di Giorgio Ballario (Barbadillo)
Fa scalpore, nell’Italia normalizzata da Monti e poteri finanziari, scoprire che esistono ancora i comunisti. Quelli veri: brutti, cattivi e violenti. Non i democratici bersaniani, pronti all’inciucio con il professore bocconiano; e neanche gli scoloriti vendoliani. I comunisti che, fedeli alla propria tradizione, hanno messo in pratica la filosofia del partito armato. E pazienza se adesso hanno i capelli bianchi e stonano cantando l’Internazionale ai funerali di Prospero Gallinari. L’odierno stupore dei moderati fa il paio con le indignate lamentele di poco più di un mese fa, quando i giornali scoprirono con orrore che al funerale di Pino Rauti era pieno di fascisti non proprio politically correct.
Fascisti e brigatisti, Rauti e Gallinari. Difficile immaginare due realtà così diverse fra loro, quasi antitetiche. Eppure ci fu un tempo, molto più tragico e violento di oggi, in cui i due mondi si parlavano, cercavano intese e punti di contatto. Erano gli anni della guerra civile, periodi di scontri fratricidi e reciproche violenze che non si sono mai più cicatrizzate. Mentre da Radio Londra si ascoltavano voci italiane che incitavano il popolo ad abbandonare il fascismo morente, a disertare, a unirsi alle file dei partigiani; dall’altra parte c’era chi lanciava un appello al proletariato e alla classe operaia, invitandoli a stringersi intorno alla bandiera della Rsi, in funzione antinglese e anticapitalista. «Il nemico comune è il capitalismo; e il capitalismo è la peggiore dittatura. Churchill e Roosevelt non sono dittatori nel significato corrente della parola; ma il sistema che essi rappresentano, il capitalismo, anzi il supercapitalismo, è la più opprimente e mostruosa delle dittature».
Sono parole di Stanis Ruinas, di cui oggi ricorre il ventinovesimo anniversario della scomparsa, avvenuta a Roma, nell’indifferenza generale, il 21 gennaio del 1984. Il giornalista e intellettuale sardo (vero nome Giovanni Antonio De Rosas) nel Dopoguerra animerà uno dei più originali ed anomali percorsi politici compiuti da un gruppo, non piccolo, di giovani usciti dall’esperienza della Rsi. «Fascisti-comunisti» venivano chiamati, oppure «comun-fascisti», «camicie nere di Togliatti» e «fascisti rossi». Oggi, per usare il felice neologismo che ha dato il titolo al romanzo di Antonio Pennacchi, diremmo fasciocomunisti.
Un manipolo di intellettuali, giornalisti e militanti che si riunì intorno al quindicinale Pensiero Nazionale, che arrivò a fiancheggiare il Pci e a caldeggiare l’ingresso di molti ex fascisti nelle file comuniste, trovando l’appoggio (e anche finanziamenti) di alcuni illustri dirigenti del partito di Togliatti, come Pajetta, Longo e il futuro segretario Enrico Berlinguer. A metà degli Anni Cinquanta, esaurita l’esperienza filo-comunista, la redazione di Pensiero Nazionale si avvicinò alle idee di Enrico Mattei in tema di politica economica, energetica ed estera e sul piano culturale si aprì verso tutto ciò che costituiva un fenomeno di rottura con il conformismo dell’Italia democristiana, come pure della più ottusa ortodossia comunista.
Ma facciamo un passo indietro, per comprendere meglio la parabola di Stanis Ruinas. Nato a Usini, in provincia di Sassari, nel 1899, Giovanni Antonio De Rosas cresce con ideali mazziniani ed è quindi repubblicano, antiborghese e anticapitalista. Comincia a collaborare a giornali e varie testate con lo pseudonimo di Stanis Ruinas, sposando fin da subito le idee del fascismo “sansepolcrista”, cioè socialista, antimonarchico, contrario all’ingerenza del Vaticano. Nell’arco del Ventennio collabora a L’Impero, Il Popolo d’Italia, Il Resto del Carlino e dirige il Popolo Apuano e il Corriere Emiliano. Nel periodo del massimo consenso mussoliniano le sue idee intransigenti lo fanno un po’ cadere in disgrazia agli occhi del regime: Ruinas viene sospeso e poi radiato dal Pnf «per indisciplina e scarsa fede» e sottoposto a vigilanza speciale, fino alla riconciliazione avvenuta alla vigilia della Seconda guerra mondiale grazie al libro Viaggio per le città di Mussolini del 1939.
