sabato 30 giugno 2012

Emergenza rifiuti,ne produciamo troppi,siamo sommersi

di Emanuele Marotta

Secondo l’istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale Ispra, nel 2010 abbiamo prodotto troppi rifiuti e la parte più colpita da questa invasione è il centro Italia.
Non si riesce più a trasportarla all’estero, costa troppo, e non si riesce più a smaltirla in Italia. Cumoli di mondezza intorno a noi, sembrano colline, ma gli uccelli che vi volano sopra stanno lì per un “giusto” motivo, cibo? Non sanno però che moriranno avvelenati e prima o poi anche noi. C’è in atto in tutta Italia, ma soprattutto nelle grandi città, una vera guerra dei rifiuti tra sindaci e cittadini. Dopo le grandi polemiche di Roma, per fortuna scampata ad un accumulo di rifiuti, si ricomincia a parlare di nuovi inceneritori in posti assurdi. Un giorno avremo un cumulo di rifiuti dentro al Colosseo e un inceneritore in piazza San Pietro, anche se ho i miei dubbi che possa accadere, penso sia più probabile che si riesca a costruire in Piazza del Popolo.
Per non parlare di Napoli, questione irrisolta, questione mafiosa, questione vergognosa. Quanti altri bambini dovranno partire da Napoli per curarsi a Milano di tumore? Non sanno più dove metterla e non considerano né l’inquinamento né i cittadini né l’ambiente. La raccolta differenziata si sta espandendo in tutta Italia, purtroppo non a macchia d’olio come si espandono i problemi e le catastrofi naturali, si sa le cose giuste fanno sempre fatica ad emergere, ma come mai? Perché questo mondo va al contrario non c’è più nessuno che è responsabile per se stesso figuriamoci per gli altri e per l’ambiente circostante. Città importanti per la loro cultura e il turismo non possono essere abbandonate a loro stesse, Firenze, Milano, Roma, Napoli, Modena, Torino. Piccole città famose per la pace e la natura come Assisi non possono avere problemi di immondizia con frigoriferi, cartoni e divani vicino ai cassonetti.
Località di mare non possono avere problemi di smaltimento, non si può nuotare con dei bicchieri di plastica intorno. Tutto ciò deve essere regolato e gli stessi cittadini devono convincersi che l’unica soluzione per ora è di riciclare. Cosa vogliamo fare? Continuare a suicidarci? Perché è questo che stiamo facendo e coloro che se ne infischiano sono degli assassini, non più dei delinquenti. Questa non è polemica ma purtroppo è la dura realtà, le soluzioni ci sarebbero, ma diventano come dicono “i potenti”: “insormontabili”, quando ci sono di mezzo i soldi, ma di mezzo ci siamo tutti noi e il nostro futuro. Molti si chiedono giustamente, ed è arrivato anche il momento di essere cortesi e rispondere: “ma l’uomo è così intelligente ed evoluto, ha inventato di tutto e di più, possibile che la nostra fonte più importante per la sopravvivenza (e quindi di guadagno) l’Energia, non possa essere gestita in modo migliore? O Più semplicemente non essere gestita? A questo proposito si può accennare alla grande scoperta (fatta già molti anni fa) della’energia per tutti, gratis e pulita.
Questa è un’altra lunga, tristissima e vergognosa storia scomoda che nessuno vuole raccontare per poi realizzarla concretamente, perché se ci fosse veramente una piccola, minima, minuscola possibilità che esistesse veramente questa macchina che brucia (in questo caso i rifiuti) producendo energia pulita, sarebbe la salvezza di tutti, anche di coloro che hanno fatto sparire nel nulla gli scienziati e i giornalisti che ne hanno parlato. Ma è più forte l’avarizia che l’intelletto, è più facile distruggere che costruire. Quei “mercanti in fiera” che speculano sull’energia, sanno di essere in pericolo di vita anche loro?
Sanno di avere sulla coscienza tutta l’umanità e tutta la natura, la terra e l’universo? Lo sanno ma è più bello avere i soldi e il potere che la consapevolezza interiore e la pace eterna dei sensi sapendo di aver fatto la cosa più giusta del mondo. Si spera che il 21 dicembre 2012 ci sia un blocco mentale collettivo che faccia nascere una coscienza a tutti.

venerdì 29 giugno 2012

L'economia irreale ha sovrastato quella reale.Si recuperi il senso del limite



di Marcello Veneziani (il Giornale)

La crisi è più economica o valoriale?

"La crisi economica che stiamo vivendo si inquadra in una crisi epocale che ha una natura spirituale. E' difficile stabilire automaticamente il nesso, però è un modello di vita e di società che è andato in crisi".

Siamo al capolinea?

"Io temo che siamo arrivati in una fase di declino irreversibile. Bisogna tentare fino in fondo la possibilità di risorgere però quando si crea una congiuntura fatta di crisi demografica da una parte (che è un indicatore straordinario per la denatalità e l'assenza di futuro) e si aggiunge l'economia irreale che vince su quella reale si crea un circuito con scarsa capacità reattiva e tutto fa pensare che siamo in una fase di difficile recupero. Possiamo migliorare nel contingente ma il quadro non è esaltante".

Come uscirne?

"Dal momento che la ragione della crisi non è economica, il rimedio non può essere di tipo economico. Non è semplicemente attraverso operazioni finanziari o un maggiore prelievo fiscale che si può arrivare a superare la crisi. E' una questione che attiene al modello di civilità politico culturale, è una crisi su vari livelli quindi non è detto che se si tampona un livello migliorino gli altri.

Rispetto alle crisi del passato, sembra che adesso ci sia un maggiore scoramento diffuso. Come se lo spiega?

"In passato e in altre crisi c'erano dei punti fermi che restavano nello sfondo e poi si modificavano alcuni assetti. Adesso l'impressione è che questi punti fermi siano stati giocati già all'interno di questa crisi e non ci sono più punti fermi da cui ripartire".

Qual è la sua ricetta per ripartire?

"Il punto di partenza è quello: cioè ripensare ai nostri legami comunitari, al senso del sacro, alla vita, al rapporto con gli altri, occorre dare contenuti e missioni alla vita. È un discorso molto più ampio e radicale rispetto a cui i paradigmi della società finanziaria e dei consumi sono assolutamente inadeguati".

Propone un ritorno alla tradizione e al passato?

"Non credo che oggi la soluzione possa essere contrapporre il mondo della tradizione come un mondo chiuso a se stante al mondo della modernità. Noi dobbiamo attraversare la modernità superarla ma non certo tornare indietro o immaginare dei modelli assoluti attinti dal passato".

Si parla di uscita dall'euro. Che idea si è fatto?

"L'euro ha acutizzato un processo, ma io credo che il problema sia quello di un potere assoluto dell'economia virtuale, finanziaria irreale rispetto a quella reale. Cioè quando si diventa così subalterni a quel tipo di modello poi si rimane inviluppati. Quindi all'interno di questa patologia l'euro ha funzionato da detonatore. Ora non so se un ritorno indietro sia possibile o se sia possibile una soluzione a latere, come le due velocità o come un sistema coerente a livello monetario mediterraneo senza inseguire il modello inaccessibile della Germania. Resta il fatto che buona parte delle crisi economiche sono scoppiate da quando è stato introdotto il sistema monetario unico".

E' stato giusto parlare dei suicidi sui giornali?

"Sono perplesso sui suicidi perché sui giornali vedo una concentrazione diffusa ma se leggo le statistiche non c'è stato un sostanziale cambiamento e l'impressione è che siano da inserire in una crisi esistenziale più che alla crisi economica che può essere il motivo scatenante per alcuni suicidi ma non è che fa aumentare il ricorso al suicidio. Ho impressione che diamo troppa importanza al fattore economico ma in realtà c'è una disperazione di fondo che si attacca all'economia ma non è derivata solo da questa".

