di Mario De Fazio (Barbadillo)
Va bene la libertà d’espressione. Ma dipende da chi la esercita e contro chi. Francesco Storace, ex presidente della Regione Lazio e leader de La Destra, considera la condanna per vilipendio al Capo dello Stato un atto commesso da un “regime che confuta la libertà di espressione”. Una caccia alle streghe che si scatenò nel 2007 “per mascherare la mia proposta di abolire i senatori a vita”. “Rispetto a quello che sento dire oggi, il mio fu un complimento”, aggiunge.
Storace, lei è stato condannato per vilipendio al Capo dello Stato, come Giovannino Guareschi. Un caso più unico che raro?
«A parte il caso celebre di Guareschi, che fu condannato quando c’era un presidente tutt’altro che interventista (Luigi Einaudi, era il 1950, nda) che non partecipava attivamente all’agone politico, in realtà ci sono stati altri casi minori. Ma se c’è un senso nell’immunità parlamentare risiede proprio nell’esercizio libero delle opinioni. A giudicare dall’effetto boomerang che si è scatenato soprattutto in rete, però, si è trattato di un passo falso».
Lei è stato condannato per aver dichiarato “indegno” della sua carica Napolitano, rispondendo al Presidente che a sua volta aveva considerato “indegno” offendere l’allora senatore a vita Rita Levi Montalcini, con cui La Destra aveva polemizzato perché nel 2007 i senatori a vita erano una sorta di soccorso rosso al governo Prodi, con tanto di stampelle recapitate a domicilio. E’ una ricostruzione corretta?
«C’è di più. In realtà nessuno mandò le stampelle alla Montalcini e in nessun atto giudiziario mi è stato contestato questo. Qualcuno lo scrisse sul blog e qualche giovane più scalmanato lo disse ma io non ho mai detto quelle parole. Si montò un caso politico perché si voleva mascherare una mia proposta di legge per abolire i senatori a vita. In quel periodo si viveva ogni votazione rischiando l’infarto, e ogni volta che i senatori a vita votavano davano una mano al governo. Io presentai un disegno di legge costituzionale per l’abolizione di questa figura e si scatenò un pandemonio. Ma qui si tratta davvero di un episodio senza precedenti».
Dalla sua vicenda sembra emergere uno dei paradossi delle democrazie liberali: in teoria si tutelano le opinioni di qualsiasi minoranza ma quando si sconfina fuori dal recinto delle libertà concesse, viene messa in discussione la stessa natura della libertà di pensiero. E’ così?
«Viene confutata la libertà di opinione. Paradosso per paradosso, aggiungerei che quando due persone fanno pace, come accaduto a me, il processo va avanti lo stesso perché nel caso del vilipendio non ci si può fermare. Mentre se querelo un giornalista ma poi ci riconciliamo, finisce tutto. E’ un regime, non c’è dubbio. Con il Pd che sabota qualsiasi iniziativa di modifica del reato di vilipendio. In Italia non si può più criticare».
A lei capitò Mastella come Guardasigilli, che fu particolarmente solerte nel procedere con l’accusa. Oggi se ne sentono di tutti i colori sulla Presidenza della repubblica ma nessuno si muove…
«Rispetto a quello che sento dire in giro oggi, il mio fu un complimento. La mattina della sentenza ho scritto un pezzo che si intitolava “il vilipendolo”: mi è capitato Mastella che in 48 ore si è subito attivato, mi fosse capitato Orlando, che dorme sui faldoni che si accumulano, forse sarebbe andata diversamente. Ma con i miei avvocati abbiamo deciso di muoverci come una specie di Perry Mason: ogni volta che leggeremo o ascolteremo una frase offensiva la segnaleremo come diffida a procedere al ministro Orlando e, nel caso non faccia nulla, lo denunceremo per omissione d’atti d’ufficio. Più liberali di così non credo si possa essere».
In tanti hanno espresso solidarietà nei suoi confronti. Quali sono stati gli attestati di stima che le hanno fatto più piacere e da chi invece si aspettava una parola che non è arrivata?
«Mi hanno fatto piacere le parole di Gasparri, che si è battuto come un leone, e mi ha sorpreso la compattezza di Fratelli d’Italia, di La Russa, Meloni e Alemanno: un mondo che si è sentito colpito. Anche le parole di Fini, con cui mi sono aspramente scontrato in passato, mi hanno fatto piacere. E poi mi ha colpito molto la solidarietà di Sel: la sinistra laziale, che è quella che mi conosce meglio, mi ha difeso sia tramite il vicepresidente della Regione Massimiliano Smeriglio che con il consigliere Gino De Paolis. Di quelle che mancano vorrei aspettare qualche giorno a fare i nomi, concedendo l’attenuante della tempistica. Forse qualcuno si è svegliato tardi e non sa ancora che sono stato condannato. C’è molto cinismo in giro».