lunedì 18 marzo 2013

La grande distribuzione strozza i piccoli negozi

Marketing supermercato

di Filippo Ghira (Rinascita)

La crisi economica ha accentuato un fenomeno che era già evidente da tempo. Quello della chiusura dei negozi che non riescono più a contrastare la concorrenza della grande distribuzione che può contare su una maggiore diversificazione dei prodotti offerti e soprattutto di prezzi più bassi grazie alla maggiore quantità offerta. Una crisi dei piccoli esercizi che comporta l’accentuarsi di un fenomeno già conosciuto, quello del trasferimento di ricchezza a favore dei grandi gruppi commerciali e allo stesso tempo del progressivo impoverimento di vasti settori del ceto medio. A fronte di una recessione che sembra non avere fine, le famiglie, in particolare quelle del ceto medio, impiegati e pensionati, sono obbligati a rivolgersi ai grandi magazzini o ai supermercati, ipermercati e discount, dove vi è la sicurezza di poter risparmiare. Addio così al vecchio e caro negozio sotto casa a conduzione familiare nel quale era possibile stabilire un rapporto umano che oggi invece si sta definitivamente perdendo. Oltretutto, la scomparsa dei piccoli negozi non comporterà necessariamente un vantaggio economico per i cittadini considerato che un supermercato, una volta costretti alla chiusura gli esercizi nelle zone circostanti, divenuto insomma una sorta di monopolista, potrebbe essere tentato di alzare i prezzi e lucrarci sopra, non essendoci più concorrenza e termini di confronto.
Per la Confesercenti oggi in Italia non è più possibile fare impresa. Solo nei primi due mesi del 2013 in Italia hanno infatti chiuso quasi 10 mila negozi con una media di circa 163 negozi al giorno. Di conseguenza, se tale tendenza non verrà in qualche modo fermata, il 2013 sarà molto peggiore di un anno già di per se stesso pessimo come il 2012.
A preoccupare è anche il calo dell’apertura di nuove attività con un meno 50%. Il record delle chiusure ha interessato due grandi città come Torino e Roma. Significativo è il fatto che al Sud, comprese Sicilia e Sardegna, il fenomeno risulti più contenuto rispetto al Centro e al Nord. Ma si tratta in questo caso di un tessuto sociale solido tenuto in piedi dalle famiglie con tutti i loro legami diffusi sul territorio.
La Confesercenti ha avvertito che si rischia per fine dicembre la chiusura complessiva di 60 mila esercizi con 200.000 addetti in meno. Una vera ecatombe accentuata dalla recessione e dal minor reddito a disposizione delle famiglie e da una tassazione eccessiva ed invasiva, la quale, soprattutto tramite l’introduzione dell’Imu, ha inferto il colpo di grazia definitivo a molti piccoli negozi. I dati ufficiali parlano di 13.755 negozi chiusi a fronte di appena 3.992 aperture. Questo saldo negativo si sta realizzando anche nel settore dei pubblici esercizi, bar, ristoranti, pizzerie al taglio.
Nel primo trimestre ne chiuderanno circa 9.500 contro 3.000 nuove aperture. In questo caso la crisi economica ha tagliato le risorse per andare a mangiare fuori casa almeno una volta al mese. Andare al ristorante o consumare un cappuccino e un cornetto la mattina al bar e divenuto un lusso. Pochi esercizi riescono a sopravvivere e sono quelli muniti di una ricevitoria dove poter giocare al Lotto, al Superenalotto e a tutti gli altri giochi spuntati come funghi negli ultimi anni. Molte chiusure sono poi determinate dalla impossibilità di pagare il nuovo canone di affitto, spesso esorbitante, chiesto dal proprietario delle mura e che non tiene minimamente conto della realtà economica nella quale ci si trova tutti immersi.
L’aspetto più inquietante di questa deriva sta nel fatto che i governi di Destra e di Sinistra hanno fatto ben poco per impedire quanto sta accadendo e che è frutto di una tendenza avviata da anni con la liberalizzazione del settore della distribuzione imposto dalle normative europee. Lo stesso Berlusconi un tempo era proprietario della Standa e questa mentalità di “tutore” della grande distribuzione deve essergli rimasta appiccicata addosso. Bersani a sua volta, come esponente del PD emiliano è condizionato nei suoi comportamenti politici dall’essere legato all’Emilia la regione nella quale le Coop rosse, con i loro grandi supermercati e grandi magazzini, costituiscono un enorme potere economico ed un collettore di voti che finiscono per fare la differenza. Le liberalizzazioni di Bersani, da ministro dello Sviluppo (2006-2008), le cosiddette “lenzuolate”, hanno avuto come effetto più eclatante quello di permettere alle Coop di aprire punti di vendita per i farmaci da banco (quelli senza ricetta) all’interno degli stessi supermercati. Una convergenza di interessi e di modi di vedere tra Destra e Sinistra che rappresenta uno dei tanti inciuci di questa Seconda Repubblica.
C’è da segnalare che questo prevalenza della grande distribuzione sui piccoli negozi, unito alla crisi economica con minore reddito disponibile per chi acquista, sta innescando lo sviluppo di canali alternativi finalizzati ad ottenere risparmi cospicui. Come gli acquisti di gruppo, quelli fatti on line o recandosi direttamente dal contadino per saltare ogni intermediazione.