Un percorso di letture per provare a reagire?

"Occorre uscire dalla convinzione che non ci sia niente da fare. La mia impressione è che il fenomeno sia irreversibile però credo che sia umano reagire e per reagire occorre leggere gli autori forti del passato: Seneca, Platone, Plotino. Oppure uno come Latouche con La Decrescita felice", che non è il rimedio reale della sua società però ci fa capire che il modello dei consumi illimitati è una utopia.
Non si può pensare che la società progredisca sempre. Bisogna recuperare il senso del limite, del confine, recuperare il nostro rapporto col passato e col futuro. Viviamo completamente immersi nel presente e rischiamo di essere inghiottiti nelle sabbie mobili del presente e soltanto la convinzione che c'è stato un mondo prima di noi e ce ne sarà un altro dopo di noi possiamo recuperare una dimensione spiriturale collettiva, comunitaria rispetto a questo atteggiamento di totale debacle che stiamo vivendo".

giovedì 28 giugno 2012

Crollano i consumi? Siamo al ridotto della Valtellina...



di Miro Renzaglia

La non notizia è questa: in Italia, secondo l’Istat, le vendite al dettaglio, ad aprile del 2012, scendono ai minimi storici di un meno 6,8% su base annua. E’ record assoluto negativo.
Perché è una non notizia? Perché non serve essere laureati in economia, e tantomeno esimi professori della Bocconi per capire che quando introduci nuove tasse, congeli salari e pensioni, non riesci a frenare l’aumento dei prezzi dei beni di prima necessità, crei nuova disoccupazione, ingigantisci il precariato, susciti nel lavoratore il terrore di licenziamenti più facili; ecco – dicevo – non bisogna essere per forza Mario Monti per capire che, quando succede tutto questo, anche solo per buon senso pratico, il consumatore cerchi di consumare meno.
Il che non sarebbe neanche sbagliato se la contrazione non riguardasse anche e soprattutto generi di prima necessità. Uno dei settori a più alto indice di regressione della spesa – pari al 6,1% – riguarda, infatti, il settore alimentare.
Se non è difficile capire il fenomeno, non era nemmeno complicato prevederlo. La politica dei sacrifici e dell’austerità ha sempre prodotto recessione economica e mai sviluppo. Provate a sottrarre al ciclo produzione-consumo-produzione, su cui si fonda il meccanismo economico del mercato capitalista in auge, il termine di mezzo (consumo) e vi rimarrà un binomio tautologico (produzione-produzione) che alla fine smetterà di avere la propria ragione sociale.
In realtà, chi ha avviato questo processo recessivo mira ad altro. Proprio mentre agli italiani veniva imposta una finanziaria da lacrime e sangue (35 miliardi di euro) la Bce metteva a disposizione delle nostre banche 150 miliardi di euro ad un tasso d’interesse irrisorio. Il messaggio è chiaro e suona pressappoco così:
“Care consorelle di usura, grazie alla crisi, che noi stesse abbiamo sapientemente provocato, abbiamo potuto avviare un meccanismo strozza popoli che non mancherà di farsi avvertire sia tra i lavoratori che tra gli imprenditori. Entrambi, se vogliono arrivare alla fine del mese e non chiudere baracca, avranno bisogno di indebitarsi ulteriormente. Questi 150 miliardi che la Bce vi dà ad un tasso dell’1%, e che voi rivenderete al dettaglio a non meno del 4%, sono i rifornimenti necessari al fabbisogno della nostra decisiva battaglia, quella di creare un unico cittadino del mondo: il debitore”.
Messa così, le rilevazioni dell’Istat che segnano una regressione dei consumi va letta come atto di estrema resistenza del popolo italiano alla morsa dei trafficanti di denaro. Ma siamo ormai al ridotto della Valtellina.

lunedì 25 giugno 2012

Ricatto in salsa cinese

di il Giornale

Pechino comanda, Roma dispone e l’Italia soccombe. La Farnesina è riuscita a bloccare, su forti pressioni della Cina, il conferimento della cittadinanza onoraria al Dalai Lama Sua Santità Tenzin Gyatso decisa dal consiglio comunale della città meneghina.
L’arma di ricatto? Sempre quella, il vile denaro in quanto la Cina ha minacciato il boicottaggio di massa dell’Expo milanese del 2015.
La principale autorità religiosa del mondo buddhista non avrà dunque le chiavi della città.
Il Comune è stato costretto a fare dietrofront sulla proposta, dopo che che la Farnesina aveva insistito per un passo indietro. I timori di Roma si concentravano soprattutto su un possibile no cinese all’Expo 2015, che sarebbe potuto arrivare come risposta al conferimento dell’onorificenza a Sua Santità Tenzin Gyatso. Dalla Cina è atteso per l’Expo un milione di persone, su circa 24 milioni di visitatori preventivati. Anche la Cina avrebbe chiesto a più ripresa la sospensione della decisione.
Niente cittadinanza, ma per il Dalai Lama la possibilità di parlare durante una seduta del Consiglio e rivolgersi quindi all’intera città. Davanti alla possibilità di una defezione di massa dei visitatori del gigante asiatico non è stato però sufficiente che la delibera avesse in calce le firme dei rappresentanti di tutte le forze politiche dell’aula.
Nella tarda serata di ieri il sindaco di Milano Giuliano Pisapia aveva convocato un incontro d’urgenza con i capigruppo della maggioranza, per arrivare a una decisione condivisa sul caso diplomatico. E oggi il sindaco ha comunicato ai consiglieri comunali il rinvio del voto - su proposta del presidente del Consiglio Basilio Rizzo - per lavorare a una soluzione alternativa.

