martedì 20 gennaio 2015

Il fondamentalismo dietro la democrazia

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di Francesco Carlesi (L'intellettuale dissidente.it) 


Uno dei frutti più dolci delle primavere arabe, secondo i massimi organi di stampa del nostro paese, è la Tunisia. Il paese dove la democrazia ha trionfato, grazie alla spontanea rivolta del popolo di fronte al regime dittatoriale e oppressivo. Una rivoluzione benedetta dall’Occidente e realizzata grazie al benefico influsso dei social network e degli strati più giovani del paese, verso cui l’attrazione del “migliore dei mondi possibili” non poteva che essere più ampia e salutare. Ma come spesso accade, dietro la propaganda e le spiegazioni facili, sta la realtà. Seppure Tunisi non abbia conosciuto i travagli di paesi quali l’Egitto, le ombre l’hanno fatta da padrone. E la fanno tuttora.
Tanto per cominciare, il maggior numero di foreign fighters al servizio del Califfato islamico arriva proprio dalla Tunisia. Elementi di primo piano in Siria, Iraq e nella vicina Libia, dove la situazione precipita di giorno in giorno: «i miliziani di Ansar al Sharia, alleati e vassalli del Califfo Al Baghdadi, controllano buona parte della Cirenaica ed hanno proclamato un sedicente emirato islamico a Derna, all’estremità orientale del pese», riporta un’inchiesta di Amedeo Ricucci (di «Repubblica») in loco. Gli aspiranti combattenti tunisini provengono spesso dalla gioventù, la migliore: di età compresa tra 18 e 25 anni e con una buona istruzione alle spalle. Eppure attirati nella rete salafita, alimentata dagli imam venuti dall’estero. Giunti da quei paesi del Golfo, come l’Arabia Saudita, ormai da lungo tempo in prima fila nel finanziamento del fondamentalismo più estremo.
Ma l’Occidente, invece di prendere le distanze, ha sempre intrattenuto ottimi rapporti con queste realtà, la Francia in primis. Difficile rinunciare ai petro-dollari, meglio quindi colpire quei regimi laici che, pur con tutti loro problemi, garantivano stabilità e contrastavano i gruppi violenti. Eliminati Saddam e Gheddafi le tensioni si sono moltiplicate. Per detronizzare Assad l’Occidente ha ripetuto il copione, finanziando l’estremismo che è poi sfuggito di mano (i killer di Parigi erano passati da lì). L’attivismo di John McCain è uno degli emblemi della questione, parte fondamentale degli attuali sconvolgimenti mediorientali. Esso vanta precedenti illustri, come quel Zbigniew Brzezinski che sostenne gli islamisti in ottica anti-sovietica (Afghanistan) sin dalla fine degli anni ’70.
La Tunisia, quindi, è in una situazione difficile: il 16 luglio scorso, sul massiccio del Chaambi, un violento scontro tra terroristi e esercito ha causato la morte di 15 soldati, più 20 feriti. Il bilancio più pesante dai tempi della lotta per l’Indipendenza del 1956. E le tensioni non sono cessate. «Vista la nostra collocazione geografica e visti i flussi migratori che ci sono fra i nostri paesi, è evidente che il pericolo rischia di estendersi a tutto il Mediterraneo», ha dichiarato il ministro degli Interni Ben Jeddou. Quel Mediterraneo in cui proprio la diplomazia italiana, anche nelle difficoltà del dopoguerra, era riuscita a esercitare un’azione incisiva ed efficace.
Quella Tunisia che ospitò Craxi in segno di riconoscimento per gli aiuti economico – politici e le influenze positive. Ma ora tutto è incerto. La nostra classe politica non ha la statura di un tempo, e partecipa alle follie di Francia e Inghilterra contro i suoi stessi interessi (Libia). Le «primavere arabe» si sono rivelate un bluff, le ingerenze esterne hanno dato frutti avvelenati e anche la Tunisia, il campione democratico, ammette paurose difficoltà. E’ arrivato il momento per l’Occidente di fare una seria autocritica, e per l’Italia di riscoprire lo spirito e le tendenze fondamentali della sua politica mediterranea. E il suo orgoglio.