domenica 10 agosto 2014

Il mercato immigrazionista e la solita pappa del cuore

di Alessio Mulas (L'Intellettuale Dissidente)

Negli ultimi 25 anni sono 20mila le persone morte durante il viaggio clandestino verso l’Europa. La tragedia si può fermare solo con una visione chiara del fenomeno migratorio, acquistando consapevolezza che lo spostamento di incertezza e l’inflazione delle aspettative sono difficili da governare e vanno a danno di chi è già debole



È apparso di recente un documento del Migration Policy Centre dell’European University Institute, intitolato «Is what we hear about migration really true? Questioning eight stereotypes»[1], che esamina i presunti stereotipi che il solito popolino, cattivo e ignorante, ha sul tema dell’immigrazione. Lo studio, che ha avuto ampio seguito sui giornali dell’Europa intera, non porta niente di nuovo a un dibattito che sempre più si rivela sterile: snocciola qualche banale quanto necessaria confutazione dei luoghi comuni anti-immigrazionisti, servendo il piatto con la solita salsa buonista e un’apparente scientificità. Sebbene sembri riuscire nell’impresa, basta scorrere il documento curato dal MPC per accorgersi che i veri problemi riguardanti l’immigrazione sono tacitamente ignorati.

Da queste pagine siamo più volte tornati sull’argomento. In particolare, abbiamo proposto una interpretazione del fenomeno migratorio come spostamento di incertezza[2]. Questa costituisce, insieme al fattore tempo, la cornice dell’azione umana. Non avere certezza sul futuro, essere preda del dubbio riguardo all’esito delle proprie attività e subire l’inutilità della propria conoscenza a causa della mutevolezza del presente sono costanti della modernità. L’immagine della liquidità, proposta da Bauman, è calzante: tutto scivola, inafferrabile. A ciò si aggiunge l’inflazione di aspettative che la cittadinanza ha verso la politica, aspettative che solo un Pericle potrebbe conciliare e soddisfare.

Ma all’orizzonte non vediamo dei Pericle. L’immigrazione rappresenta uno spostamento di incertezza (prevalentemente economica) da Paesi sofferenti verso Paesi forti. Insieme all’incertezza economica, arrivano anche nuove ed eterogenee aspettative, le quali vanno ad aggiungersi al già difficilmente governabile “mercato delle aspettative e delle idee”. La stessa ethnoscape, caos informe di nativi, turisti, gruppi in passaggio, lavoratori e professionisti stranieri, immigrati e rifugiati, è il primo simbolo del crollo dell’identità culturale di una nazione o di una civiltà, perché — promuovendo un’economia globalizzata e una cultura globalizzante — mina all’omogeneità identitaria di un Popolo, creando nuova incertezza culturale. Si istituisce una classe di uomini senza identità, sempre più schiavizzata e facilmente governabile dal capitale.

Oltre all’aspetto economico e culturale del problema, c’è quello strategico e geopolitico. Nel primo dopoguerra, il teorico militare inglese Liddell Hart descrisse un approccio indiretto alla guerra (e ricordiamo che per guerra non si intende solo lo scontro effettivo, l’atto del combattere, ma anche quel «tratto di tempo in cui la volontà di combattersi è sufficientemente nota»[3]), che consiste nel colpire l’avversario senza affrontarlo direttamente, cioè colpendone le industrie, le attività economiche e le reti di comunicazione, il piegandone il morale[4].

L’immigrazione (legale o meno) è così interpretabile come strategia indiretta volta a innestare in un Paese nuove aspettative, che vanno a modificare in una direzione le linee generali di politica estera, le attività culturali, l’apparato produttivo del Paese che ne riceve gli effetti. Chi trae beneficio dall’immigrazione è la classe politica inetta dei Paesi dai quali si emigra: la diminuzione della pressione demografica porta sollievo ai conti pubblici; l’abbassamento dell’incertezza garantisce i responsabili economici e politici del fallimento di un Paese dalla pericolosità delle masse. Se masse ad alto grado di incertezza si spostano, diminuisce il rischio di una reazione — poco importa se democratica e culturale o violenta e furiosa — contro gli inetti politici locali o le industrie straniere che sfruttano i territori. Ogni difesa del fenomeno migratorio affranca dalle inemendabili colpe i veri responsabili dei fattori (povertà, carestie, guerre) che hanno portato allo spostamento di uomini. Nessun sistema, sia esso socialista o liberale, è invulnerabile allo spostamento dell’«esercito industriale di riserva» (Marx) o impermeabile alla teoria politica.

E nella teoria politica non deve trovare spazio quella «pappa del cuore» (Hegel) propagandata in modo martellante, a suon di lacrime, dai mezzi di informazione italiani. Nella strategia indiretta immigrazionista è osservabile la nascita di un “mercato del migrante”, di un cartello politico dell’immigrazione, del tutto simile alle dinamiche del commercio di petrolio e materie prime. Tale politica, attraverso lo spostamento della riserva di manodopera, «costringe di fatto i Paesi riceventi a costi di produzione, dati i salari medi (dei migranti regolari o irregolari qui poco importa) a permanere in filiere produttive a bassa produttività, che verranno prossimamente attaccate o sostituite dai Paesi Terzi in fase di industrializzazione»[5]. Secondo il quarto rapporto «Gli immigrati nel mercato del lavoro in Italia»[6], promosso e curato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali e dalla Direzione Generale dell’Immigrazione e delle Politiche di Integrazione, gli stranieri occupati sono 2.355.923; «a fronte della diminuzione del numero di occupati italiani di 500 mila unità nell’arco di appena dodici mesi, aumenta il numero di occupati stranieri di entrambe le componenti UE ed Extra UE per complessivi +21.875 lavoratori». Andatelo a dire al signor Rossi: gli immigrati “non ti rubano il lavoro”, come affermerebbe con abietta convinzione il documento del Migration Policy Centre.

Nel frattempo, l’Operazione Mare Nostrum, ribattezzata Mare Mostrum, continua a donare l’illusione che l’Europa e l’Italia possano accogliere tutti coloro che hanno bisogno. Ieri, 20 persone sono morte durante un naufragio al largo di Al Khums, a 100 chilometri a est di Tripoli. Kassem Ayoub, portavoce della Marina libica, ha reso noto che 22 clandestini, aggrappati a ciò che restava della barca, sono stati messi in salvo.

Negli ultimi 25 anni sono 20mila le persone morte durante il viaggio clandestino verso l’Europa. La tragedia si può fermare solo con una visione chiara del fenomeno migratorio, acquistando consapevolezza che lo spostamento di incertezza e l’inflazione delle aspettative sono difficili da governare e vanno a danno di chi è già debole. Senza la perversa pappa del cuore.



[1] http://cadmus.eui.eu/bitstream/handle/1814/31731/MPC_2014_FARGUES.pdf?sequence=1
[2] http://www.lintellettualedissidente.it/perche-limmigrazione-e-coeva-al-capitale/
[3] T. Hobbes, Leviathan, XIII cap.
[4] B. Liddell Hart, Paride o il futuro della guerra, introduzione di Fabio Mini, Editrice Goriziana, Gorizia, 2007.
[5] M. Giaconi, Dall’influenza economica al rischio jihad. L’Immigrazione elemento di strategia indiretta, Gnosis 2/2009.