sabato 23 giugno 2012

Marciare,non marcire. Ma rigenerarsi è necessario


di Gabriele Marconi

Sì, certo: destra e sinistra sono concetti che non hanno più 
senso. La gente non ne può più eccetera eccetera… L’abbiamo detto da così tanto tempo che ci siamo stufati pure di precisarlo. Insomma lo sappiamo. E abbiamo metabolizzato questa consapevolezza da decenni, quando ancora tanti di quelli che oggi pontificano sulla vecchiezza di queste categorie ci guardavano come marziani, se non addirittura come traditori.
Quel che ci sta a cuore è l’Italia, non solo una parte di essa e tantomeno una parte che non si sa come chiamare perché non ha neanche l’ombra di un’uniformità ideologica. D’altro canto, pretendere di trovare convergenza di vedute tra quanti hanno in qualche modo rappresentato il nostro universo politico è un gioco non solo inutile ma sbagliato: non di destra si dovrebbe parlare, infatti, semmai di “destre”, al plurale. E ognuna ha sempre riunito al suo interno un’ulteriore pluralità di sfumature neanche tanto piccole.
Anche chi - come chi scrive - è nato politicamente in un movimento che rifiutava le categorie destra/sinistra, sa perfettamente che lo stesso rifiuto comprendeva in sé posizioni diversissime e a volte contrapposizioni di non poco conto.
Quello che ha unito (e in qualche modo unisce ancora) il nostro mondo non sono le ricette: sono gli ingredienti, ovvero “il modo” di rapportarsi al mondo. Marzio Tremaglia era riuscito a riassumerne la sostanza con la qualità rarissima della semplicità: «Credo nei valori del radicamento, dell’identità e della libertà; nei valori che nascono dalla tutela della dignità personale. Sono convinto che la vita non può ridursi allo scambio, alla produzione o al mercato, ma necessita di dimensioni più alte e diverse. Penso che l’apertura al Sacro e al Bello non siano solo problemi individuali. Credo in una dimensione tipica della vita che si riassume nel senso dell’onore, nel rispetto fondamentale verso se stessi, nel rifiuto del compromesso sistematico, e nella certezza che esistono beni superiori alla vita e alla libertà per i quali a volte è giusto sacrificare vita e libertà».
Qualcuno ha criticato l’appello di Marcello Veneziani (apparso sul Secolo d’Italia) perché parlava ancora di destra. Altri l’hanno stigmatizzato perché era rivolto a un mondo che non esiste più. Altri ancora hanno risposto che non c’è bisogno di rivoluzioni e che, con qualche aggiustamento, le cose si possono ancora rimettere a posto.
Su Libero, Renato Besana ha raccontato come, insieme a Veneziani, ha pensato di proporre un laboratorio politico dal nome “Itaca” per una nuova rivoluzione conservatrice italiana. Sullo stesso quotidiano, nella sua nuova rubrica, l’editore Freda ha giudicato positivo l’appello cogliendone l’intento di fondo al di là del nome.
Tuttavia, i nomi formano la sostanza e giustamente Marcello de Angelis, oltre ad ospitare sul quotidiano che dirige numerosi interventi stimolati dall’articolo di Veneziani, ha scritto che per chi ha voluto passare le Colonne d’Ercole un ritorno a Itaca non è possibile né auspicabile e la sfida è quella di trovare un continente nuovo.
Si potrebbe pensare che la sintonia venga dalla lunga frequentazione, ma io credo l’esatto contrario: la lunga frequentazione è resa possibile dalla sintonia. È per questo che, senza averne parlato con de Angelis, quando Besana mi ha inviato la bozza dell’appello ho avuto la sua stessa reazione, e nel riferimento al “ritorno a Itaca” ho percepito un senso di nostalgia lontanissimo dalla volontà di assaltare il futuro. Ma quella nostalgia è lontanissima anche dall’intento degli stessi promotori, che è un intento giusto e razionale anche se magari non hanno azzeccato il nome.
Perché è sacrosanta la necessità di rigenerare quel mondo che per semplicità chiamiamo destra. Nessuno vuole tornare indietro, ma avanti così non si può andare.

mercoledì 20 giugno 2012

Una vita tecnologica priva di emozioni



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di giornaledelribelle

Chissà cosa penserebbe John Stuart Mill dell’uomo contemporaneo se ancora oggi calpestasse il suolo di questa terra. Il filosofo utilitarista vissuto nei primi 70 anni dell’Ottocento, infatti, era un pensatore che credeva fermamente nella bellezza e nella specialità della vita umana. Secondo il suo punto di vista l’uomo era una creazione della natura che nessuna diavoleria meccanica, nessuna macchina creata col fine di sottrarre l’uomo dalle proprie azioni quotidiane, poteva neanche lontanamente eguagliare. La sua vita si svolse interamente durante gli anni d’oro della rivoluzione industriale, dunque Mill subì prepotentemente l’evoluzione della catena di montaggio delle fabbriche, rudimentali agglomerati di ferraglie che compivano azioni, ripetitive e meccaniche, un tempo sbrigate dagli artigiani di bottega. Fu ilperiodo in cui il cielo plumbeo di Londra si ricoprì di un denso e nero strato di inquinamento atmosferico.

Stuart Mill passeggiava per le sue campagne, probabilmente con passo lento e riflessivo, e si fermava a guardare lo skyline grigiastro e fetido della città, poi i campi intorno, tutti quanti deformati e lavorati dall’aratro. “Qui – scriveva dalle colline dello Yorkshire – non potete spingere lo sguardo in una qualunque direzione senza vedere fumo; e le città che, viste in lontananza e specialmente da un’altura, costituiscono in genere gli elementi più belli del paesaggio, qui non sono altro che sorgenti di fumo nero gettato fuori a fiotti da alte ciminiere che sorgono come gli alberi delle navi in un bacino sovraffollato. Non avevo mai visto una città costruita per i suoi tre quarti di fabbriche, costruite a mezza strada tra la caserma e il carcere, ognuna delle quali contribuiva per la sua parte ad annerire il cielo e a rendere disgustosa l’aria che si respirava”. Poi Mill volgeva il pensiero agli uomini della sua contemporaneità, maledicendo il tempo in cui il freddo metallo delle macchine acquisì più valore dell’uomo stesso. Scriveva: “Tra le opere dell’uomo che la vita s’impegna a perfezionare e a abbellire, la prima per importanza è l’uomo stesso. Anche ammesso che fosse possibile costruire case, coltivare grano e combattere guerre per mezzo di macchine, sarebbe comunque una perdita rilevante sostituire con tali automi gli uomini e le donne, che sicuramente sono soltanto un pallido esemplare di ciò che la natura può produrre e produrrà nell’avvenire”.

Al volgere dell’Ottocento, nell’epoca bismarckiana dell’età degli Imperi, Stuart Mill non aveva fatto che descrivere il futuro degenerativo dell’umanità. Non c’è oggi settore della vita in cui la macchina non abbia sostituito la mano e l’inventiva dell’uomo, e la sostituzione dell’uomo con la macchina hacertamente reso più comoda l’esistenza, ma ha tolto a noi il sapore della vita stessa, e probabilmente anche la capacità dell’emozione. Un tempo non troppo lontano il mondo era fatto da “interminati spazi” e “sovrumani silenzi”, e non c’era tecnologia fotografica o aerei computerizzati e ultraveloci che potessero portare a conoscenza dell’uomo sedentario la bellezza del nostro pianeta. Soltanto il viaggio attraverso i pericolosi e inesplorati oceani (anch’essi un universo naturale) o a cavallo, ci dava la sensazione di essere parte del mondo, e non dominatore dello stesso. Chi rimaneva al proprio villaggio (la maggior parte della gente) ripercorreva con l’immaginazione ilracconto dell’esploratore. La terra, in sostanza, era un qualcosa di sconosciuto e misterioso. Oggi non c’è zona del globo che non sia stata sondata, vivisezionata, studiata: non serve più l’esplorazione, l’avventura perpetua, per sapere com’è fatta l’Australia o la criniera di un leone; gli animali esotici sono tutti rinchiusi allo zoo, e alla portata di chiunque (ma dov’è la bellezza della natura nel vedere una tigre in gabbia con una ciotola di metallo tra le zanne?); se le montagne sono prive di neve, si spara quella finta, e il sapere quando si manifesta un acquazzone ha una pretestuosa importanza: programmare i viaggi al mare. Siamo arrivati al punto da non sopportare la pioggia per il semplice motivo che ci si bagna. In estrema sintesi viviamo la vita senza però vivere ogni suo singolo attimo: a suo modo, infatti, il bisogno incessante di modellare tempo ed esistenza attraverso l’uso della tecnologia, che senza dubbio e con ritmi sempre più frenetici hasostituito le azioni umane, ci ha allontanato dall’essere parte di un mondoche ha sempre avuto le sue regole naturali: là dove un tempo era la natura a dettare i modi del vivere, e l’uomo si limitava a conviverci rispettandola, oggi essa è dominata e manipolata, e l’uomo contemporaneo ha finito con l’essere sempre più ciò che ha e sempre meno ciò che è. Ma che sapore può avere l’esistenza se è tutto qui, a portata di mano? Anche la guerra, che in una certa misura ha la sua filosofia e che comunque è aspetto esclusivo dell’essere umano, è oggi priva delle sue antiche caratteristiche: un tempo nel campo di battaglia ci si affrontava a viso aperto, ed era un contatto tra condannati che dava un senso alla morte o alla paura di morire, e per questo, sempre in una certa misura, si portava rispetto per chi veniva dilaniato dai colpi inferti. In Afghanistan, oggi, la guerra è combattuta dalla Nato per mezzo di droni computerizzati e guidati migliaia di chilometri lontano dalle zone di battaglia. Si pigia un bottone in Texas e muoiono centinaia di uomini a Kabul: così agendo non si percepisce la sofferenza e la tragedia della morte che, perdendo valore, toglie valore anche alla vita. Le attuali società primitive sono la prova provata che l’uomo contemporaneo, con ilmito del progresso, abbia sovvertito il mondo naturale. In queste tribù tutto è magico e sacro, di conseguenza le attività profane che modellano la natura per i bisogni elementari sono, appunto, causa di profanazione, e non hanno senso nella vita di tutti i giorni. Ci viene detto che queste civiltà primitive sono schiave delle loro stesse credenze. Ma è tanto diverso per noi, che siamo schiavi delle nostre? “Non c’è molta soddisfazione – conclude in uno dei suoi illuminanti passi Mill – nel contemplare un mondo in cui nulla sia lasciato all’attività spontanea della natura, dove ogni zolla di terra in grado di produrre cibo per gli esseri umani sia messa in coltura, ogni distesa fiorita e ogni pascolo naturale arato, ogni animale o uccello non addomesticato per l’uso dell’uomo sterminato come un rivale nella lotta per il cibo, ogni siepe o albero non utile sradicato, e non rimanga quasi luogo dove un cespuglio selvatico o un fiore possa crescere senza essere strappato come erbaccia in nome del progresso”. E qui la sua speranza: “Se la terra è destinata a perdere gran parte della bellezza che le deriva da quelle cose che la crescitaillimitata della popolazione e della ricchezza estirperebbe da essa, al solo scopo di metterla in grado di sostentare una popolazione più ampia, ma non migliore o felice, io spero in tutta sincerità, per il bene dei posteri, che essi si accontenteranno dello stato stazionario assai prima che la necessità ve li costringa”. Il voler sostituire un’azione naturale con la macchina equivale al voler sostituire la natura con un mondo fittizio e a misura d’uomo (quando in realtà dovrebbe essere l’uomo a misura della natura). Tutto questo è possibile, e lo vediamo soprattutto oggi. Ma ha un senso? Un senso umano, intendo.

