di Nicolas Gauthier (barbadillo.it)
Per alcuni partiti politici l’unica linea di frattura è tra i “nostri” e gli “altri”. Non è un concetto un po’ smilzo?
“Soprattutto, è equivoco. Si vuol dire che per principio è sempre legittimo preferire i “nostri” o che, rispetto agli “altri”, i “nostri” hanno sempre ragione? Il vecchio principio “my country, right or wrong” è spesso mal interpretato. Non significa affatto che si debba dare ragione al proprio paese anche quando ha torto ma che, anche quando ha torto, resta il proprio paese: non è lo stesso.
Per ammettere, inoltre, che il proprio paese possa avere torto, bisogna disporre di un criterio di giudizio che vada al di là della sola propria appartenenza. In mancanza di tale criterio, la verità si riduce all’appartenenza, cioè alla mera soggettività. E’ la concezione sviluppata da Trotsky ne “La loro morale e la nostra” (1938). Non è la mia. Sulla preferenza, invece, non ho obiezioni. L’appartenenza comune alimenta, non solo nell’uomo ma anche negli altri animali, un sentimento naturale che porta a preferire quelli che ci sono più vicini, che ci somigliano e che possono riconoscerci. Non ne segue che dobbiamo detestare gli altri. In genere, un uomo preferisce i suoi figli ai figli degli altri. Se suo figlio sta annegando assieme a uno dei suoi compagni, cercherà di salvare per primo suo figlio. Ci sono, certo, eccezioni, a volte giustificate, ma confermano la regola.
Nondimeno il patriottismo è diventato oggi, agli occhi di molti, un’idea vetusta, degna di quella “Francia appassita” stigmatizzata a suo tempo da Philippe Sollers. Come si è arrivati a ciò?
“ottima domanda. Lattanzio, soprannominato “Il Cicerone cristiano”, diceva agli inizi del IV secolo che “l’attaccamento alla patria è, nell’essenza, un sentimento ostile e malevolo”. Pare aver fatto scuola. Ma come si è giunti a demonizzare il sentimento naturale di preferenza per i propri? Cerco di abbozzare una risposta. Sull’onda dell’ideologia del progresso, dapprima si è squalificato il passato per il solo motivo che la modernità attribuisce più valore al presente che al passato. Il passato, portatore di valori e di esempi superati, non ha quindi più niente da dirci. Al peggio è un errore, al meglio un annuncio imperfetto delle categorie moderne. Poi le grandi ideologie universaliste ci hanno convinti in primo luogo che tutti gli uomini sono ovunque gli stessi, poi che fra quelli identici ce ne sono comunque alcuni peggiori degli altri: gli europei. Questa convinzione ha spalancato le porte del pentimento: bisogna pentirsi, se non scusarsi di esistere. Amore dell’altro, odio di sé. Un debito infinito verso il resto del mondo, la redenzione tramite l’immigrazione. Come scrive Francois Bousquet, “il maggioritario è tre volte colpevole: in quanto maschio (processo per misoginia), in quanto eterosessuale (processo per omofobia), in quanto bianco (processo per razzismo)”. Ci si è anche impegnati a screditare tutto ciò che appartiene all’ordine della natura, dell’ancoraggio o del radicamento. Yann Moix dichiara fieramente che “la nascita non può essere biologica”, perché nascere “è affrancarsi dai propri geni”, cosa di cui è capace solo “chi preferisce gli orfani ai figli di famiglia, gli adottati ai programmati, i fuggiaschi ai successori, le devianze alle discendenze”. Il filosofo Ruwen Ogien scrive: “Si pone il problema di capire perché una donna dovrebbe preferire i propri figli a quelli del vicino, per il semplice fatto che sono biologicamente i suoi, quando tutti hanno lo stesso valore morale in quanto persone umane”. Infine, si è desacralizzato. Anche se alla fine è stato annullato, l’invito rivolto al rapper Black M di venire a cantare a Verdun rientra in questo quadro (Prokofiev a Palmira, Black M a Verdun, due mondi). Ancor più notevole sono le parole pronunciate da Najat Vallaud-Belkacem per giustificare che si possa ancora cantare la Marsigliese: “La Marsigliese è un inno nazionale rivolto all’universale. Il suo posto nella nostra scuole è dunque molteplice, diverso e vario. Si basa sulla voce, lo strumento più democratico che ci sia. Questo ordito di imbecillità esprime una vera contorsione mentale. Nello stesso spirito ci si impegna a rappresentare le opere di Wagner con messe in scena grottesche, per screditare il contenuto ideologico del libretto”.
L’antirazzismo ha svolto un ruolo…
“Il razzismo di cui oggi si parla non ha nulla a cui vedere con le razze. Il termine è diventato un comodo operatore che consente di stigmatizzare ogni critica rivolta a minoranza le cui rivendicazioni si esprimono nel linguaggio dei diritti onde mettere la maggioranza in imbarazzo e renderla estranea a se stessa. Dalla battuta alla “molestia”, tutto ciò che può essere percepito come sgradevole, spiacevole, umiliante, offensivo da questo o quell’individuo a causa della sua appartenenza a questo o quel gruppo, è considerato “razzismo”. Non si nasconde, del resto, che anche una definizione oggettiva del razzismo sarebbe discriminazione: “un atteggiamento percepito come razzista da una persona “razzistizzata” deve essere considerato tale senza discutere. Sono legittimate a definire il razzismo di una situazione solo le persone “razzizzate” in causa”, si è potuto leggere in un testo recente. In parallelo , al cinema i film di fantascienza hanno preso il posto dei western, perché solo con gli extraterrestri si può immaginare una lotta senza quartiere senza “discriminare”. Il razzismo ha finito così per raggruppare tutte le “fobie” nei cui confronti sensibilità esasperate esigono risposte istituzionali e giudiziarie. La legge è chiamata più che mai a consacrare il sentimento o il desiderio. Ritroviamo, qui, i disastri causati dalla soggettività. la figura del nomade, dell’individuo estraneo al suolo, disincarnato, che non è “determinato” da alcunché e si crea liberamente da solo si è imposta a poco a poco, mentre la “società aperta” si imponeva come l’insuperabile orizzonte del nostro tempo”.