martedì 2 settembre 2014

Vittorio Vik Arrigoni, colui che riuscì a restare umano nell’ecatombe palestinese



di Francesco Boezi (L'Intellettuale Dissidente)

Per rendere onore alla memoria di Vittorio Arrigoni è importante sottolineare che si tratta principalmente della storia di un uomo. Sarebbe abbastanza inutile elencare le sue esperienze di cooperazione umanitaria, le vicende che lo hanno posto al centro della cronaca giornalistica dei primi anni duemila si trovano ovunque, quello che è più complesso da analizzare è il ruolo forte che riuscì a costruirsi nel panorama della verità raccontata con crudo realismo sulle vicende della striscia di Gaza e quanto queste abbiano tormentato la sua esistenza di reporter, di scrittore e di uomo già prima del rapimento e dell’omicidio di cui fu vittima. Le fonti saranno fondamentali per una comprensione piena e vera di quanto “Vik” come si firmava e come voleva essere chiamato, abbia seminato e raccolto prima di tutto umanamente e poi anche storicamente con il semplice utilizzo del suo coraggio e della forza della verità. Sul suo blog http://guerrillaradio.iobloggo.com/ si legge nell’intestazione: “Guerriglia alla prigionia dell’Informazione. Contro la corruzione dell’industria mediatica, il bigottismo dei ceti medi, l’imperdonabile assopimento della coscienza civile. La brama di Verità prima di ogni anelito, l’abrasiva denuncia, verso la dissoluzione di ogni soluzione precostituita, L’infanticidio di ogni certezza indotta. La polvere nera della coercizione entro le narici di una crisi di rigetto. L’abbuffata di un pasto nudo, crudo amaro quanto basta per non poter esser digerito.” Un nitido anticonformismo volto a scardinare la prassi comunicativa dei mezzi di comunicazione tradizionali, afferenti al pensiero unico e vittime della logica per cui l’equilibrio delle parti la fa sempre da padrone rispetto la volontà di sapere la verità. Se si dovesse scegliere un personaggio della storia delle letteratura per accostarlo ad Arrigoni, questi potrebbe essere Don Chisciotte. Con la stessa lucida follia la sua vita è stata un eterno scagliarsi addosso ai mulini a vento del conformismo, dell’asservimento e del pensiero totalizzante di chi raccontava una storia non vera, facendolo dal fronte,sul posto, accostandosi quotidianamente alla tragedia e alla morte, così vicino da essere risucchiato egli stesso. Come Don Chisciotte, Arrigoni operò il tentativo folle di rendere la realtà quanto più possibile simile ai suoi sogni più profondi, al suo desiderio di giustizia e alla sua conclamata umanità. Scrive Ramzy Baroud (www.ramzybaroud.net) giornalista internazionale e direttore di PalestineChronicle.com: “Scrivendo sul Guardian UK da Roma, il 15 aprile, John Hooper asseriva: “La vita di Arrigoni era tutt’altro che sicura. Nel settembre 2008 fu ferito (dalle truppe israeliane) mentre accompagnava pescatori palestinesi in mare. Due anni fa ricevette minacce di morte tramite un sito web di estrema destra americano, che forniva agli aspiranti assassini una sua foto e alcuni dettagli fisici, come un tatuaggio sulla spalla”. (Il sito è http://stoptheism.com/). E ancora: “Oltre al dolore, l’omicidio ha portato la disperazione a Gaza”, si legge in un editoriale del giornale inglese The Independent del 16 aprile. “Non solo Arrigoni era molto conosciuto e amato, ma non è sfuggito a nessuno che il suo sequestro è stato il primo dopo quello del giornalista della BBC Alan Johnson nel 2007.” Una vita spesa per la difesa e la promozione dei diritti umani ma una vita donata, nel vero senso della parola, alla causa della Palestina. Una persona evidentemente convinta che le opere avessero un valore maggiore rispetto ad altri atti caritatevoli ma meno incisivi sul piano della realtà. Documenti, filmati, articoli, blog, qualunque strumento potesse essere utile alla promozione dei suoi ideali, Arrigoni lo utilizzava e non sono in pochi, tra tutti Amos Oz, ad aver avvertito “Vik” della possibilità concreta che la sua attività stesse risultando scomoda a molti. La polemica con Saviano, poi, balzò alle cronache anche per la verve con la quale Arrigoni criticò un personaggio apparentemente intoccabile, un dibattito lungo sull’operazione “piombo fuso” che permise ad Arrigoni di farci conoscere molto meglio tanti lati di una storia che sino ad allora appariva torbida, raccontata in modo interessato o più semplicemente mal raccontata. Scrive Arrigoni: “Ci sono terribili catastrofi naturali inevitabili a questo mondo, come i terremoti e gli uragani. A Gaza è in corso una catastrofe umanitaria innaturale perpetrata da Israele ai danni di un popolo che vorrebbe ridotto alla più completa miseria e sottomissione. Una popolazione disperata che non trova più il latte e il pane per nutrire i suoi figli. Che non piange neanche più i suoi lutti perchè anche agli occhi è stata imposta una dieta ferrea. Il mondo intero non può ignorare questa tragedia e, se