sabato 16 giugno 2012

Voltagabbana e Voltamutande



Marco Travaglio raccontava qualche giorno fa degli ‘antemarcia’ cioè, flaianamente parlando, degli specialisti nel salire, all’ultimo momento, sul carro del vincitore. Fenomeno che da noi ha una lunghissima tradizione che risale alla nascita dell’Italia unitaria. Si cominciò col garibaldinismo. Se tutti quelli che dicevano di aver partecipato alla spedizione dei Mille l’avessero fatta, i Mille non sarebbero stati mille, ma qualche milione.

Si è continuato con gli ‘antemarcia’ propriamente detti, i fascisti che millantavano di aver partecipato alla peraltro ridicola ‘Marcia su Roma’. Il 25 aprile 1945 si assistette al miracolo gaudioso: gli italiani da tutti fascisti, o quasi, che erano stati, erano diventati, in un sol giorno, tutti antifascisti. Arturo Tofanelli, il fondatore di “Tempo illustrato”, il primo rotocalco italiano, mi raccontò che quel giorno stava tornando in treno da Torino a Milano. Affacciato al finestrino vedeva brillare, a centinaia, dei cerchietti ma, a causa del riflesso, non capiva cosa fossero. A una sosta del treno ne raccolse uno: era il distintivo del Pnf di cui gli italiani si stavano sbarazzando.

I ‘retromarcia’ sono una variante degli ‘antemarcia’. È gente troppo pubblicamente compromessa con l’antico regime per poter salire subito sul carro del vincitore. Hanno bisogno di fare prima un po’ di retromarcia che consiste nello sparare sul Capo che hanno caninamente servito per anni, ricavandone ogni sorta di prebende. Martelli adversus Craxi.

Adesso è l’ora di Berlusconi. Il 23 maggio ho aperto il Corriere e ho letto questa dichiarazione: “Il Cavaliere è un leader finito”. Di chi era? Di Di Pietro, di Vendola o almeno di Bersani? Era di Marcello Pera. Berlusconi sarà anche un uomo finito, ma Pera non è mai esistito. Presidente del Senato dal 2001 al 2006 di lui si ricorda solo una memorabile confessione: “In casa mi piace stare in mutande” (davanti a Berlusconi invece se le calava).

Pera fa parte di quel gruppo di ‘professori’, si fa per dire, di cui il Cavaliere, ignorante come una scarpa, amò circondarsi all’inizio della sua avventura politica (sbagliando perché gli intellettuali sono i più infìdi, i primi a lasciare la nave che affonda e non per nulla Bossi non ne ha mai voluto sapere).

Nelle riunioni di Forza Italia poi Pdl, i ‘professori’ si distinguevano più degli altri, ed è tutto dire, negli applausi scroscianti a ogni cazzata che diceva il Capo. La cosa era talmente bulgara che una volta che Saverio Vertone si dimenticò di battere le mani fu preso da Berlusconi letteralmente per le orecchie, che divennero rosse di vergogna.

Adesso è la volta di Schifani, un’altra ameba: “Il governo di Berlusconi è caduto per gli errori del Pdl”. Ho l’impressione che fra poco dovremo cominciare a difendere il nano di Arcore. Perché Berlusconi è quello che è, ma in quello che fa ci mette tutta la sua enorme energia. Alla fine degli anni 80 lo intervistai ad Arcore sul calcio (Fu una cosa divertente. A un certo punto il Berlusca si indispettì per le mie domande e pretendeva di farsele lui – come dopo la sua ‘discesa in campo’ sarebbe regolarmente avvenuto. Gli risposi: “Presidente, le domande spettano a me, a lei le risposte”).

Comunque in quell’intervista mi raccontò che quando, ragazzo, aveva messo su, con Confalonieri e altri amici di gioventù, una squadretta di calcio, era lui, alle nove di mattina, a tracciare col gesso le linee del campo, dell’area di rigore, di quella del portiere, eccetera. Gli altri, per questi lavori di bassa manovalanza, se la squagliavano. Credo fosse sincero. Berlusconi è quello che è. Ma i Pera, gli Schifani, i Cicchitto, i Bonaiuti e gli infiniti altri sono dei saprofiti, dei parassiti, delle zecche che gli hanno succhiato il sangue. E se Berlusconi può fare, o aver fatto paura, questi fanno solo schifo.

