giovedì 4 agosto 2016

Il “Sì” alle droghe libere come nuovo dogma del razzismo etico


di Marcello Veneziani (barbadillo.it)



Sentivamo che mancava qualcosa al catechismo dei Sentimenti Leciti e Illeciti a norma di legge. C’era stata la legge sull’omofobia e subito dopo l’annuncio di Renzi sulle unioni gay; c’era stato l’attacco alla legge Bossi-Fini per spalancare le porte agli immigrati clandestini; poi c’è stato il femminicidio, nel senso che chi uccide una donna è più assassino di chi uccide un uomo; c’era stata la proposta di punire le opinioni razziste e xenofobe, seguendo l’esempio della Francia, Madre e vittima di tutte le tolleranze e le intolleranze. E c’è stata infine l’imposizione dell’Europa, sempre attenta e solerte quando si tratta di rimettere in discussione la famiglia tradizionale, ad accettare senza battere ciglio che ognuno si scelga il cognome che vuole, di mammà o di papà. Però mancava qualcosa. Già, mancava la liberalizzazione delle droghe soft. È bastato che Obama, il Papa dei Diritti Civili, desse la benedizione alla nuova ondata e che il Colorado legalizzasse la cannabis e via col solito fronte pro-droga.

Proibire è inefficace, dicono i liberalizzatori, produce disastri. Non credo che proibire serva a molto, è vero. Ma se è per questo neanche il contrario. Gli esempi che abbiamo da ambo i versanti non ci confortano. Non vivono meglio i Paesi bassi, e alticci, che l’hanno legalizzata, non sono più civili coi loro parchi dello squallore e col loro turismo tossico. E non mi pare che il traffico clandestino – l’orrendo racket alle fonti e i pusher per strada – ne risenta granchè. Allora il problema va visto sotto un altro profilo, non è solo questione di efficacia: una società deve o no stabilire i confini tra ciò che è lecito e ciò che è illecito, deve indicare, soprattutto ai suoi ragazzi, quali sono i comportamenti da premiare e quelli viceversa da scoraggiare, deve stabilire o no una linea di confine tra ciò che danneggia e degrada i singoli e le comunità e ciò che non danneggia e non degrada? Deve poi demarcare la linea tra ciò che attiene alla sfera privata e ciò che ricade sulla sfera pubblica? Perché lo Stato dev’essere intollerante con bische e prostitute e liberale con droghe e clandestini? È degno di un paese che vuol tutelare i diritti civili perseguire le opinioni in ordine alla razza, al sesso, alla nazione, e invece liberalizzare le droghe leggere e dunque i comportamenti che ne conseguono una volta perduta o sospesa la lucidità della ragione e il controllo dei propri impulsi? Perché punire il dire scorretto e permettere il fare scorretto?


Curioso poi quel puritanesimo isterico contro le sigarette e quel permissivismo tardosessantottino con la marijuana. O quel salutismo schizofrenico per cui dolci e grassi sono veleno, mentre la cannabis rientra nel libero arbitrio…
Non si tratta di fare i bacchettoni o gli struzzi e non guardare la realtà presente. Né di tifare contro i comunardi per i giovanardi. Né si tratta di demonizzare chi ne fa uso; più semplicemente si tratta di scoraggiare l’uso senza con questo disprezzare e dannare chi ne fa uso. Una società è viva se sa reagire alle proprie tendenze autodistruttive e se è in grado di riconoscere modelli positivi e modelli negativi di vita. Si tratta di saper vivere in una civiltà, con i diritti e i doveri che comporta, di aver il rispetto di sé, degli altri e delle regole; di riconoscere i confini della propria libertà, che è poi l’unico modo per rendere preziosa e concreta la libertà stessa, che sconfinando, si disperde, si svaluta e si rovescia nel suo contrario. E così propizia nuove tirannidi e nuove proibizioni, magari impartite dal Codice Ideologico del Politically Correct, la Buoncostume del nuovo razzismo etico
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