lo fa, non includeteci in questo mondo”. La sua capacità narrativa è cruda, tragicamente diretta ad infondere nel lettore tutte le sensazioni che possono essere provate ad aver scelto di essere partecipi di una enorme sofferenza umana: “Avete presente Gaza? Ogni casa è arroccata sull’altra, ciascun edificio è posato sull’altro. Gaza è il posto al mondo a più alta densità abitativa, per cui se bombardi a diecimila metri di altezza è inevitabile che tu faccia una strage di civili. Ne sei cosciente e colpevole, non si tratta di errore, di danni collaterali. Così bombardando la caserma di polizia di Al Abbas, in pieno centro, è rimasta coinvolta nelle esplosioni anche la scuola elementare lì a fianco. Era la fine delle lezioni e i bambini erano già in strada, decine di grembiulini azzurri svolazzanti si sono macchiati di sangue. Durante l’attacco alla scuola di polizia Dair Al Balah, si sono registrati morti e feriti nel suq vicino, il mercato centrale di Gaza. Abbiamo visto corpi di animali e di uomini mescolare il loro sangue in rivoli che scorrevano lungo l’asfalto. Una Guernica fuoriuscita dalla tela per trasfigurarsi nella realtà.” L’attualità della questione dei diritti umani a Gaza è stata violentemente rimessa al centro del dibattito internazionale in questi mesi ed è soprattutto per questo che le figure come quella di Vittorio Arrigoni non devono essere buttate nel dimenticatoio ma raccontate con costanza in modo da porre l’accento su quanti come lui possano servire da esempio ai tanti che si occupano attivamente o passivamente della difesa delle popolazioni inerme di Gaza. “Vik”, per essere chiari, si è schierato apertamente, durante la propria permanenza in Palestina, sia contro la politica di Hamas sia contro la politica di al-Fath in Cisgiordania, dimostrando la assoluta veridicità del suo impegno a favore dei diritti umani e smentendo quanti sostennero che si trattasse più semplicemente di un antisionista militante. Un uomo che ha vacillato come è naturale che sia, dinanzi allo sgomento che può provarsi quando gli attori internazionali che dovrebbero recitare delle parti, ne recitano altre, come egli stesso scriveva, facendo trasparire anche un velo di tristezza: “Vi confesso che il mio «restiamo umani» ha vacillato spesso in questi ultimi giorni, ma resiste. Resiste come l’orgoglio, l’attaccamento alla terra natia intesa come identità e diritto all’autodeterminazione della popolazione di Gaza, dai professori di Gaza alla gente incontrata per strada, medici e infermieri, reporter, pescatori, agricoltori, uomini, donne adolescenti, quelli che hanno perso tutto e quelli che non avevano più nulla da perdere, fino all’ultimo fiato in gola mi esprimono l’inshallah di una vittoria vicina, il sincero convincimento che le loro radici raggiungono profondità tali da non poter essere recise da alcun bulldozer nemico.” Il premio Nobel per la Pace è stato consegnato a tanti, tantissimi protagonisti della nostra storia contemporanea di cui si potrebbe discutere per giorni. Due su tutti, Barack Obama e l’Europa. Senza scendere troppo nei dettagli che sposterebbero troppo il focus della questione, verrebbe da suggerire come siano i personaggi come Arrigoni che nella realtà dei fatti abbiano cercato, fino alla morte, di raccontare le condizioni umane delle popolazioni inerme e spingere con tutte le forze gli enti sovranazionali a far sì che le condizioni per una reale pace duratura venissero messi in essere. Verrebbe da chiedersi, inoltre, se non è anche questo un caso in cui “le piccole mani muovono le ruote del mondo”, smascherando la nudità e la complicità delle mani dei giganti. Vittorio Arrigoni è morto, ucciso da un gruppo terrorista dichiaratosi vicino all’area jihadista salafita. In molti hanno fatto dell’ironia sul fatto che egli sia stato ucciso dalle popolazioni che stava cercando di difendere, altri dubitano persino che la mano dell’assassino di Arrigoni sia quella che si è dichiarata tale. Ma queste sono paradossalmente piccolezze rispetto all’opera di sensibilizzazione che il nostro ha fatto, soprattutto in Italia, rendendoci tutti un po’più consapevoli e responsabili, testimoniando con l’esempio che è veramente possibile sconvolgere l’opinione pubblica con il semplice utilizzo di una videocamera, di una fotocamera e di un mezzo per scrivere. Restare umani in un panorama mondiale che va in tutta altra direzione è un appello più forte di quanto debolmente potrebbe apparire, significa anzitutto mettersi in gioco per l’umanità, sentendo nel profondo la domanda di riconoscimento dei drammi altrui, significa cancellare se stesso e mettersi a disposizione della storia, donandosi completamente ad una causa. Significa a volte perdere la vita. Restare umani non è come sembrerebbe una espressione esasperatamente buonista, significa fare un bagno nella tragedia e cercare di restare in piedi. Non è facile essere umani, Vittorio Arrigoni ci è riuscito.