Massimo Fini

giovedì 14 giugno 2012

Dalla parte di chi specula o di chi produce?

di Marcello de Angelis (Secolo d'Italia)

La politica riguarda la vita di tutti e quindi non può essere complicata. Internet ha creato un’illusione di conoscenza che ha riempito i cervelli di informazioni parziali e impedisce di avere una visione chiara e semplice delle cose. Così è stato facile convincere gli italiani che i responsabili della crisi fossero i politici e non chi ha inventato i prodotti finanziari che hanno intossicato l’economia mondiale. Rimettere indietro le lancette è impossibile. I milioni di italiani convertiti a questa superstizione non è più possibile recuperarli, anche se qualcuno sembra tentato da listoni più grillini di grillo. Ma ai rimanenti italiani abbiamo ancora la possibilità e il dovere di dire le cose con chiarezza. Lavoratori, imprenditori, commercianti, producono ricchezza e risparmiano, investono, comprano, creando crescita e benessere diffuso. C’è poi chi prende quei risparmi, li investe in operazioni senza scrupoli e trattiene vantaggiosi interessi. E usa poi quei soldi per innalzare e deprimere artificialmente le economie nazionali e rendere più convenienti i propri investimenti. E quando tutto va male brucia le risorse dei risparmiatori e mette al sicuro i propri interessi. Per poi tornare nei Paesi che ha devastato e comprare tutto al ribasso. Non si può stare contemporaneamente con chi produce e con chi specula. E non si può tutelare chi produce e risparmia accettando le imposizioni di chi specula. E non si può tutelare chi produce e chi risparmia governando con chi tutela chi specula.

mercoledì 13 giugno 2012

Il corto circuito delle "culture superiori"


di Massimo Fini 

Claude Lévi-Strauss, filosofo e antropologo francese, divide le società in "fredde" e "calde". Le prime sono tendenzialmente statiche e privilegiano l’equilibrio e l’armonia a scapito dell’efficienza economica e tecnologica. Le seconde, cui appartiene la nostra, sono dinamiche e scelgono l’efficienza e lo sviluppo economico a danno però dell’equilibrio, dato che "producono entropia, disordine, conflitti sociali e lotte politiche, tutte cose contro le quali i primitivi si premuniscono e forse in modo più cosciente e sistematico di quanto non supponiamo". Non esistono quindi "culture inferiori" e "culture superiori". Si tratta semplicemente di società diverse che partono da presupposti diversi, ognuna delle quali sviluppa soltanto alcune delle potenzialità, e non altre, presenti nella natura umana.
Comunque sia il guaio delle società dinamiche è che alla lunga finiscono fatalmente per essere strozzate dal loro stesso dinamismo e per fallire proprio in quell’economia su cui hanno puntato tutto, marginalizzando le altre esigenze umane. Queste società infatti non solo non possono fare marcia indietro, ma non possono nemmeno mantenere la velocità acquisita, devono sempre aumentarla. Quando questo non è più possibile il nastro si riavvolge all’indietro con rapidità supersonica consumando in pochissimo tempo ciò che era stato acquisito in secoli di trionfale avanzata. Questo è il rischio che corriamo noi, oggi.
Facciamo un esempio minimo che riguarda l’attuale situazione italiana ma il cui significato può essere esteso a tutto il modello di sviluppo occidentale, basato sulle crescite infinite. L’altra sera partecipando a un dibattito l’onorevole Roberto Rosso, del Pdl, sosteneva che i dipendenti pubblici sono troppi, un’enormità, tre milioni e mezzo, e che era necessario ridimensionarli drasticamente. "Va bene, ho replicato. Poniamo che sia possibile toglierne di mezzo un milione trasbordandoli su qualche "ammortizzatore sociale". Però questo milione perderà molta della sua capacità d’acquisto mettendo in difficoltà le imprese che saranno costrette a mettere in cassa integrazione parecchi impiegati e operai che perderanno, a loro volta, capacità d’acquisto e di consumo mettendo ulteriormente nei guai le imprese che dovranno liberarsi di altro personale o chiudere, in un avvitamento di cui non si vede la fine". È solo un esempio. Ma tutta l’attuale situazione è fatta di questi incrodamenti, a cominciare dalla inconciliabilità del binomio rigore-crescita, richiamato talmudicamente in ogni discorso, del governo, dei politici, degli economisti, dei sindacati, quando crescere non si può più.
E viene l’orrido sospetto che non avessero del tutto torto quei primitivi che si sono rifiutati di entrare nel meraviglioso mondo della "cultura superiore" e si sono quantomeno risparmiati lo stress quotidiano dello spread, del Ftsi Mib, della Borsa, dei mercati, della "spending rewiew", dei tassi di sconto, dei tassi di interesse, dei mutui, della Bce, della Fed, dell’Fmi, dell’Iban, del Cab, dell’Abi, del Bic, del Cin, del pin, dell’i-phone, dell’i-pad, del Tablet, del digitale terrestre, del cavo per l’hd e la frustrazione, su cui tutto l’ambaradan si regge, di vedere sfrecciare il vicino in Bmw mentre tu ti devi accontentare, fantozzianamente, di un’utilitaria.

martedì 12 giugno 2012

Decisioni sulla pelle dei popoli


di Wall Street Italia

Daniel Estulin, autore del libro “Il Club Bilderberg” ha ricostruito i colloqui intervenuti alla riunione del Club Bilderberg tenutasi nei giorni scorsi in Virginia, negli Stati Uniti. Tra le altre cose si è deciso che la Spagna (umiliata al meeting) dovrà avere il colpo di grazia e sarà costretta ad uscire dall’euro (ed infatti pronto è giunto il downgrade di Fitch) in quanto non ha nulla da offrire ai “salvatori”, la Grecia ha ceduto porti, aeroporti e l’acropoli di Atene. Inoltre, molta attenzione è stata riservata alla Russia in quanto Putin è determinato a “mantenere intatta la sovranità” e si oppone alle basi militari USA sui confini russi e allo scudo missilistico dello zio Sam. Su una cosa i “signori dell’ombra” non transigono: deve essere preservato il sistema bancario.

New York - Durante i tre giorni del meeting di Bilderberg in Virginia, negli Stati Uniti, i banchieri europei, i funzionari del governo americano e i money manager internazionali hanno discusso sulla possibilità di chiudere le porte in faccia all’approccio improntato alla cautela della Germania e di allargare il credito ai paesi europei più indebitati.

Sul piano geopolitico, secondo quanto riportato sul suo blog dallo spagnolo Daniel Estulin, esperto delle riunioni che si tengono ormai da decenni e autore del libro “Il Club Bilderberg”, particolari preoccupazioni desta la Russia e il fatto che Vladimir Putin insiste nel voler mantenere “intatto lo stato di sovranità ”. Un altro problema riguarda la belligeranza del paese in merito a 1) le basi Usa che circondano la Russia e 2) gli impianti di difesa missilistica americana che sono rivolti contro Mosca. La Russia non e’ più la temuta superpotenza militare di un tempo, ma e’ in possesso di armi nucleari e strategiche non indifferenti che potrà utilizzare come deterrente insieme al suo status di potenza energetica. E’ arcinoto che la Russia e’ una terra ricca di petrolio e gas naturale, materie prime che contano per due terzi delle esportazioni della nazione.

A proposito di risorse, un membro tedesco ha fatto notare che quelle della Germania sono limitate, mentre un altro connazionale ha sottolineato che “sarebbe impossibile in questo clima economico e politico cercare di convincere i tedeschi a supportare la Spagna, un paese messo in ginocchio da corruzione e inefficienza”.

Il messaggio chiave dell’incontro: qualsiasi cosa accada, l’imperativo e’ preservare il sistema bancario. La vicepresidente spagnola ha dovuto fare un bagno di umiltà, quando ha provato a convincere i potenti colleghi tedeschi a cedere sulla questione degli Eurobond, facendo leva sulla “responsabilita’” comune. La risposta e’ stata eloquente: “Vedi di andartene!”. Questa la replica della potente elite di Bilderberg alle pretese di Soraya.

La conclusione non poteva essere più spaventosa per l’immediato futuro della Spagna. Madrid sarà sacrificata sull’altare dell’alta finanza. “Perché dovremmo salvarti se la Spagna ha mentito sul debito e sui suoi problemi finanziari?”, ha chiesto uno dei membri tedeschi alla vicepresidente spagnola. “Il vostro sistema bancario fa schifo. Avete un patrimonio che potrebbe interessare a qualcuno?”. La risposta ha risuonato per tutta la sala, “No”. Uno dei membri americani ha dichiarato che “è giunto il momento di premere il bottone di allarme”.

