di Lorenzo Vitelli (L'Intellettuale Dissidente)
E’ negli articoli usciti tra il 1973 e il 1975 sul Corriere della Sera che Pier Paolo Pasolini, nelle vesti di giornalista corsaro, passa al vaglio la rivoluzione antropologica italiana, e lo fa magistralmente, senza l’iperbolico uso di una terminologia sociologica, senza derive accademiche né l’impiego pleonastico – tremendamente attuale - di aggettivi riempitivi, ma con sguardo lucido, incollato, quotidianamente, alla realtà delle cose e al mito e alla simbologia che perennemente le investe, ci da il quadro forse più umanamente veritiero di quegli anni, lasciandoci tutti gli strumenti per interpretare a nostra volta la realtà. Scriveva Pasolini:
“La Famiglia è tornata ad essere una realtà più solida, più stabile, più accanitamente privilegiata di prima. [...] Perché? Perché la civiltà dei consumi ha bisogno della famiglia. Un singolo può non essere il consumatore che il produttore vuole. Cioè può essere un consumatore saltuario, imprevedibile, libero nelle scelte, sordo, capace magari del rifiuto: della rinuncia a quell’edonismo che è diventato la nuova religione. La nozione di « singolo » è per sua natura contraddittoria e inconciliabile con le esigenze del consumo. Bisogna distruggere il singolo. Esso deve essere sostituito (com’è noto) con l’uomo-massa”
Da questa considerazione, sicuramente plausibile a suo tempo, possiamo muoverci per costatarne il radicale stravolgimento. Quello che Pasolini chiamava Potere, quel “tutto transnazionale” che smania di attuare fino in fondo lo Sviluppo: produrre e consumare, sembra aver cambiato radicalmente strategia. Prendere le mosse dalla riflessione pasoliniana, ovvero dalla necessità, da parte di questo Tutto, di massimizzare perennemente la sua base di consumo, deve portarci a ribaltare le polarità, asserendo che proprio oggi la famiglia è divenuta un ostacolo all’amplificazione di questa piattaforma estesa a tutte le forme di esistenza, e proprio l’individualismo, paradossalmente, in un contesto che rimane “di massa”, vi è divenuto funzionale.
Di fatto all’interno del contesto famigliare, il consumo è limitato alle necessità estrinseche della famiglia medio-borghese, a quel consumo strumentale alla salvaguardia, al comfort e allo svago (frigorifero, ferro da stiro, lavatrice, televisione), che si argina perché è con-diviso, e perciò stesso non può invadere l’immaginario del singolo, non può soggiogare il sogno individuale né appagare il proprio narcisismo divenendo simbolo di riconoscimento distintivo dell’uno. Necessariamente, quindi, quando scriveva Pasolini, i figli litigavano per l’uso del telefono fisso, e la televisione era una sola (e si guardava in comunione), mentre oggi il cellulare è divenuto attributo delle singole personalità pur rimanendo simbolo collettivo e immancabile. Le televisioni si sono moltiplicate sino ad irrompere in ogni stanza, grazie proprio all’autonomia che si è concessa in luogo di consumo agli individui, slegati sia dalla famiglia che dalla comunità, con cui non si spartisce spiritualmente e materialmente alcunché. Si condivide non l’oggetto ma l’immaginario collettivo della possessione dell’oggetto.
Invero la nozione di “singolo” non è più inconciliabile, come sosteneva Pasolini, con le esigenze del consumo, perché la potenza pubblicitaria e mediatica del Tutto è tanto onnipervasiva da contenere l’indipendenza individuale (la “libertà” di scelta) nello spazio massificato (l’idea collettiva di possesso di determinati oggetti di consumo). E’ tra questi due elementi che emerge la contraddizione, avvalorata costantemente dallo stesso oggetto (ora tecnologico) del consumo, da un lato appannaggio dell’uno, dall’altro genericità universale. Il cellulare è sempre più personalizzabile, tramite colori, salvaschermo, codici, suonerie e varie, è sempre più individuale, quanto connesso, e quindi standardizzato, ad un format unanimemente leggibile e perciò monetizzabile. Non è con-diviso, ma piuttosto la necessità collettiva di possedere il cellulare è suddivisa per ogni soggetto, nello spazio massificato. A questo punto la famiglia, come comunità primaria, può a ragione essere liquidata, se l’immaginario collettivo è stato scandito da una modalità di consumo che crea mediaticamente e risponde a bisogni formattati per i singoli. Questo non spiega, nella sua totalità, un calo della celebrazione dei matrimoni dell’1,2% annuo a partire dal 1972, né un aumento, negli ultimi sedici anni, del 65% del tasso di separazioni, ma rimane esplicativo nel chiarire un’antropologia essenzialmente nuova dell’uomo sradicato, incapace di operare quell’atto con-diviso che mantiene vivo un legame interpersonale. Egli consuma singolarmente l’oggetto universale, e partecipa al simbolo collettivo del suo possesso. In proposito il termine I-phone è significativo, mettendo in risalto le due polairtà della contraddizione, da un lato l’Uno, l’Io, dall’altro l’Oggetto Universale “telefono”. Il singolo crea la sua personalità nello spazio massificato sino a creare quel paradosso che Pasolini riteneva impossibile: l’uno-massa, aumentando esponenzialmente quella base di consumatori che la famiglia, seppure borghese, arginava. Questa famiglia borghese minima, come sostituto metropolitano della famiglia allargata rurale, fu il ponte di transizione verso l’attuazione definitiva dell’ultimo trasformismo della civiltà dei consumi, finalmente totalizzante.