martedì 23 giugno 2015

Mario Sanesi: itinerario di libertà dal Msi alle Nuove sintesi

La Voce della Fogna
di E. Nistri (Barbadillo.it)

Longanesi ha scritto che i figli dei grandi uomini assomigliano al padre solo per il naso. L’aforisma si adatta solo in parte al caso di Mario Sanesi, anche se non è da escludere che la personalità volitiva e un po’ ingombrante del padre abbia influito sul suo “profilo basso” in politica come nel lavoro. Su di esso pesò anche un’innata modestia, che lo indusse per esempio, lui laureatosi a pieni voti in storia medievale, con una ponderosa tesi di ricerca che Franco Cardini gli aveva assegnato intuendo in lui non comuni doti di ricercatore, a non cercare gli sbocchi universitari che il suo maestro gli aveva proposto, accontentandosi di una decorosa e inappuntabile carriera come professore di scuola. Ma non sempre la modestia, con buona pace di Marinetti, è la virtù dei mediocri, e, come dimostrano i suoi articoli e le sue recensioni su “Diorama letterario”, sempre puntuali, documentate, approfondite, Mario un mediocre non era.
Legato da rapporti di amicizia e di stima a Marco Tarchi, Sanesi seguì le principali tappe del suo itinerario umano, politico e culturale, dentro e fuori il Msi: dal campeggio a Corfù, nella Grecia dei Colonnelli, l’anno della maturità (quando però, dopo qualche dissapore coi locali, non rinunciò a intonare le strofe irripetibili dell’Osteria numero dieci cantate a suo tempo dal padre volontario di guerra) alla cooptazione nel direttivo provinciale del partito, a metà anni Settanta, insieme a figure di non comune levatura intellettuale, dallo stesso Tarchi a Dario Durando, dai fratelli Sinatti a Carlo Terracciano; dai viaggi in Francia all’amicizia con Jacques Marchall, dalla fondazione della “Voce della Fogna” a quella di “Diorama”, dall’esperienza della Nuova Destra alla fuoruscita dal partito, a costo di entrare in collisione col “federale padre” che pure doveva essere orgoglioso di quel figlio colto, lui che per i traumi del dopoguerra e la necessità di mantenere la famiglia non era potuto andare al di là di un diploma di ragioniere.
Il destino lo accomuna a Terracciano e alla Tre Re
Negli ultimi mesi della sua vita il suo aspetto fisico appariva pesantemente segnato dal subdolo operato di un male rivelatosi invincibile. Il suo volto di eterno ragazzo appariva ormai opaco e segnato. Eppure, stoico senza enfasi, cercò fino all’ultimo di condurre una vita normale, senza indulgere all’autocommiserazione, continuando a seguire i suoi discepoli sin quasi alle soglie della maturità, forte di una vocazione didattica che lo accomunava a Marco Tarchi. Pochi giorni fa, quando il suo destino era ormai segnato, fece la scelta di vivere i pochi giorni che gli restavano in Sardegna, con un gruppo di amici fidati. La morte, per arresto cardiaco, l’ha colto quasi in riva al mare, all’età di 62 anni: troppo pochi per chi avrebbe avuto ancora tante cose da offrire e da chiedere alla vita. Resta il rimpianto di un uomo modesto ma non mediocre, riservato ma non timido, colto senza ostentazioni, riservato ma capace di dire quello che pensava senza ritrosie né infingimenti. E la rabbia per un destino ingrato che l’accomuna purtroppo a tanti altri esponenti della sua generazione, da Carlo Terracciano a Susanna Tre Re.
Addio, Mario. Di quella magica e remota stagione di “Elementi”, che, insieme a tanti fraintendimenti e incomprensioni, ci regalò qualche attimo di rara felicità, non hai voluto essere che un discreto testimone e un intelligente comprimario. Ma non è retorica scrivere che, se tutti noi avessimo preso esempio da te, l’Italia sarebbe forse un paese migliore.
Alla politica era arrivato quasi per predestinazione familiare. Il padre, Sergio, originario di Castelfiorentino, uno dei comuni più rossi d’Italia, era stato giovanissimo volontario nella campagna di Grecia, combattente nella Repubblica Sociale, per poi divenire, dopo anni molto difficili, dirigente della Silvaneon, un’azienda pionieristica nel campo della pubblicità luminosa, fondata da Nando Martellini, anch’egli reduce della Rsi, vittima di uno dei primi rapimenti in Toscana. All’alba degli anni Settanta, quando il figlio si iscriveva alla Giovane Italia sull’onda delle grandi manifestazioni per la libertà della Polonia, era il segretario della federazione fiorentina del Msi, asserragliata come in un fortilizio al piano nobile di un palazzotto di piazza Indipendenza. Consigliere comunale e provinciale, alla fine degli anni Ottanta sarebbe divenuto senatore, per poi traghettare, forte del suo prestigio di ex combattente, il riottoso mondo reducistico missino in Alleanza Nazionale. Buon oratore, stimato nelle istituzioni anche dagli avversari, ricco di interessi culturali nonostante gli studi interrotti, morì nel 1999 e non è forse un caso se la sua scomparsa è coincisa con l’emergere di forze centrifughe sempre più devastanti all’interno della destra fiorentina.