di Lando Chiarini (Il Secolo d'Italia)
Un 25 Aprile all’insegna della massima mobilitazione
mediatica, ma anche dei veti, delle ripicche e delle esclusioni. Se
ancora fino a qualche tempo fa tali celebrazioni servivano a diffondere e
a rafforzare la religione civile della “Liberazione“, sul cui culto poggiava la retorica dell’Italia “nata dalla Resistenza“,
oggi, a settant’anni di distanza, le stesse non riescono a trasmettere
altro che il senso di una festicciola di partito, e per di più,
impastata di polemiche.
Emblematico è il caso di Alessandria, il cui sindaco Maria Rita Rossa, “piddina” di confessione renziana, si è vista categoricamente bocciare dall’Anpi la proposta di affidare ad un ministro (Orlando, Boschi, Pinotti)
l’orazione ufficiale. Niente da fare. Ufficialmente, perché alle
celebrazioni non partecipano i membri del governo. In realtà, perché gli
uomini (e le donne) di Renzi non risultano graditi all’associazione dei partigiani. Diversamente da Sergio Cofferati,
il cui nome è stato fulmineamente rispedito al mittente dal sindaco,
che lo ha bollato come una provocazione: «Ha denunciato il partito dopo
aver perso le primarie». A sua volta l’ex-leader della Cgil ha controreplicato in un crescendo rossiniano di dichiarazioni e prese di posizioni il cui interesse è davvero pari a zero.
La “baruffa alessandrina” non stupisce più di tanto. Anzi, da un certo
punto di vista rappresenta lo scontato epilogo di una ricorrenza mai
stata veramente di tutti. Non lo è stata per gli italiani del Sud, “liberati” solo dalle truppe americane sbarcate in tutta libertà in Sicilia con l’appoggio dei mafiosi costretti dal regime di Mussolini ad espatriare negli Stati Uniti.
Non lo è stata per quegli italiani del cosiddetto “triangolo della
morte” – non necessariamente fascisti, anzi – per i quali la guerra
cominciò nel momento in cui finiva per tutti gli altri. Non lo è stata,
infine, per quella generazione di giovani che si arruolò dall’altra
parte per servire la nazione più che la fazione. Sono aspetti arcinoti,
ma ignorati da ben 70 anni. È esattamente da allora che la Resistenza è
una festa di parte. Per renderla davvero nazionale e patriottica sarebbe
servita una grande e coraggiosa “operazione verità”. È accaduto
l’esatto contrario e chi, come Gianpaolo Pansa, ha
cercato da sinistra di avviarla, si è ritrovato insultato e isolato dal
“culturame” ufficiale. Tutto normale in un’Italia, unica nazione al
mondo in cui si festeggia la tragedia della guerra civile. È proprio
questo, del resto, il frutto avvelenato della retorica partigiana del 25
Aprile imposta dal Pci. Nessuna meraviglia, dunque, se siano oggi i
suoi eredi nel Pd ad usare la “Liberazione” per regolare i conti al
proprio interno.