Il senso di panico è aumentato durante il week end, man mano che le discussioni si facevano più tese. A differenza dei cittadini spagnoli, Bilderberg ha accesso all’elenco completo dei depositi bancari che sono “volati via” dalla Spagna e che si crede possano raddoppiare la cifra già annunciata di 66,2 miliardi di euro a marzo.

“Marzo è un’eternità in termini finanziari”, ha fatto notare uno dei membri di Bilderberg. Ma i numeri parlano da soli. Il debito delle istituzioni finanziarie spagnole è il 109% del Prodotto Interno Lordo, il doppio di Francia e Germania e il triplo di quello degli Stati Uniti. i prestiti insoluti nel settore delle costruzioni sono il 40% del Prodotto Interno Lordo e non il 20%, come Rajoy ha voluto far credere al resto del mondo.

Un altro membro di Bilderberg ha dichiarato che “il problema della Spagna è che il suo settore delle costruzioni è come un gorilla di 800 chili in un negozio di souvenir giapponese”, grande come tutto il settore manifatturiero. Al contrario, in Germania, le costruzioni rappresentano solo il 20% dell’industria manifatturiera.

Un altro membro ancora ha puntato il dito sul fatto che, un anno fa, il Prodotto Interno Lordo era sceso da 8 trilioni di dollari a 6.1 trilioni. Un trilione di questo calo era da attribuire al collasso di Lehman Brothers, all’acquisto di Bear Stearns da parte di JPMorgan Chase e alla fusione Bank of America-Merrill Lynch.

In conclusione, il sistema bancario spagnolo sta morendo. La principale banca del Paese, il Banco Santander, ha un debito di oltre 800 miliardi di euro. Bilderberg ovviamente lo sa. Le metastasi hanno infettato tutto il sistema. I “Signori dell’Ombra” hanno parlato e il copione è già stato scritto. Non resta che restare a guardare quanto tempo impiegheranno gli attori a fare la loro parte.

C’è un’unica soluzione. La Spagna deve immediatamente lasciare l’euro e tornare ad essere una nazione indipendente.

domenica 10 giugno 2012

La cricca inventa altri enti per spartirsi il potere




di L.M.

Mr. Monti, abbandonato il ministro Passera sul guado di una “crescita per lo sviluppo” che questo governo - in carica soltanto per regalare interessi ad usura alle banche d’affari internazionali, non può varare - ha ottenuto le scuse e il viatico di Confindustria.
Si sentiva “accerchiato”, il Mister, ma così ha ritrovato un direttore tecnico affamapopolo indigeno per riprendere la marcia taglia-lavoro e uccidi-Italia indicata dalla triade Fmi, Bce, Ue.
Intanto, i suoi puntelli di partito, con il beneplacito del governo, proseguono senza soste a suicidare quel che resta da suicidare dell’ex Stato nazionale italiano. Riempono poltrone di loro “fedeli” e inventano nuovi “enti” (o “autorità”, o “garanti”) su cui far sedere i loro protetti. Ora è la volta del “garante” dei Trasporti. Per loro c’è sempre modo di aggiungere un posto a tavola.
Unica novità “politica”, dai partiti, rumori di elezioni in autunno e, dunque, adozione di un qualche sistema elettorale per restare in sella, ...finché si può.
Agli italiani restano disoccupazione, stretta creditizia ed Equitalia. E il rosario di suicidi per tasse e per fame: l’ultimo quello dell’ex imprenditore di Padova raggiunto dalla solita “gabella”. Un disastro coltivato con cura.

sabato 9 giugno 2012

Rischiare tutto: perchè?


Imagedi Marcello Frigeri (giornaledelribelle)

L’Occidente, più o meno dal ‘500 –ma nella seconda metà del ‘900 con piùinsistente nevrosi– si è imposto un compito ben preciso come fosse una missione sacra: "occidentalizzare" il resto del mondo, con la convizione che lapropria società sia a tutti gli effetti “il migliore dei mondi possibili”. La storia, tuttavia, ci insegna che ogni civiltà, dall’ellenica alla romana, dall’egiziana allamesopotamica, si è sempre creduta un “vaso d’elezione”: l’uomo tende a far coincidere l’universo con il proprio modello etico, considerando la sua verità lapiù giusta. Ma mentre le altre civiltà, passate o presenti, non sono andateoltre il ritenersi le più grandi della loro epoca, noi occidentali siamo convintiche quanto abbiamo fatto negli ultimi secoli sia qualcosa di incomparabile, dunque non solo ci riteniamo i migliori, ma imponiamo il nostro modello al resto del mondo. Pretendiamo di inculcare, in estrema sintesi, il sistema liberal-capitalista a popoli la cui cultura –che sia tribale o di stampo medievalista o naturalista non importa– è lontana a noi migliaia di anni luce, sia per storia che per tradizione, contaminandole e, di conseguenza, cancellandole dalla faccia della terra. Il problema è che considerando l’universo occidentale una “creazione perfetta”, non lo si metterà mai in discussione, pur sapendo tuttavia che niente di ciò che crea l’uomo è perfetto. E non mettendo in discussione la nostra cultura ed il suo stile divita, essa non progredirà e anzi, la condanneremo al ristagnamento.Ciò checritico è il fondamento principe della cultura occidentale: la ragione illuminista che, come spiega il termine stesso, ha uno scopo ben preciso: rischiararetutto ciò che all’uomo non è chiaro. Si tratta dunque di sondare evivisezionare la realtà che ci circonda, per comprendere ogni singolo mistero di questa terra e oltre –dall’astronomia alla medicina, dalla natura al modus operandi dell’individuo stesso. Nulla, insomma, deve avere angoli d’ombra, perché la ragione è spinta da un desiderio insaziabile di conoscenza.Ma lasete illuminista del sapere a tutti i costi ci ha tolto il sapore della filosofia, portandoci ad essere più calcolatori e più razionali ma meno filosofi, più materialisti ma meno sognatori. Galileo, che nel ‘600 è diventato il padredella scienza moderna, di fatto ha contribuito all’obbiettivo illuminista dispostare il campo visivo dell’uomo dalla filosofia delle cose alla scienza dellecose. Ma togliendo il chiaroscuro alla vita, si toglie anche il sogno e il dubbio.Il problema, però, è ben più grande: la ragione umana pretende di portarel’uomo alla conoscenza assoluta senza però poterla realmente raggiungere. Così quando arriveremo ad illuminare l’ultimo angolo remoto della nostra stanza, scopriremo che ci saranno altre stanze da far brillare, e così via, fino all’infinito. L’uomo occidentale, per questo, è un individuo frustrato perché ossessionato dal desiderio di agguantare la perfezione, cioè Dio, che in questo caso si personifica nella sapienza oltre ogni confine. Ma una volta avvicinatosi all’Onnipotente esso sfugge, generando una rincorsa che non avrà mai termine. I greci, ben si guardavano da questo “traguardo”, avendo nella loro etica il senso del limite. Noi, invece, questo senso lo abbiamo completamente perduto.
Ma poi, anche fosse, illuminando una stanza intera e ogni suo remoto angolo, cosa ci resterà ancora da fare se non tirarci un colpo dipistola?L’illuminismo che tutto deve rischiarare e niente deve lasciare al buio ci ha portato ad essere fortemente individualisti: chi è materialista, infatti, penserà più a se’ stesso che alla propria comunità. Senza rendercene conto,infatti, siamo tutti scienziati alla ricerca dell’elisir del perenne benessere. Oggi lo spazio della nostra vita lo dedichiamo ad un unico scopo: la ricerca della felicità e dello star bene. Così ragionando abbiamo in pratica aperto leporte della nostra essenza all’interesse personale, all’egoismo e al bisogno di concorrenza. E cos’è che può minare questa ricerca infinita? Solo un ostacolo: la morte. Mentre alcune culture la considerano una seconda vita, l’uomo occidentale ne è terrorizzato, tanto che non la nomina mai –nelleultime pagine dei giornali scriviamo “ci ha lasciato”, “è venuto a mancare”, “ne ricordano la dipartita”-, e anzi la si tiene il più lontano possibile dallarealtà -per esempio i cimiteri vengono costruiti sempre nelle periferie dellecittà.Tutto ciò che è male, insomma, allontana il nostro pensiero dalla felicitàe lo avvicina alla morte. Dunque l’obiettivo principale è fuggire dalla morteper raggiungere, o quantomeno avvicinare, la felicità. E qui l’illuminismo ha contribuito allo strappo più grande con le altre civiltà: così razionali ematerialisti, in nome della ragione, siamo arrivati ad identificare il denaro, cherappresenta invece il materialismo più becero, con la felicità stessa. In un’epoca come la nostra, industrial-liberista, infatti, il denaro non è più un mezzo utilizzato per scambiare materie prime –indumenti o alimenti-, ma da mezzo secondario è diventato il nostro ideale obiettivo. Oggi il denaro ha più diritti dell’uomo proprio perché lo riteniamo l’essenza della nostra felicità. In un Occidente privo di valori, l’unico ad averne è proprio il denaro, che inepoche passate è sempre stato considerato un oggetto cui l’unica essenzaera quella del mero scambio. In un tempo non troppo lontano i privilegiatierano coloro che non lavoravano e che vivevano nell’ozio, proprio perché illavoro era considerato una pena. Oggi tutto è ribaltato: il lavoro, comeazione che genera denaro, è alla base della nostra società, e chi non lavora è considerato un reietto o uno scarto. Nessuno, in quest’epoca, potrà maivivere senza generare denaro.Perché, poi, dico che ha più diritti dell’uomo? Basta guardare ciò che succede sotto i nostri occhi: il capitale può cercare lasua collocazione geografica là dove è meglio remunerato –Marchionne, adesempio, vuole spostare la Fiat dall’Italia all’America-, mentre gli uomini, chesi trasformano in immigrati per andare alla caccia dei paesi in cui circolamaggior denaro, e che spesso proprio da quel capitale sono stati resi deimiserabili, non avrebbero questo diritto. Allora la domanda sorge spontanea: siamo proprio sicuri che l’Occidente, terra del liberalismo e dell’illuminismo, siail “migliore dei mondi possibili"?

