di Francesco Carlesi (L'intellettuale dissidente.it)
Uno dei frutti più dolci delle primavere
arabe, secondo i massimi organi di stampa del nostro paese, è la
Tunisia. Il paese dove la democrazia ha trionfato, grazie alla spontanea
rivolta del popolo di fronte al regime dittatoriale e oppressivo. Una
rivoluzione benedetta dall’Occidente e realizzata grazie al benefico
influsso dei social network e degli strati più giovani del paese, verso
cui l’attrazione del “migliore dei mondi possibili” non poteva che
essere più ampia e salutare. Ma come spesso accade, dietro la propaganda
e le spiegazioni facili, sta la realtà. Seppure Tunisi non abbia
conosciuto i travagli di paesi quali l’Egitto, le ombre l’hanno fatta da
padrone. E la fanno tuttora.
Tanto per cominciare, il maggior numero
di foreign fighters al servizio del Califfato islamico arriva proprio
dalla Tunisia. Elementi di primo piano in Siria, Iraq e nella vicina
Libia, dove la situazione precipita di giorno in giorno: «i miliziani di
Ansar al Sharia, alleati e vassalli del Califfo Al Baghdadi,
controllano buona parte della Cirenaica ed hanno proclamato un sedicente
emirato islamico a Derna, all’estremità orientale del pese», riporta
un’inchiesta di Amedeo Ricucci (di «Repubblica») in loco. Gli aspiranti
combattenti tunisini provengono spesso dalla gioventù, la migliore: di
età compresa tra 18 e 25 anni e con una buona istruzione alle spalle.
Eppure attirati nella rete salafita, alimentata dagli imam venuti
dall’estero. Giunti da quei paesi del Golfo, come l’Arabia Saudita,
ormai da lungo tempo in prima fila nel finanziamento del fondamentalismo
più estremo.
Ma l’Occidente, invece di prendere le
distanze, ha sempre intrattenuto ottimi rapporti con queste realtà, la
Francia in primis. Difficile rinunciare ai petro-dollari, meglio quindi
colpire quei regimi laici che, pur con tutti loro problemi, garantivano
stabilità e contrastavano i gruppi violenti. Eliminati Saddam e Gheddafi
le tensioni si sono moltiplicate. Per detronizzare Assad l’Occidente ha
ripetuto il copione, finanziando l’estremismo che è poi sfuggito di
mano (i killer di Parigi erano passati da lì). L’attivismo di John
McCain è uno degli emblemi della questione, parte fondamentale degli
attuali sconvolgimenti mediorientali. Esso vanta precedenti illustri,
come quel Zbigniew Brzezinski che sostenne gli islamisti in ottica
anti-sovietica (Afghanistan) sin dalla fine degli anni ’70.
La Tunisia, quindi, è in una situazione
difficile: il 16 luglio scorso, sul massiccio del Chaambi, un violento
scontro tra terroristi e esercito ha causato la morte di 15 soldati, più
20 feriti. Il bilancio più pesante dai tempi della lotta per
l’Indipendenza del 1956. E le tensioni non sono cessate. «Vista la
nostra collocazione geografica e visti i flussi migratori che ci sono
fra i nostri paesi, è evidente che il pericolo rischia di estendersi a
tutto il Mediterraneo», ha dichiarato il ministro degli Interni Ben
Jeddou. Quel Mediterraneo in cui proprio la diplomazia italiana, anche
nelle difficoltà del dopoguerra, era riuscita a esercitare un’azione
incisiva ed efficace.
Quella Tunisia che ospitò Craxi in segno
di riconoscimento per gli aiuti economico – politici e le influenze
positive. Ma ora tutto è incerto. La nostra classe politica non ha la
statura di un tempo, e partecipa alle follie di Francia e Inghilterra
contro i suoi stessi interessi (Libia). Le «primavere arabe» si sono
rivelate un bluff, le ingerenze esterne hanno dato frutti avvelenati e
anche la Tunisia, il campione democratico, ammette paurose difficoltà.
E’ arrivato il momento per l’Occidente di fare una seria autocritica, e
per l’Italia di riscoprire lo spirito e le tendenze fondamentali della
sua politica mediterranea. E il suo orgoglio.