La relazione finale della Commissione d'inchiesta sull'uranio impoverito cerca di correggere il tiro.
Il documento licenziato dall'organo inquirente di Palazzo Madama ha un contenuto molto più morbido rispetto alle prese di posizione degli ultimi mesi. Niente di nuovo. In questo periodo avevamo parlato più volte delle pressioni esercitate dalle alte sfere del ministero della Difesa. Manovre dilatorie che avevano spinto la presidenza della Commissione ad accusare diverse amministrazioni dello Stato di lassismo; dicasteri responsabili di ritardi ed omissioni relativamente allo stanziamento di alcuni fondi per l'effettuazione di attività di bonifica sul demanio militare. Territori contaminati, ma non dall'uranio impoverito o da suoi derivati. “La Commissione è scritto in un documento votato all'unanimità - non ha acquisito alcun elemento circa la presenza di tracce di uranio impoverito nelle aree dei poligoni di tiro militari. Inoltre, le Forze armate non hanno mai utilizzato né posseduto o stoccato sul suolo nazionale munizionamenti di tale tipo”. Una “verità” che riprende pedissequamente le posizioni dei massimi vertici militari. Nonostante tantissimi tipi di proiettili camiciati con l'uranio facciano parte della dotazione standard delle Forze armate Nato, in Italia non sarebbero mai stati impiegati.
Una versione in evidente contraddizione con le decine di esercitazioni militari internazionali ospitate nei nostri poligoni. Per evitare ulteriori “incomprensioni”, la Commissione conferma “l'impossibilità di asserire o escludere con certezza la sussistenza di un nesso causale tra l'esposizione all'uranio impoverito e l'insorgere di patologie tumorali”, prendendo comunque “atto delle caratteristiche di tossicità chimica e radiologica dell'uranio impoverito” e raccomandando dunque di “adottare un principio di multifattorialità causale che deve comportare l'adozione del principio di probabilità logica" in tutti i casi dove si possa “desumere una concomitanza di fattori potenzialmente patogeni”. Una motivazione perplessa o quantomeno confusa. Se durante l'istruttoria ho acquisito elementi in grado di escludere un determinato fatto storico, perché dovrei prendere in considerazione precauzioni per limitare una potenziale contaminazione da uranio impoverito? Evidentemente, c'è qualcosa che non torna. Chi ha seguito i lavori della Commissione durante questa legislatura lo sa molto bene. In ogni caso, secondo Palazzo Madama, nell'individuare le cause delle gravi malattie contratte dai militari, “si deve guardare al complesso delle realtà in cui le Forze armate operano nei teatri esteri e all'interno”. Parametri e decisioni conseguenti devono essere calibrate sulle norme che regolano la sicurezza sui luoghi di lavoro. Un invito che cadrà nel vuoto. L'ordinamento militare è distinto da quello civile, il ministero della Difesa – considerato il principio di legalità – si regola in base alle normative esistenti e vigenti. Anche volendo, nessun generale potrebbe favorire un'interpretazione “stravagante” delle leggi e dei regolamenti. Per quanto riguarda poi le recenti polemiche relative alle vaccinazioni, “non viene messa in discussione l'efficacia della profilassi vaccinale come strumento fondamentale di prevenzione delle malattie infettive”.
Tuttavia l'acquisizione di documenti, schede e libretti vaccinali del personale ha consentito di rilevare la mancata osservanza dei protocolli vaccinali che la stessa Difesa si è data. Linee guida sottoposte anche ai pareri del ministero della Salute. “Si deve vigilare – ammoniscono i Senatori - perché in futuro si evitino gli errori verificati e si assicuri l'adempimento degli obblighi sull'anamnesi vaccinale”. Le prime reazioni alla Relazione finale non sono positive. Il legale dell'Associazione Vittime Uranio, Bruno Ciarmoli, non usa mezzi termini. “I risultati finali dell'ultima commissione -spiega l'avvocato - sono assolutamente deludenti, non è stata fatta nessuna chiarezza su: malformazioni alla nascita, mancata adozione di misure di protezione per il personale italiano, ragion per cui la Difesa è stata condannata più volte a risarcimenti talvolta milionari in sede civile, errori nella concessione dei benefici previsti dalla legge, che hanno portato a un vero e proprio caos”. Secondo Ciarmoli, “i risultati sulle indagini nei poligoni, quello di Salto di Quirra in Sardegna su tutti, appaiono infine in contrasto con quanto sta emergendo dall'inchiesta della procura di Lanusei che ha riscontrato tracce di torio, elemento ben più pericoloso dell'uranio nei cadaveri di pastori ed ex militari venuti in contatto con il poligono. Insomma, non ci resta che continuare a fare affidamento alla magistratura”. La tensione si sposta ora sui territori. Intorno al poligono di Quirra c'è chi pensa che il documento votato dal Senato possa diventare un alibi per rallentare le operazioni di bonifica. Ad oggi, è stata finanziata solo una minima parte delle opere previste.