mercoledì 31 luglio 2013

Heidegger: epocale e inattuale


di Mario M. Merlino

Nel 1949, a cura del discepolo e filosofo lui stesso, Hans Georg Gadamer, venne realizzata una antologia di interventi, tutti di grande prestigio, nel sessantesimo compleanno di Martin Heidegger. Era un omaggio, di certo doveroso, ma anche il tentativo di sottrarre l’uomo il professore la grande figura di pensatore all’isolamento e alla proibizione all’insegnamento, che gli alleati avevano imposto sotto l’accusa di coinvolgimento con il regime nazista. Accusa questa che verrà rinnovata nel tempo, anche dopo la sua morte (basterà ricordare il libro del cileno Victor Farias, titolo Heidegger e il nazismo, edito in Italia nel 1988, che darà l’avvio a tutta una serie di ulteriori pubblicazioni sul medesimo tema e con il medesimo intento). Una accusa, va ricordato, dalla quale non si è mai discolpato, affermando solo di essersi illuso che il nazionalsocialismo potesse essere la forza in grado di affrontare il tema del dominio della tecnica e della modernità, entrambi espressione del nichilismo europeo.

Fra gli autori di questa raccolta vi era anche lo scrittore Ernst Juenger, che con La mobilitazione totale (1930) e L’Operaio (1932) avevano attirato l’attenzione di Heidegger. ‘…tentai di mostrare come essi costituissero una comprensione essenziale della metafisica di Nietzsche, nella misura in cui … erano visti e prefigurati la storia e il presente dell’Occidente’. E ancora, nell’inverno del 1939, vi era ritornato sopra e s’era reso conto come, alla base di quelle opere, vi ‘è il dominio universale della volontà di potenza, all’interno della storia pensata in una prospettiva planetaria’. E nella realtà scaturita dal conflitto mondiale ciò si evidenzia si colloca ‘si stanzia … lo si chiami comunismo, fascismo o democrazia mondiale’(E questo molto prima che i concetti di ‘mondialismo’ e di ‘globalizzazione’ ci divenissero familiari…).

Così, nel 1955, compiendo a sua volta Juenger sessantanni, egli si decide a rispondere a quello scritto antologico che lo scrittore aveva intitolato Oltre la linea e che egli intitola Sulla linea. Va rilevato che nella lingua tedesca il termine ‘ueber’ può tradursi sia come l’andare oltre la linea mediana, il travalicamento (ed è ciò che fa Juenger), quel meridiano zero ad indicare che la parabola del nichilismo ha iniziato il suo percorso; sia come l’essere su, ove il risguardo si rende possibile, anzi (ed è ciò che fa Heidegger) si necessita per conoscere qual è stato il destino dell’essere, il significato del suo fondamento, il fraintendimento che s’è dato. Insomma, da una parte una posizione etico-esistenziale, dall’altra rigorosamente ontologica.

Per meglio intendersi, ecco come Juenger chiude il suo breve saggio: ‘Chi non ha sperimentato su di sé l’enorme potenza del niente e non ne ha subito la tentazione conosce ben poco la nostra epoca. Il proprio petto: qui sta, come un tempo nella Tebaide, il centro di ogni deserto e rovina. Qui sta la caverna verso cui spingono i demoni. Qui ognuno, di qualunque condizione e rango, conduce da solo e in prima persona la sua lotta, e con la sua vittoria il mondo cambia. Se egli ha la meglio, il niente si ritirerà in se stesso, abbandonando sulla riva i tesori che le sue onde avevano sommerso. Essi compenseranno i sacrifici’.

Una forma una forza una volontà… Ad altro pensa Heidegger. Il pensiero riflettente (quello a cui egli fa riferimento) s’attarda nella ‘localizzazione del luogo che riunisce nella loro essenza essere e niente, che determina l’essenza del nichilismo e che consente così di riconoscere le vie per le quali si delineano i modi di un possibile oltrepassamento del nichilismo’.

Questo attardarsi non va confuso con l’esitare, semmai è il suo contrario.
Senza la consapevolezza del come e del perché ogni cammino porta con sé il rischio di disperdersi per ‘sentieri interrotti’ (si noti la similitudine con l’‘entrare nel bosco’ auspicato proprio da Juenger ne Il trattato del ribelle, ancora una volta proposto quale atto di volontà e d’orgoglio oltre che di ‘resistenza’ contro le lusinghe e le catene della modernità politica). Il destino equivale ad una sconfitta qualora il suo metro si affidi alla pretesa d’essere auto-coscienza del proprio valore. Proprio Heidegger ha scritto in altra parte: ‘Colui che pensa nella grandezza, nella grandezza costui è costretto ad errare’…

Entrambi, dunque, si confrontano in un dialogo a distanza sul nichilismo ‘il più inquietante di tutti gli ospiti’, come era stato definito da Nietzsche, la cui ombra si estende su tutto il XX secolo e di cui questo esile libro, edito in Italia dall’Adelphi nel 1980, è il punto più alto di svelamento, di comprensione, di superamento. Un libro epocale, osiamo dire, che poi, a ben guardare, è l’altra faccia, il rovescio dell’inattualità, di cui anche qui dobbiamo essere grati al padre di Zarathustra per avercene fatto dono.