di Benedetta Scotti (L'Intellettuale Dissidente)
I mercati finanziari hanno liquefatto la finanza. Non solo nel senso che l’hanno più volte esposta ad una fatale implosione, con montagne di denaro virtuale scioltesi come neve al sole, ma anche nel senso che ne hanno distrutto l’essenza primaria. Se la finanza, in principio, non è altro che una rete di relazioni di fiducia, è abbastanza evidente come l’attuale sistema finanziario non conosca né il concetto di relazione né il concetto di fiducia, soppiantate dalla speculazione a brevissimo termine. Non a caso, la qualità di un titolo finanziario si valuta in base alla sua liquidità, ovvero la rapidità con la quale può essere comprato e venduto sul mercato. Non sorprende, allora, che la questione del debito, patto d’onore tra due controparti, si riduca ad algidi numeri, misure del rischio, valutazioni di collaterali. È importante, e non più scontato, sottolineare due: da una parte il debitore che si impegna a non tradire la fiducia accordata, dall’altra il creditore che si impegna a mettere il debitore nelle condizioni di ripagare o, come si sarebbe detto un tempo, a non comportarsi da usuraio. Ma come si definiscono i termini di un comportamento usurario?
È opinione comune che l’usura si riferisca alla richiesta di un interesse alto, superiore ad una determinata soglia, generalmente stabilita giuridicamente. Non la pensavano così due autori anglofoni del secolo scorso, Hilaire Belloc e Ezra Pound, che, sulla scorta del pensiero aristotelico e tomistico, denunciavano l’illogicità dell’assioma su cui si fonda il moderno sistema finanziario: l’idea che il denaro possa (e debba) necessariamente generare altro denaro, a prescindere dall’utilizzo che se ne fa. I due, conosciutisi nell’Inghilterra degli anni Dieci, pur rimanendo distanti su diverse questioni, scrissero pagine affini sulla funzione della moneta e del credito nel sistema capitalistico. Belloc definisce l’usura non come un alto tasso d’interesse, bensì come un qualsiasi interesse caricato su un prestito improduttivo, ossia incapace di generare nuova ricchezza, o come il profitto derivante dalla mercificazione della moneta stessa. Il denaro dovrebbe infatti funzionare come mezzo circolante atto a facilitare gli scambi multipli e non come fonte di guadagno per il semplice fatto di essere denaro. Secondo Belloc l’interesse diviene, però, legittimo se realizzato come compartecipazione al profitto generato dal credito iniziale mentre diviene usurario se richiesto nononostante tale profitto non si materializzi. Ne consegue che può essere perfettamente legittimo richiedere il 50% della ricchezza generata per mezzo di un prestito produttivo mentre non lo è richiedere un interesse, per quanto basso, sul credito al consumo che erode semplicemente le risorse del debitore senza creare nuova ricchezza. In termini analoghi si esprimeva Pound che definiva l’usura alla stregua di “una tassa prelevata sul potere d’acquisto senza riguardo alla produttività”. In “Lavoro e Usura” così notava: “Un interesse è dovuto, giustamente, da industrie ed impianti che servono ad aumentare la produzione. Ma il mondo ha perso la distinzione fra il produttivo e il corrosivo. Imbecillità imperdonabile perché questa distinzione fu nota nei primi anni della storia conosciuta. Rappresentare un corrosivo come produttivo è falsificare”. Il corrosivo per eccellenza, coma nota Belloc, sono i debiti di guerra, sostenuti non per potenziare un mezzo di produzione ma per impiegare uomini impegnati ad ammazzarne altri, senza alcuna creazione di ricchezza dalla quale possa essere ragionevolmente estratto un interesse. E, allo stesso modo, sono corrosivi tutti quei debiti contratti da popoli in difficoltà, non per produrre ma per sopravvivere, magari per ripagare altri debiti. È il caso attualissimo della Grecia che ha impiegato circa l’80% dei prestiti della Troika per onorare i debiti pubblici e privati nei confronti di investitori stranieri e istituzioni sovranazionali ma che ha visto crollare il suo PIL del 25% dal 2008 ad oggi.
L’usura, così intesa, è il principio fondante dell’odierno sistema finanziario dal momento che il denaro a credito implica assiomaticamente un interesse, quale che sia il suo utilizzo e la sua capacità produttiva. Oltre che perverso (“contra naturam” come lo definisce Pound nel Canto XLV), il meccanismo è paradossale: nell’era economica in cui si celebra la produttività sopra ogni cosa, profitti abnormi vengono da ciò non è produttivo affatto. Si pensi ai guadagni dei fondi speculativi sui titoli di debito dei paesi sudamericani o ai guadagni legati ai subprime (mutui e crediti al consumo) prima del crac. Guadagni incassati sulla pelle delle famiglie e a danno dell’economia reale. A tale proposito, nel Canto XLV, Pound profeticamente scriveva che “con usura nessun uomo ha una solida casa” e “usura arruginisce l’arte e l’artigiano/ tarla la tela nel telaio” e, concludendo, poneva l’usura quale violazione del sacro: “ad Eleusi han portato puttane / carogne crapulano / ospiti d’usura”.