953, anche gli invincibili americani si erano dovuti arrendere poco prima della cima. Eppure è così che si scrivono le pagine di storia.

Con disciplina militaresca (tanto da beccarsi il soprannome di ducetto) e rigore scientifico, Desio organizzò la missione che, impiegando 12 dei migliori alpinisti italiani, avrebbe raggiunto la seconda cima più alta del mondo. Utilizzando una tecnica d’assedio basata sull’installazione di numerosi campi di avvicinamento prima dell’assalto finale (addirittura 9, contro i 7 impiegati l’anno prima dagli statunitensi), la squadra italiana avrebbe poco per volta scalato il versante pakistano del Karakorum e, attraverso la verticalissima via nota come “sperone Abruzzi”, guadagnato un posto nella storia. Fu così che il 31 luglio 1954 Achille Compagnoni e Lino Lacedelli piantarono il tricolore in vetta.

Purtroppo alla gioia della conquista seguirono aspre polemiche, poiché nella versione ufficiale resa da Desio fu completamente ignorato il fondamentale apporto di Walter Bonatti e dell’hunza Amir Mahdi i quali, pur costretti ad un bivacco all’addiaccio a ben 8.100 metri di quota, ebbero il merito di trasportare le bombole d’ossigeno senza le quali Compagnoni e Lacedelli non sarebbero mai riusciti a giungere in vetta. (Per la cronaca, solo nel 2004 si arriverà al definitivo chiarimento di come andarono i fatti).

Ma al di là delle chiacchiere “di valle” ciò che resta è la conquista: Compagnoni, Lacedelli, Bonatti, Abram, Floreanini, Pagani, Gallotti, Puchoz, Angelino, Rey, Viotto e Soldà verranno ricordati come quegli italiani che, con i loro pregi ed i loro difetti, anche a costo della vita, riuscirono comunque a regalare un grande sogno all’Italia intera.

martedì 6 gennaio 2015

Il Financial Times scopre il fascista Sironi: è stato un grande maestro

Il Financial Times scopre il fascista Sironi: è stato un grande maestro

di Gloria Sabatini (Secolo d'Italia)

La perfida Albione scopre il fascista Mario Sironi, il grande pittore amico di Mussolini che nel 1915 si arruolò nel Battaglione Volontari Ciclisti insieme a Boccioni, Marinetti e Sant’Elia. Il 30 dicembre, con raro spregio del “pericolo”, il Financial Times ha dedicato un lungo articolo di Rachel Spence al grande Maestro del Novecento che, dopo vent’anni di silenzio, è tornato a Roma con una grande retrospettiva (fino al 9 febbraio) nel complesso del Vittoriano.

Ingiustamente trascurato

«Oggi, il nome di Mario Sironi è a malapena conosciuto fuori d’Italia. Anche lì, la sua reputazione di artista è stato “sporcata” dalla sua politica fascista» è l’incipit della recensione dal titolo “Mario Sironi 1885-1961 Il complesso del Vittoriano, una mostra sterling” (genuina, pura, ndr) di opere di questo artista italiano ingiustamente trascurato”. Novanta dipinti, bozzetti, riviste, e un importante carteggio con il mondo della cultura del Novecento mettono in chiaro la statura europea di Sironi, dal simbolismo degli inizi alla stagione futurista e metafisica fino alla pittura murale degli anni Quaranta (Il lavoratore e L’Impero del 1936). «Evviva allora – scrive il quotidiano londinese – per questa mostra che raccoglie dipinti, opere su carta, studi per i murales pubblici che sono stati commissionati dal regime di Mussolini, e, soprattutto, gli ultimi, meravigliosi, dipinti del dopoguerra».

Mussoliniano doc

«Sironi è stato mussoliniano – spiega la curatrice della mostra romana, Elena Pontiggia – ma, per parafrasareVittorini, non ha mai suonato il piffero della rivoluzione fascista perché la sua arte, intrisa di dramma, era più funzionale alla verità che alla propaganda». Ma insomma, si chiede il Ft, quanto la politica ha influenzato l’opera di Sironi? «Una volta ha detto di aver trovato la politica “indigesta” e ha dichiarato che il lavoro del gruppo di Novecento era privo di “intento politico”. Inconsciamente, però, sembra aver intuito la miseria latente del credo fascista…», scrive il giornalista timoroso di spingersi troppo in là nella fascinazione per il grande pittore-architetto dalla vocazione sociale. E allora arrivano i “necessari” chiaroscuri: «Una serie di paesaggi urbani – “Paesaggio urbano con camion” (1920), “The Tram” (1920), “Il Duomo” (1921) – mostra un mondo spogliato fino all’essenziale più tetro. In grigi scoscesi e marroni di fango, Sironi dipinse strade vuote fiancheggiate da edifici angolari, senza luce. Qua e là, la presenza di umanità anonima – un cavaliere solitario, un autista in una berlina nera, un camion senza finestre – aggrava lo stato d’animo di perdita esistenziale».

Il fascismo di sinistra

Per Sironi, invece, come si deduce dai suoi scritti, il fascismo significa «il sogno di una rinascita dell’Italia, e quindi dell’arte italiana». Ma anche il desiderio di «andare verso il popolo», per usare l’espressione del Duce, dunque il sogno di un’arte destinata non ai salotti e ai facoltosi collezionisti, ma alle piazze e ai muri degli edifici, per tutti. Quando Arturo Martini, nel 1944, diceva che Sironi «credeva di essere fascista, invece era d’animo bolscevico e quasi abissale» voleva indicare il senso del fascismo sironiano, un fascismo “immenso e rosso” per dirla con Brasillach. Ma questo il quotidiano della City non poteva saperlo.