giovedì 20 dicembre 2012

L'illusione del risparmio


di Teodoro Klitsche de la Grange (Rinascita)

Qualcuno pensa che il debito pubblico decresca? I dati disponibili dicono che è aumentato sotto il governo dei tecnici. Le ragioni di tale incremento sono diverse: qua ne trattiamo una, non secondaria, che è tra le costanti della politica finanziaria dei governi di quest’ultimi vent’anni, e si riassume in due massime:
1) non pagare i debiti; procrastinarli, per cui si trattengono quattrini in cassa, facendo finta che i debiti non esistono perché... non sono pagati.
2) Non registrare come debito ciò che lo è o quasi sicuramente lo sarà. Così il debito non è estinto ma solo sommerso. Tipico esempio (tra tanti): i vincoli temporanei di piano regolatore, indennizzabili per legge da circa dieci anni, di cui non mi è dato leggere che ne sia stato pagato alcuno. É la tecnica, trasferita dalle pulizie di casa alle finanze pubbliche, della massaia pigra che nasconde il pattume sotto il tappeto.
Ambedue si basano su quella prassi dell’illusione sulle spese pubbliche di cui Amilcare Puviani, stigmatizzandole, così riassumeva i risultati “il bilancio dice assai più o assai meno, come si vuole. Esso resta una sfinge impenetrabile alle grandi masse della Camera, a quelle masse che votano le leggi, che votano le spese, che votano le entrate” e se appariva impenetrabile alle “masse” della Camera, figuriamoci al popolo! E lo studioso perugino proseguiva “La vera situazione dei conti si nasconde in un ciborio recondito, entro cui penetra l’occhio di un piccolo numero di uomini espertissimi: quasi sempre i grandi sacerdoti di un sistema democratico falso, che si palleggiano il potere e che sono perciò tenuti, anche nelle loro contese, alla maggiore riserva”.
Ora più (e solo) dei governi si dovrebbe dire che quel ciborio è a custodia multipla, cui partecipano palesemente enti internazionali, e occultamente, lobby e interessi organizzati.
Fatte queste premesse, vediamo come si è configurato questo (tipo di) illusione finanziaria, solertemente praticata soprattutto dagli anni ’90 e in particolare dai governi “tecnici” o a guida “tecnica”.
Negli anni ’90, la riduzione degli incrementi del PIL, l’aumento dell’età della popolazione, la crescita del debito pubblico e, soprattutto, l’asserita necessità di entrare nell’euro, hanno determinato l’urgenza di ridimensionare il debito non solo riducendolo, ma anche occultandolo.
In particolare si cercava di conseguire l’effetto di moratoria del debito pubblico, gabellando le minori uscite conseguenti ai pagamenti dilazionati per risparmi o riduzioni di esborsi (mentre ne erano solo il rinvio); il tutto evitando di mostrare tali misure per quelle che sono: la moratoria di debiti pubblici, realizzata indirettamente.
All’uopo, e a partire dal ’93, nel bel mezzo della tempesta giustizialista, si iniziò a limitare l’esecuzione forzata nei confronti degli enti pubblici, con norme che frapponevano ostacoli ai creditori a realizzare il credito.
Ad esempio con l’art. 11 della legge 19 marzo 1993, n. 68 si precisava che non sono ammessi atti di sequestro o di pignoramento presso soggetti diversi dal Tesoriere dell’Ente. Con una norma siffatta il sistema per non pagare il creditore è semplice: basta far andare in “rosso” il conto presso il Tesoriere e dirottare altrove le liquidità dell’Ente (pubblico). Ma la fantasia truffaldina si esercitava anche in altro modo. Con la legge 67/93 si prescriveva che le somme dovute dalle P.A. sanitarie (USL ed altro) non erano soggette ad esecuzione forzata. Questa norma ed altre simili sono all’origine del continuo lievitare della spesa sanitaria; perché se i debiti non si pagano, crescono (per interessi, rivalutazione, spese): non è necessario un gran tecnico per capirlo. Ma anche tale norma pareva non bastare. Con l’art. 113 del D.L. 25/2/95 n. 77, si disponeva, che non erano ammesse procedure di esecuzione e di espropriazione