mercoledì 15 gennaio 2014

Carlo Mazzantini e l’epica dei giovani fascisti e i ragazzi di oggi...



di Renato de Robertis (barbadillo.it)


I romanzi della fine di un’epoca sono l’esperienza letteraria più vera. Sono un bilancio storico-artistico per mettere ordine alla nostra idea di letteratura. E’ il momento di rileggere quelle opere che raccontano la fine di una civiltà, per ricordarsi anche del ‘romanzo dei vinti’. Qui il problema critico è interpretare diversamente i sentimenti dei vinti o la loro vita divenuta letteratura. Per tutto ciò è tempo di ripartire dal binomio arte/vita, per riposizionare la letteratura oltre la fiction narrativa di moda.

Carlo Mazzantini (1925/ 2006) dedica ai ragazzi della fine del fascismo il romanzo A cercar la bella morte (1995). E non si tratta oggi di un argomento da fascistume, in quanto, con le vicende dei giovani repubblichini di Mazzantini, si insegue un’idea di arte letteraria; si alimenta il bisogno di rileggere i romanzi di ambientazione storica;si rabbrividisce ancora una volta per le fucilazioni pazzesche; e, nello stesso momento, si riscopre il dolore per i corpi dei fascisti e dei comunisti crivellati. In questo romanzo dimenticato – tutto “brutale poesia” come scrisse Giordano Bruno Guerri – si esprime una vivente letteratura storica, quasi segnata da cenni di scrittura espressionistica. Oggi saremmo tentati di chiamarlaletteratura cannibale – e Aldo Nove non sarà d’accordo. Ma nell’opera di Mazzantini, così vera, si respira l’odore del sangue, “Era incredibile che quell’ammasso di carni sanguinolenti avesse tanta forza per soffrire e urlare in quel modo. Erano riusciti a legargli i tronconi delle gambe coi cinturioni e sull’asfalto c’erano brandelli di tela bruciata e di carne.”(pag. 232)

Questo non è solo il romanzo dei fascisti della guerra civile. Questo è il romanzo della morte o di una specie di esistenzialismo non di sinistra. La morte come avventura o come ‘presunzione ideologica’, “Siamo sempre quelli! i mai morti! i sempre pronti!” (pag. 158) Ma, per questa idea, la retorica del morire per la patria non prevale sempre. Nel romanzo la morte qualche volta è anche un evento semplice, “…ti apposto dietro un albero e tratratrà: steso… Uno di meno: fai una tacca sul calcio e te ne vai. Tutto quello che ci spettava.”(pag. 166)

Sicuramente è una morte che non fa paura ai ragazzi, alla gioventù illusa dalla dittatura e dai miti romantici, ai ragazzi che non hanno più nulla e conoscono solo il ‘tempo della fine’. Cioè la fine di un’epoca: la morte di un’Italia..,“L’Italia?.. Sotto quei monti, il vento che infuriava fuori, la catasta dei faciloni, l’odio, la disperazione, la sconfitta, quelle nostre uniformi sdrucite, tutta quella miseria… L’Italia?” (pag. 125)

Professori, siate coraggiosi! Leggete in classe tale romanzo! Sarebbe una scossa elettrica nelle teste dei ragazzi dellagenerazione Facebook. Fatelo leggere per dimostrare che i giovani, di ieri e di oggi, sono i veri ingannati dalla storia. Come i giovani garibaldini che, nell’Ottocento, vanno a braccetto con la morte, mentre gli anziani notabili già siedono in Parlamento senza ricordarsi dei diritti dei giovani patrioti con le ‘camicie rosse’. Nel disordine della storia, tutti sono contro tutti. E tutti sono sconfitti, “Ecco, tutti divenuti più piccoli, vulnerabili: un senso di miseria, di essere più niente, alla mercé di ciò che succede, senza poter più opporre un gesto, un parola un nulla.” (pag. 17)

I giovani repubblichini de ‘la bella morte’ creano un racconto epico. Entrano nella perenne sciagura della storia, con gli adulti che svendono e distruggono un paese e con i giovani che invece si ammazzano nelle strade. Perciò i giovani fascisti di questo romanzo pretendono l’ultima parola. E non si battono contro gli americani, ma contro tutte le autorità,“I grandi non esistono più!” proclamavano. “La disfatta li ha aboliti. Siamo tutti eguali! Che non ci vengano a rompere i coglioni!” (pag. 38)

Qualcuno ha detto che i repubblichini sono come i rivoluzionari del ’68, questi ultimi vittime dell’ideologia, della società bloccata e gerarchizzata. Vittime che vivono con le loro parate o con i loro cortei. E tutti uniti, purtroppo, da una triste illusione: la rivoluzione, “Questa è la rivoluzione, volete capirlo? Le rivoluzioni non si fanno con i guanti bianchi. No! Stavolta non si ripetono gli errori del ’21! Stavolta si fa piazza pulita! Pietà l’è morta!” (pag. 129)

Le frasi del romanzo di Mazzantini scattano come molle tese. Consegnano, al lettore, una visione infiammata di quei ventenni del 1945, di quei ragazzi che sbagliano e sono travolti dagli eventi della guerra civile. Con il passare degli anni, tuttavia, l’opera si mostra artisticamente completa. La mirata assenza di piani temporali narrativi; il realismo acuto; le pagine che sembrano sussurrare: Stai attento, sta per accadere qualcosa nella pagina seguente!Il che genera il bisogno di leggere subito un romanzo storico con questi caratteri.

E per il dibattito sul cosiddetto romanzo neo-storico contemporaneo, la rilettura critica di ‘A cercar la bella morte’assume un preciso significato. Cioè, si provi a riattualizzare questo passato italiano per collegarlo idealmente alla sconfitta delle giovani generazioni, a tutte le generazioni che perdono l’innocenza, “Già noi non eravamo più innocenti. No, certo non lo eravamo più! Avevamo ucciso, violentato… Ma quanti lo erano allora?” (pag. 313) Allora, con le naturali differenze tematiche e creative, è il momento di auspicare opere narrative utili ad un riesame della relazione passato/presente, perché no… ripartendo anche da un romanzo sui fascisti degli anni settanta o sui miti tragici delle gioventù.

Ora, dopo anni dalla sua pubblicazione, l’opera narrativa di Mazzantini indica una ‘rotta’ per uscire dal mare della letteratura di plastica; indica che è possibile ritrovare il gusto della ricerca storica e le ragioni per narrare, rimanendo distanti dalla dimensione letteraria odierna fatta di entertainment diffuso.