venerdì 8 giugno 2012

MELONI: SVOLTA ENTRO GIUGNO O PRONTI A RIFARE LA DESTRA


Pdl: Meloni, svolta entro giugno o pronti a rifare la destra(Messaggero)

Roma, 8 giu - Se il Pdl ''non cambia radicalmente entro giugno e si discetta ancora di assurde scomposizioni in liste e partitini, anche la nuova destra e' pronta a riorganizzarsi''. Lo afferma l'ex ministro per la Gioventu', Giorgia Meloni intervistata da Il Messaggero.

'E in questo caso - aggiunge - molti di coloro che provengono da An si sentono piu' attrezzati degli altri. La destra puo' essere benissimo rappresentata all'interno del Pdl, purche' non ci facciano sentire ospiti nella casa che abbiamo contribuito a fondare''.

''Credo nell'esperienza del Pdl, ma bisogna ripartire da zero, non restare ingessati sulle alleanze e, soprattutto sgomberare il campo da indiscrezioni che parlano di casting per under 40 o di liste civiche guidate da show men. Dobbiamo introdurre il 100% di democrazia e di meritocrazia per selezionare una nuova classe dirigente, partendo dal merito, piu' che dall'eta' anagrafica'' continua Meloni, che aggiunge: ''Credo in Alfano purche' abbia coraggio fino in fondo. Faccia il quarantenne e non il democristiano''.

Altrimenti, riprende Meloni, ''nessuna operazione nostalgia'': non resta che ''reinterpretare il perimetro della destra''.


giovedì 7 giugno 2012

Omologazione


di Procurato Allarme-blog di controinformazione studentesca

Questa breve riflessione comincia con la prima definizione di Omologare: “Rendere conforme a un modello, rendersi simili ad altri, cancellare le differenze”; e chi conosce un po’ di greco sa che il termine significa “stesso discorso”. Quindi chi è omologato è “conforme a un modello”, ma a quale? E chi per noi giovani è portatore di questo modello?
Purtroppo la risposta è lampante, e triste: quelli che il sistema vuole inculcarci come modelli, magari apparentemente diversi tra loro ma tutti “conformi” alla società malata che ci circonda, passano soprattutto attraverso il più efficace strumento di distrazione di massa: la Televisione.
Essa è stata la matrigna di intere generazioni creando mode e modelli di comportamento giorno dopo giorno, piattume e grigiore che hanno livellato i nostri genitori e noi… quale definizione potrebbe quindi rendere meglio per Omologare se non quella di cancellare le differenze?
Ma noi vogliamo davvero essere tutti uguali, vestirci tutti uguali solo perché va di moda o, addirittura, pensare allo stesso modo? Quante volte i discorsi si riducono ad una serie di frasi ripetute, sentite in tv o in giro? Lo “stesso discorso” che dicevamo all’inizio.
Chi ci governa da decenni, e le logiche a cui obbedisce, hanno progettato per bene un mondo in cui l’uomo non ha più la possibilità di riconoscere e realizzare quella che è davvero la sua natura, in cui le qualità sono completamente dissolte nella quantità e le persone, private delle loro singolari caratteristiche, sono solo numeri, voti, atomi.
Lo hanno fatto per impedire che ognuno vada ad occupare il posto che gli spetta secondo il proprio valore, e perché siano i peggiori ed i disonesti a governare sui migliori. Lo hanno fatto raccontandoci che se 60 persone su 100 sostengono una cosa completamente falsa o ingiusta, hanno ragione loro. Lo hanno fatto concedendoci la scelta solo tra le opzioni politiche, morali e sociali preconfezionate da loro: era più efficace dare un’illusione di libertà che l’evidenza di una prigionia, meglio una lucetta al neon che il buio!
Uno degli obiettivi principali di questi manovratori è ovviamente lo studente, il giovane, il futuro: menti aperte e più facili da plagiare.
Sappiamo quanto è comodo cadere nei loro subdoli messaggi, contenuti in ogni cosa che ci viene insegnata o detta dalla cultura ufficiale, o percorrere le strade che sembrano più facili per ottenere quello che si desidera: “tutte le discese portano ad una pianura, all’ombra dell’inferno: l’eterna selva oscura”. Sforziamoci a non prendere tutto per buono solo perché hanno trovato la giusta maschera per abbindolarci, ricominciamo ad avere carattere e personalità,

disuguagliamoci!

Sottrarre prima di tutto noi stessi dall’omologazione è la condizione per poter poi essere di esempio agli altri; cominciamo a riprenderci la Scelta: nostra vera libertà; perché di quella apparente, che ci fanno credere di avere, non ce ne facciamo nulla.

