lunedì 20 ottobre 2014

Costume. I “radical chic” ieri e oggi. Chi erano e come si sono evoluti


di Giuseppe Balducci (Barbadillo)

In un articolo fiume intitolato “Radical Chic, That Party at Lenny’s”*, apparso sul New York Magazine del giugno 1970, Tom Wolfe, scrittore e giornalista americano, introduce nel mondo della carta stampata l’espressione, destinata a grande successo, “radical chic”. L’occasione è data da un party sontuoso organizzato da Felicia Bernstein, moglie del musicista Leonard. Il tutto ha luogo in un attico su Park Avenue, a Manhattan. Molte personalità della cultura e dello spettacolo newyorchese vi prendono parte. L’intento della serata è raccogliere fondi da devolvere al gruppo marxista leninista “Pantere Nere”. Gli aneddoti che si tramandano dell’evento sono davvero esilaranti. Per rendere l’idea: al fine di scongiurare eventuali dissapori con gli ospiti afroamericani, Felicia, la padrona di casa, pretese che i camerieri dovessero essere tutti bianchi. Ai camerieri fu dato poi ordine di servire tartine al Roquefort.

Di lì a poco l’espressione “radical chic” approdò in Italia ripresa da Indro Montanelli. Sul Corriere, rivolto a Camilla Cederna, che si era occupata della morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli, Montanelli definì la gioranlista “rappresentante del magma radical-chic”; stanca del “mondo delle contesse”, la Cederna si stava dedicando anima e cuore per la causa degli anarchici.

Esquerda festiva, Red set, Gauche caviar o Bourgeois-bohème, Salonbolschewist, Aristerà tu saloniù, Champagne socialist, Smoked salmon socialist, Radikal elegance, Esquerda caviar, Izquierda caviar e, per finire, in America, Limousine liberal.

Chi è il radical chic?

Generalmente di sinistra, ricco, ha abitudini da ricco in contraddizione con i suoi pensieri, ostenta infatti idee e tendenze politiche affini alla sinistra radicale (cit. Wikipedia). Dal vocabolario Treccani apprendiamo che l’espressione “radical chic” è composta dall’inglese radical «radicale» e dal francese chic ossia «elegante», e designa “che o chi, per moda o convenienza, professa idee anticonformistiche e tendenze politiche radicali”; per intenderci, “una borghesuccia che fa la radical-chic”. Francesco Maria del Vigo ha stilato invece una lista di dodici punti, un vademecum imprescindibile, per smascherare i nuovi radical chic. Dai tempi di Felicia i “radical” si sono “evoluti” diffondendo in maniera copiosa il loro verbo, ma con una capacità mimetica davvero deludente; basta qualche accorgimento, e il radical chic è bell’e smascherato.

Ormai 2.0, al pari del suo antenato analogico il Nostro è pervaso da un desiderio di prevalsa, da una sorta di propensione a distinguersi dai più. A titolo di esempio: a una comunissima immagine del profilo Facebook, per lui certamente "low brow", il “radical” preferisce invece “frammenti di film di qualche regista polacco mai distribuiti fuori dalla circonvallazione di Varsavia”, intento com’è a far sfoggio della sua cultura, e pur di primeggiare sul popolino incolto e ovviamente “berlusconiano”. Il radical poi non può fare a meno della sua reflex, e le foto delle vacanze “vanno bene solo se si è nel terzo mondo o in un campo profughi”, ritratti però “con sguardo” rigorosamente “corrucciato”, oppure “camuffati da indigeni (…) nell’atto di solidarizzare con gli abitanti del luogo”.


Ormai largamente diffuso, il germe radical chic interessa gran parte dell’establishment culturale italiano e si estende fino alle rinomate casalinghe di Voghera, rappresentanti però del folto pubblico degli aspiranti radical chic. Solitamente di estrazione piccolo-borghese, questi ultimi possono essere benissimo racchiusi nell’immagine, coniata da Pietrangelo Buttafuoco, della "professoressa col cerchietto", emanazione diretta del ‘68 e della riforma Berlinguer. Avida di luoghi comuni, è solita soddisfare la sua sete di sapere guardando nel week-end Fabio Fazio, maestro del radical chic televisivo. E’ indubbio il virus del “radical chic” ha intaccato gli strati sociali più insospettabili. Ma c’era d’aspettarselo: come scrive Alberto Arbasino ne “La vita bassa” i radical-chic sono “talmente storici che anche il pubblicaccio più ordinario adora” i loro “manifesti di protesta e denuncia così impegnata e griffata. Anche se poi le gazzette” le impaginano “fra le spa e spiagge estive e i gossip telefoninici”.

*In Italia l’articolo di Wolfe è stato pubblicato in volume dalla casa editrice Castelvecchi con il titolo “Radical Chic. Il fascino irresistibile dei rivoluzionari da salotto”.