sabato 28 dicembre 2013

Nel cuore della foresta. Favola lupesca sul bene e sul male

di Gian Maria Bavestrello


Il rumore delle imposte che spengono gli ultimi raggi di sole si accavalla all’eco delle spranghe che sigillano le porte. Gli uomini versano il colpo nella canna del fucile, mentre le donne, giunta la destra tra le perle del rosario, accarezzano i loro bambini con la sinistra. Un dolce rito esorcistico a sigillo delle difese che un povero villaggio può schierare contro la minaccia divampante là fuori, protetta dall’oscurità e dal silenzio di algide notti invernali. Un assassino seriale si aggira tra le lande della contea, affamato e a caccia di denaro. E’ spietato, feroce, privo di scrupoli, dicono quei pochi che hanno potuto raccontare l’ incontro con tale demonio.

Addirittura, giurano costoro, quest’assassino può trasformarsi in belva. In un lupo, dicono. Un lupo mannaro dal pelo ispido e dalle fauci letali. La sua stirpe, raccontano i vecchi, affonda le proprie origini nella notte dei tempi. Fu creata da un patto stretto illo tempore con Satana in persona e rinnovato, equinozio dopo equinozio, da sangue innocente versato in nome di questa blasfema alleanza. Vinto dalla paura, al calar della bruma, nessuno osa più addentrarsi nella foresta. Anche di giorno gli abitanti hanno paura a sfidare la selva, dove si racconta che il lupo abbia la propria laida tana. La legna accatastata per l’inverno è sempre più scarsa, le provviste sempre più povere, le comunicazioni con le altre terre sempre più rade. Gli uomini sempre più miserevoli e infelici.

Arrivò in Paese, un giorno, un sapiente, forse un filosofo. Uno straniero apparso proprio dalla foresta, tra lo stupore degli abitanti. Non si scosse quando il governatore e il prevosto lo misero al corrente dei fatti. “I vostri padri hanno separato il Bene dal Male, come se destra e sinistra, luce e oscurità, giorno e notte, non si appartenessero intimamente. Fate bene ad aver paura del licantropo, perché è più vicino a voi di quanto non riusciate a immaginare, ma i vostri occhi sono troppo miopi per riuscire a vederlo”.

Il filosofo guardò verso l’orizzonte e additò la foresta: “Avete espulso le creature del bosco dalla vostra terra per costruire le vostre case, ma non potete estirparne gli spiriti dalla vostra anima. Essi vi si rivoltano contro. Un uomo diventa un lupo quando il lupo non è potuto diventare uomo”.

Il governatore e il prevosto si guardarono per consultarsi, ma quando si rivolsero nuovamente al filosofo costui era sparito. Dopo pochi attimi, alle loro spalle si manifestò una figura golemica, un’ombra che lentamente si svelò insieme a occhi iniettati di sangue, denti lunghi quanto un palmo di mano, pelo ispido e aguzzo, grigio come la cenere. “Andate nella foresta e trascorrete lì la notte”, disse il licantropo ai poveretti, pregni di terrore. “Non so se vi ucciderò, ma avete scelta? Se non manterrete fede al patto, io tornerò per giudicare la vostra codardia. Non siate così folli da confidare nella mia pietà”.

Al tramonto i due uomini, impauriti e tremanti, si recarono nel cuore della foresta. Qui, tra rumori sinistri e versi di animali ignoti, udirono un pianto infantile. Era un neonato. La sua pelle appariva ricoperta da una peluria inusuale per una creatura di così pochi mesi, i suoi occhi erano rossi come le fiamme dell’inferno e la sua dentatura metteva in mostra canini che sarebbe stato difficile giudicare umani. “Non possiamo lasciarlo qui – disse il prevosto- domani mattina lo porteremo con noi in paese, forse il medico riuscirà a guarirlo dalla licantropia”. Non era stato, del resto, proprio il filosofo a dire che “un uomo diventa un lupo quando un lupo non è potuto diventare uomo”? “E se non esistesse cura?”, chiese il Governatore. “In nome di Dio, lo uccideremo”. Attesero l’alba, il lupo non si era manifestato. Fiduciosa, la coppia si reincamminò verso il villaggio. Fu sul limitare del bosco che reincontrarono il filosofo. “Non avete compreso ciò che vi ho detto – esordì – la vostra presunzione vi acceca e vi spinge a pensare che quel bambino sia affetto da ciò che chiamate malattia. Per questo desiderate sottrarlo alla foresta, che lo ha partorito e accudito, invece di reimparare voi a farne parte”.

Nessuno, da quel giorno, li rivide mai più. Nelle sere più uggiose c’è chi dice che il vento porti con sé le loro grida, infrangendole contro le imposte chiuse e le porte sprangate.