Sudditi di poteri sempre più lontani


di G. di G. (Rinascita)

In 40 anni siamo passati da 242 a 31mila euro di “debito” a persona. Questo è in cifre il risultato del pessimo lavoro svolto dagli anni Settanta ad oggi dalle classi dirigenti del nostro Paese. A
 fornire il dato è il Censis che ha condotto uno studio più in generale in cui è emerso anche quanto noi italiani ci sentiamo sempre meno sovrani, in Italia e in Europa.
Tre italiani su quattro, rivela l’istituto di ricerca socio-economica, si sentono impossibilitati a incidere realmente sulle decisioni da prendere, in primo luogo per uscire dalla crisi, e destinati a protestare più che altro nelle piazze o a lamentarsi in famiglia e sul posto di lavoro.
I risultati della ricerca presentata dal presidente e dal direttore generale del Censis, Giuseppe De Rita e Giuseppe Roma, dal tema “Dove sta oggi la sovranità” mettono in risalto che ben il 75% degli italiani ritiene che la propria voce non conti nulla in Europa e che il 77% dei cittadini pensa di non avere voce in capitolo neppure nel proprio Paese, percentuale, questa, superata solo dai greci (84%) ma ben sotto Spagna (52%), Germania (30%) e Olanda (19%).
E allora, in Italia, chi comanda davvero? Il Censis lo chiede e ottiene che per il 22% a dettare la legge sono i mercati finanziari, per il 13% gli organismi sovranazionali con in testa il Fondo Monetario e la Banca Mondiale, per il 22% l’Ue e per il 57% - ci dirige il Governo nazionale. E qui si dovrebbe aprire un capitolo a parte perché nella situazione attuale italiana il Governo nazionale è anche espressione dei mercati internazionali e delle banche d’investimento…
Tornando alla ricerca, comunque, si rivela che più è elevato il titolo di studio dell’intervistato più cresce la quota percentuale di chi ritiene che le decisioni reali sull’Italia non vengano prese a Roma.
E poi, ciliegina sulla torta, si scopre che “il gap tra le opinioni della gente e le decisioni dei leader politici è ampio” per il 91% degli italiani. “Si riversa così sulla politica in generale e più specificatamente sugli esponenti politici la delusione per non aver saputo mediare tra le dinamiche finanziarie globali e la vita quotidiana” emerge ancora dal Censis. Per quanto riguarda il lavoro, poi, un italiano su quattro ritiene che per lavorare sia più importante la raccomandazione che l’effettiva competenza e sono oltre 7 milioni e mezzo i lavoratori che ritengono il futuro ancora peggiore della situazione attuale: sono convinti che nel settore in cui sono occupati si perderanno posti di lavoro nei prossimi anni e, appunto, solo chi avrà una spintarella resisterà a scapito del merito. Inoltre, solo il 24% delle persone è convinto che i laureati trovino buoni lavori con buone remunerazioni e il 32% pensa che un laureato deve passare un lungo periodo di ricerca del lavoro prima di trovare una buona collocazione. Per le prospettive di vita in genere, infine, il Censis rivela che è forte la sensazione degli italiani di essere abbandonati dai canali di promozione sociale, cosa che genera la paura di essere soli di fronte alle difficoltà. Secondo la ricerca i 340 suicidi in più nel biennio 2009-2011 rispetto a quello precedente, con tanto di aumento consistente della vendita degli psicofarmaci, vanno letti in questa prospettiva.

lunedì 4 giugno 2012

NATO,sette guerre chiamate con furbizia "operazioni di pace"

di Massimo Fini

Il 20 e 21 maggio si è tenuto a Chicago il summit dei 28 Paesi membri dell’Alleanza Atlantica. Sul Corriere Massimo Gaggi scrive che la Nato ha potuto celebrare "il successo della sua missione storica: un mondo che da oltre 60 anni non conosce vere guerre". Ah sì? In poco più di vent’anni la Nato, improvvisatasi, in nome di non si capisce bene quale diritto "poliziotto del mondo", ha inanellato sette guerre: primo conflitto del Golfo (1991), Somalia (1992), Bosnia (1995), Serbia (1999), Afghanistan (2001), Iraq (2003), Libia (2011).

In che senso queste non sono delle "vere" guerre? Perché le chiamiamo "operazioni di pace" o, preferibilmente, "missioni umanitarie"? Credo che oggi più nessuno oserebbe sostenere questa truffa linguistica. Più probabilmente per noi occidentali queste non sono vere guerre perché non hanno coinvolto i nostri territori e, grazie all’enorme superiorità militare e tecnologica, non c’è alcuna possibilità che li coinvolgano. Ma sarebbe difficile andare a dire ai circa 400mila civili iracheni, serbi, afgani, libici morti per causa diretta o indiretta, delle nostre aggressioni, delle nostre invasioni, delle nostre occupazioni e dei nostri bombardamenti ("effetti collaterali") che quelle che hanno subito non sono state delle "vere" guerre. Quattrocentomila vittime civili stanno in rapporto di 40 a 1 con quelle provocate, nello stesso periodo, dal terrorismo internazionale, Torri Gemelle comprese.

Al sicuro, sostanzialmente ancora ben pasciuti, preoccupati di mantenere con Activia la nostra "naturale regolarità", viviamo con la coscienza tranquilla mentre le nostre macchine belliche (perché ormai non combattiamo nemmeno più con gli uomini, con i soldati ma con i satelliti, con sistemi digitalizzati, con l’elettronica con i "droni", aerei senza equipaggio) perpetrano massacri su popolazioni più o meno lontane. Molto attenti alla nostra pelle abbiamo introiettato una totale indifferenza per quella altrui. Noi italiani abbiamo guardato con comprensibile orrore ciò che è avvenuto a Brindisi: quei corpi in fiamme, quelle membra semicarbonizzate, quei feriti a terra. Ebbene queste scene, e altre ancora più sconvolgenti, si ripetono quasi ogni giorno, a causa nostra, in Afghanistan e, sempre a causa nostra in Iraq perché con la demiurgica pretesa di portarvi la democrazia abbiamo scatenato una guerra civile fra sunniti e sciiti che sotto il pugno di ferro di Saddam non c’era. I giornali della "cultura superiore" coprono le guerre, pardon le "missioni umanitarie", dell’Occidente con l’omertà, le mezze verità, i silenzi.

Durante il summit di Chicago i Talebani hanno inviato ai Paesi della Nato un messaggio. Dice: "Ci rivolgiamo agli altri Paesi membri della Nato perchè non lavorino a favore degli interessi americani e rispondano alle richieste dei loro popoli ritirando immediatamente tutte le loro truppe dall’Afghanistan". In coda i talebani ringraziano Francois Hollande per aver anticipato a quest’anno il ritiro delle truppe francesi. Nessun giornale italiano ne ha dato notizia. Lo ha fatto l’Ansa, senza peraltro riferire il contenuto del messaggio ma solo per definirlo "minaccioso". A me pare invece molto civile, considerando che viene da uomini che da undici anni, pagando un tributo di sangue altissimo, si battono per la libertà del loro Paese da truppe di Paesi che, con violenza e arroganza, pretendono di sostituire i loro valori con i propri.

domenica 3 giugno 2012

La retorica resistenziale sui terremotati dell'Emilia

(il Secolo d'Italia)

Per carità! Ognuno ha i suoi feticci. E da come alcuni si imbizzarriscono dinanzi all’ipotesi di trasform
are il 25 aprile si evince su che lato della strada il feticismo sia più radicato. Feticismo, nostalgismo, chiamatelo come vi pare. Fatto sta che in Italia c’è gente che pensa che la crisi economica fugga via se tutti insieme intoniamo il salmo Bella Ciao con i pugni ben alzati a maledire le stelle. Ogni sotto-cultura ha le sue superstizioni e i suoi riti scaramantici. Da quando il terremoto ha colpito l’Emilia, seminando sofferenze e mietendo vittime, i giornali di riferimento del Pd sparano titoli in prima evocando la lotta partigiana contro il terremoto, passando da “Resistenza emiliana” a “l’Emilia resiste”. Non si capisce se la suggestione che vogliono evocare sia che le vittime hanno tutte la tessera dell’Anpi, oppure che il terremoto, in quanto catastrofe, sia nazi-fascista.