di Mario De Fazio (Barbadillo)
“La democrazia è la capacità di un popolo di partecipare al proprio destino” sosteneva Moeller van den Bruck, filosofo tedesco tra i principali interpreti della Rivoluzione Conservatrice. “Senza sovranità non può esservi democrazia” aggiunge oggi il filosofo Diego Fusaro. Il giovane “allievo indipendente” di Marx individua nella Russia di Putin quel modello di “democrazia sovrana” capace di opporsi con “un’eroica resistenza” al modello unico che ha negli Usa “il braccio armato del capitalismo finanziario” e nel politicamente corretto il “proprio equivalente culturale e sovrastrutturale”. Putin come speranza di un mondo multipolare, in cui la pluralità non soccomba dinanzi all’unica ideologia vincente, il liberalismo. E se le vicende della Grecia delle ultime ore segnano una novità per il nuovo protagonismo del popolo, anche dinanzi alle giravolte di Tsipras, Fusaro individua nel capitalismo finanziario il vero nemico, raccogliendo l’invito di De Benoist rispetto alla creazione di nuove sintesi che oltrepassino le categorie destra-sinistra. Torna attuale la lezione di Mao, che diceva: “Non importa di che colore sia il gatto, l’importante è che mangi il topo”.
Fusaro, Dostoevskij fa dire al protagonista de “L’Idiota” che “chi ha rinunciato alla propria terra, rinuncia al proprio Dio”. Oggi si potrebbe dire che chi ha rinunciato alla propria sovranità, rinuncia alla propria identità. Putin è un modello di “democrazia sovrana” a cui anche l’Europa dovrebbe ispirarsi?
Sembra una banalità ma può esserci democrazia solo dove c’è una comunità capace di decidere del proprio destino. Il caso italiano è una conclamata assenza di democrazia per assenza di sovranità, almeno su due fronti. Mancano due condizioni fondamentali che già Machiavelli aveva individuato: la sovranità militare e quella monetaria. Abbiamo 115 basi militari statunitensi che rendono impossibile esercitare la sovranità in Italia. Se l’America decide che l’Italia deve essere nemica della Russia di Putin, il nostro Paese mette in campo sanzioni che sono il primo caso nella storia, dai sumeri in giù, in cui nuocciono al sanzionante e non al sanzionato, del tutto contrarie alle logiche del nostro Paese. Sulla sovranità monetaria non ne parliamo: l’abbiamo persa con l’ingresso nell’Euro, moneta transnazionale e privata, che porta all’indebitamento. E’ fondamentale tenere insieme oggi la democrazia e la sovranità. Non può esservi democrazia in assenza di sovranità e Putin l’ha capito bene. L’Italia è sempre ferma, come diceva Gramsci, a una fase tolemaica: abbiamo da una parte chi celebra la mission americana e dall’altra gli ultimi retaggi della sinistra che non hanno capito che l’internazionalismo è l’altra faccia della globalizzazione: non è un caso che si ritrovino dalla stessa parte dei magnati della finanza.
La Russia di Putin come speranza di un mondo multipolare anche sul fronte culturale? Cosa pensa della riscoperta delle radici identitarie russe portate avanti dal presidente?
Solo dove c’è una cultura critica può sussistere una resistenza a forme dispotiche e un’identità culturale. Il vecchio capitalismo, oggi finanziario, tende a distruggere la sovranità militare, economica e l’identità culturale dei popoli imponendo l’unico modello anglofono, che non parla altra lingua che quella del mercato. Oggi si rispetta solo l’ideologia del Medesimo: il capitale trionfante non accetta la differenza e il diritto alla pluralità, vuole vedere solo atomi consumatori che parlano inglese, senza identità e cultura. Putin svolge un ruolo geopolitico fondamentale: ha capito l’importanza della sovranità militare ed economica e sta riscoprendo le radici culturali russe. Il capitale vince più facilmente senza identità, imponendo ovunque il medesimo.
Putin nasce come reazione a un processo che stava portando la Russia a un modello ultraliberista sotto la parentesi di Eltsin, riaffermando la sovranità russa. La Russia è l’unica alternativa plausibile alla “fine della storia” sancita dopo il crollo del muro di Berlino?