forzata anche nei confronti degli enti locali. Un’altra norma dilazionava a 120 giorni il termine per eseguire i provvedimenti giudiziari a carico delle PP.AA. (invece dei 10 giorni valevoli per tutti). Qualche anno fa, anche il governo di centrodestra, messo alle strette dagli esborsi della c.d. “legge-Pinto” (indennizzo per il lento funzionamento della giustizia italiana) rendeva impignorabili praticamente tutti i debiti dell’amministrazione della giustizia. Con l’effetto di far lievitare i ricorsi alla Corte europea di Strasbugo ed al T.A.R., volti a sanzionare lo Stato (i primi), e farsi pagare, con altra e più lunga procedura (i secondi).
Ma questo non sembrava sufficiente, per cui erano promulgate delle norme volte a ridurre l’importo per interessi e rivalutazione sui vecchi debiti, accompagnate anche da decisioni giudiziarie (per lo più) nello stesso senso ma talvolta no. Con effetti, di rimbalzo, controproducenti sul debito. Ad esempio il Ministero del Tesoro, con proprio D.M. 1/9/98 n. 352, decideva di cambiare, in peggio per i creditori, il calcolo di rivalutazione ed interessi dovuti per crediti retributivi dei dipendenti tardivamente soddisfatti, prescritto da norma generale (art. 429 c.p.c.) valevole per tutti i lavoratori, pubblici e privati. Il Consiglio di Stato con sentenza 669 del 2009 ha annullato con efficacia erga omnes tale decreto. Con il risultato che qualche centinaia di migliaia di creditori, danneggiati dal decreto annullato, si stanno ripresentando alle casse, vantando a ragione il pagamento, maggiorato d’interessi ed altro. L’aspetto inquietante è che il Consiglio di Stato già aveva disapplicato la norma (cioè con effetto limitato al giudizio) già nel 1999 (dec. 115) e aggiungeva anche che la circolare applicativa del decreto era “priva di qualsiasi dignità giuridica”, perché l’amministrazione aveva interpretato le norme “addomesticate” nel senso che dovessero essere applicate anche “alle sentenze…non ancora eseguite”. Ciò nonostante nessun governo se ne era dato per inteso e quel regolamento arrecava danni ai creditori altri dieci anni.
L’altro espediente, di non “registrare” come debito ciò che lo è, o sicuramente – magari a breve – lo diventerà (anche “liquido ed esigibile”) è un aspetto che già trattava con dovizia d’argomenti Puviani, elencando, tra le altre tecniche d’illusione sulle spese “i nascondimenti di debiti nel movimento dei capitali, nelle spese ultra-straordinarie, nelle spese d’investimento ecc., le previsioni ottimistiche, il computo di entrate non introitabili, lo sconto di entrate future, il mascheramento di debiti definitivi sotto forma di debiti di tesoreria”.
La fantasia dei governi italiani in fatto di illusioni finanziarie ha tuttavia superato l’elencazione di Puviani; ed è per lo più mascherata da rigore. Un esempio ce l’ha fornito qualche mese fa Monti quando si “sdegnò” perché Alfano aveva chiesto di estendere i casi di compensazione tra debiti e crediti verso lo Stato. A parte il fatto che la compensazione, come forma generale di estinzione dei debiti è stata prescritta da Giustiniano (da cui è passata nei codici moderni), per cui lo sdegno del Premier avrebbe dovuto essere indirizzato verso il grande Imperatore romano e non verso il giovane segretario siciliano, è palese che una dichiarazione del genere significa di non voler pagare i debiti, nel mentre si esigono i crediti. Cioè è un sistema per far aumentare i debiti e non per ridurli. Per cui che con queste “pensate” il debito pubblico aumenti e che il “rigore” proclamato a parole sia l’esatto contrario nei risultati non dev’essere oggetto di stupore (né quindi la notizia di pochi giorni fa che il debito pubblico ha superato i 2000 miliardi di euro): è semplicemente l’elementare conseguenza della prassi illusoria di mettere i debiti “sotto il tappeto”. Tappeto che, come la coperta corta, per il troppo pattume nascostovi, non riesce più a ricoprirlo.