Nella guerra contro le forze «plutocratiche» e «trustistiche» inglesi e statunitensi, e ancor più con la nascita della Repubblica sociale italiana, Stanis Ruinas vede finalmente incarnarsi il fascismo delle origini e la possibilità di realizzare quella rivoluzione per la quale si è sempre battuto. La socializzazione e la ricerca di un accordo con gli antifascisti per impedire la guerra civile diventano i cardini attorno ai quali ruota la sua azione giornalistica e politica. Ma l’evolversi della situazione, con la Rsi nelle mani dei tedeschi e comunque condizionata da mille equilibrismi, frustrerà le sue aspettative; anche se Ruinas respingerà sempre l’accusa secondo cui il fascismo repubblicano sarebbe stato l’espressione estrema della reazione capitalista. Anzi, nel Dopoguerra ribalterà l’accusa sui comunisti italiani, colpevoli di collusione con la borghesia per aver scelto di partecipare al governo Bonomi e di aver accettato l’alleanza con l’Inghilterra e gli Usa. «A costo di passare per un ingenuo – scriverà – confesso di non comprendere come uomini che si autoproclamano rivoluzionari, socialisti, comunisti, anarchici, e che per i loro ideali hanno sofferto la galera e l’esilio, possano plaudire all’Inghilterra plutocratica e all’America trustistica, che in nome della democrazia e della libertà democratica devastano l’Europa».
Nel maggio del ’45 Ruinas viene arrestato per un mese e processato, ma poi assolto. Finirà di nuovo in carcere cinque anni dopo e ci resterà per 40 giorni, prima di essere prosciolto per mancanza di prove. L’accusa? «Istigazione alla rivolta armata contro i poteri costituiti». In alcuni articoli, infatti, aveva invitato il Pci a rifarsi con la forza per l’estromissione dal governo De Gasperi e, davvero incredibile, a prendere le armi assieme agli ex militanti di Salò.
La rivista Pensiero Nazionale viene fondata nel ’47 e anche se avrà sempre una diffusione limitata (non più di 15 mila copie) riesce comunque ad essere presente in tutti i capoluoghi di provincia e ad animare il dibattito politico. All’inizio degli Anni Cinquanta i gruppi che fanno capo al quindicinale si costituiscono in movimento politico, raccogliendo circa 20 mila iscritti; ma l’iniziativa non dà risultati significativi, anche perché il Pci ostacola la nascita di un partito indipendente della Sinistra Nazionale, che pure avrebbe dovuto essere alleato e contiguo. In seguito, come detto, Ruinas e i suoi collaboratori (tra cui figurano il linguista Tullio De Mauro, l’ ex diva degli Anni Quaranta Elsa De Giorgi, i pittori Giulio Turcato e Tonino Caputo, lo scrittore e critico cinematografico Alessandro Damiani, giovani reduci della Decima Mas, come Lando Dell’Amico,Giampaolo Testa ed Alvise Gigante) si avvicinano alle posizioni di Mattei e negli Anni Sessanta assumono posizioni filo-arabe, terzomondiste e favorevoli ad una più stretta collaborazione con i Paesi dell’altra sponda del Mediterraneo.
Con l’Msi, che raccoglie gran parte degli “ex camerati” di Stanis Ruinas, il giornalista sardo avrà sempre un rapporto conflittuale. Il direttore di Pensiero Nazionale considera chiuso il capitolo del Ventennio, respinge le posizioni nostalgiche e “bolla” il partito neofascista come un movimento conservatore e atlantista, usato dalla Dc per irregimentare la gioventù in funzione anticomunista. Nella sua polemica contro i dirigenti missini (in particolare Michelini e poi Almirante), Ruinas risparmia però i militanti più giovani e in buona fede, tra i quali non mancano fra l’altro coloro che in larga parte condividono le idee di Pensiero Nazionale e dei “fascisti rossi”. Si pensi a Giorgio Pini, Roberto Mieville, Beppe Niccolai, Giano Accame… E in seguito all’ala rautiana e ad esperienze editoriali come La voce della fogna e Linea.
Il quindicinale di Ruinas continua a uscire fino al 1977, quando ormai ridotto ai minimi termini cessa le pubblicazioni. Il suo vulcanico direttore muore sette anni più tardi, il 21 gennaio del 1984. Negli ultimi tempi la sua originale parabola politica, e quella dei “fasciocomunisti”, è stata riscoperta grazie importanti libri storici come Fascisti rossi di Paolo Buchignani (Mondadori) e La sinistra fascista di Giuseppe Parlato (Il Mulino). Attualmente esiste un piccolo movimento che definisce Sinistra Nazionale e si rifà in parte alle idee di Stanis Ruinas anche il quotidiano Rinascita, diretto da Ugo Gaudenzi.