Putin non è Lenin ma ha il merito di essere resistente rispetto al modello unico globalista, rispetto al quale sta ponendo un limite fortissimo. E’ un impaccio per le politiche di tipo militare americano, il braccio armato con cui il mercato torna a grondare sangue e sporcizia: la Russia eroicamente resiste, svolgendo la funzione di equivalente di senso rispetto alla defunta Unione sovietica che, con tutti i limiti che non mi sogno di negare né di ridimensionare, svolgeva un ruolo positivo perché la pluralità è sempre meglio rispetto all’unità, alla reductio ad unum. E’ rimasto un unico modello che tende a pensarsi come il solo possibile, e che tende a imporsi nell’Ordine mondiale nel suo equivalente sovrastrutturale che è il pensiero unico del politicamente corretto, con l’imposizione di un unico modello culturale e di costumi, con penalizzazione, come omofobo, sul piano dei costumi per chiunque dissenta, e come fascista o stalinista per chiunque dissenta invece sul piano politico, diffamando e colpevolizzando chiunque si opponga al pensiero unico stesso. Diffido dei facili cosmopolitismi ma la Russia mi interessa rispetto alle sorti geopolitiche, come resistenza eroica al modello unico a guida statunitense, tenendo aperta la possibilità del plurale.
All’assedio economico e culturale a cui è sottoposta la Russia, Putin reagisce con il dialogo con Serbia e Grecia, e con il progetto dei Brics. La crisi greca, al di là delle ultime mosse di Tsipras, è anche, o soprattutto, una partita sullo scacchiere geopolitico internazionale?
Basta chiedersi come mai Obama sia intervenuto solo adesso, per scongiurare il rischio che si crei una nuova alleanza che va a sparigliare il pensiero unico. Bisogna ragionare nella concretezza storica dei fenomeni a cui assistiamo oggi. Il ruolo di Putin è rispondere all’immagine del presidente Obama e al suo al “yes we can” con un limite, con un “no we can’t”. Nella congiuntura dei rapporti di forza chi sta con Putin è per un mondo multipolare. Peggio di un mondo diviso dal muro di Berlino poteva esserci solo ciò che è venuto dopo, un mondo in cui c’è modello unico che tende a delegittimare a priori qualunque altro modello possibile, distruggendo le lingue nazionali, le culture, il diritto alla differenza, creando quella situazione che Heidegger chiamava “uniformazione planetaria”. Molto si capirà da come Putin gestirà la vicenda greca. Se interverrà a sostenere la Grecia potrebbe realizzare un capolavoro politico, il capovolgimento dei rapporti di forza e il ricongiungimento dell’Europa con la Russia. Vedremo la Grecia di Tsipras cosa farà.
In una recente intervista alla rivista Tradizione, pubblicata su Barbadillo, Alain De Benoist cita anche lei come uno dei pensatori a cui guardare per “nuove sintesi” capaci di collocarsi al di fuori delle consuete dicotomie politiche e culturali. E’ possibile un percorso del genere, oggi, in Italia?
Intanto sono felice e onorato che De Benoist mi abbia citato perché lo considero, con il compianto Preve, uno dei più grandi filosofi contemporanei e una delle poche voci fuori dal coro. Più che nuove sintesi, occorre andare oltre, oltrepassare: non vuol dire una corsa verso il futuro ma tenere del passato ciò che di buono vi è di esso, liberandosi degli errori e portando all’altezza dei tempi il pensiero, abbandonando quelli che Adorno chiamava i “cadaveri concettuali”, cioè quei concetti che non fanno più presa sulla realtà. Continuare oggi a dividersi sterilmente tra destra e sinistra significa precludersi la possibilità di capire che il nemico è la Banca centrale, il mercato unico che elimina i diritti sociali. Il potere oggi incentiva tutte le dicotomie che non sono in grado di mettere in discussione il potere stesso: si esalta l’antifascismo, l’anticomunismo, ma mai si può parlare di anticapitalismo, di lotta all’imperialismo. E’ indispensabile andare oltre, al di là di destra e sinistra, per la lotta al capitale finanziario globale e la rivendicazione della comunità umana come priuus, come intoccabile dall’economia. Occorrerà sempre più creare un fronte di resistenza rispetto al fanatismo economico: se quello è il nemico occorre reagire, senza dividersi tra rossi e neri, islamici e cristiani, bianchi e neri. Pretendere la purezza di chi lotta contro il nemico somiglia all’atteggiamento di chi, davanti a un incendio, si mettesse a chiedere i documenti ai vigili del fuoco. Bisogna spegnere l’incendio: per farlo De Benoist dice che occorrono nuove sintesi, io aggiungo che bisogna andare oltre, senza restare intrappolati nelle vecchie categorie.