di Ferdinando Calda (Rinascita)
La Casa Bianca ha confermato che nel carcere di Guantanamo sono in aumento i casi di sciopero della fame per protesta contro le condizioni di detenzione. Anche se da Washington hanno nuovamente ridimensionato le accuse dei legali dei prigionieri, che nei giorni scorsi avevano denunciato una vera e propria protesta di massa. Nel frattempo la Nbc news ha riportato la notizia di un progetto da centocinquanta milioni di dollari presentato al Pentagono per ristrutturare Guantanamo con un nuovo ospedale, mense e alloggi per i militari.
Una conferma che l’amministrazione Obama ha deciso di rinunciare a chiudere il famigerato supercarcere, nonostante le passate promesse del premio Nobel per la Pace.
Ieri dal Dipartimento di Giustizia statunitense hanno affermato che attualmente sono 25 (su 166) i detenuti che rifiutano il cibo, di cui otto sono alimentati in modo forzato attraverso sondine nel naso. Due sono stati ricoverati per disidratazione. Il colonnello Todd Breasseale, portavoce del Pentagono, ha sottolineato che gli scioperanti sono più che triplicati nelle ultime due settimane, passando da sette a 25.
La scorsa settimana gli avvocati dei detenuti sono intervenuti davanti alla Commissione Inter-americana sui Diritti Umani (IACHR) a Washington, denunciando che da oltre un mese circa un centinaio dei prigionieri stanno portando avanti uno sciopero della fame per protestate contro il costante controllo e la confisca di loro effetti personali, comprese le copie del Corano. Ma soprattutto contro la detenzione a tempo indeterminato. Il rappresentante della Casa Bianca, però, aveva ridimensionato il fenomeno, sostenendo che solo per un pugno di detenuti è possibile applicare la definizione di sciopero della fame. Omar Farah, del Center for Costitutional Rights (Ccr), aveva parlato di una “grave crisi umanitaria” all’interno del carcere.
A preoccupare i legali e le associazioni umanitarie è soprattutto la prolungata detenzione a tempo indeterminato che devono sopportare i prigionieri. Che li fa letteralmente impazzire e tentare più volte il suicidio. A rendere particolarmente insopportabile l’attesa dei detenuti è il fatto che molti di loro (86) hanno già ricevuto l’autorizzazione per il rilascio, ma non vengono liberati per problemi politici e burocratici. Emblematico è il caso degli yemeniti, che non possono tornare in Patria perché il presidente Obama ha imposto una moratoria sui trasferimenti in Yemen dopo che, a Natale 2009, un nigeriano addestrato in Yemen cercò di farsi saltare in aria in un aereo per Detroit con delle “mutande-bomba”. A settembre dello scorso anno Adnan Farhan Abdul Latif, uno yemenita di 32 anni rinchiuso a Guantanamo dal 2002, si è suicidato mentre si trovava in isolamento. La sua scarcerazione era stata autorizzata nel 2009 dalle commissioni di revisione istituite da Obama, e confermata l’anno dopo da una sentenza della Corte distrettuale di Washington.
“Il personale medico segue costantemente i detenuti in nostra custodia e fornisce loro eccellenti cure mediche”, assicurano dal Pentagono. Tuttavia anche i militari riconoscono che la frustrazione e la rabbia tra i detenuti è aumentata negli ultimi tempi, dopo la promessa mancata del presidente Obama, di chiudere Guantanamo. Sono “devastati” per questo motivo, ha ammesso un generale citato dalla Nbc.
Obama “non ha detto nulla nel suo discorso inaugurale, non ha detto nulla nel discorso sullo stato dell’Unione, non ha detto proprio nulla sulla chiusura del carcere”, ha sottolineato John Kelly, comandante dello U.S. Southern Command, responsabile delle attività militari statunitensi in Centro e Sud America. Inoltre, “non ha riassegnato l’incarico di inviato speciale per la chiusura del campo di detenzione”, ha continuato il generale Kelly, ricordando che Daniel Fried ha ricevuto un altro incarico, lasciando scoperto il posto.
Nel frattempo, anche in tempi di pesanti tagli alla Difesa Usa (e non solo), il budget per il carcere di Guantanamo rimane altissimo. Per quest’anno si aggira intorno ai 177 milioni di dollari (oltre un milione di dollari per detenuto), consegnando a Guantanamo il titolo di prigione più cara (pro capite) degli Stati Uniti.