di Pietrangelo Buttafuoco - Giacomo Guarini
Domenica 12 gennaio è stato presentato presso il Caffè Letterario di Roma l’ultimo libro di Pietrangelo Buttafuoco, “Il dolore pazzo dell’amore” (Bompiani, 2013). Buttafuoco, giornalista e scrittore, è stato anche conduttore televisivo, portando sulla tv italiana il primo e a oggi ultimo programma espressamente dedicato alla geopolitica (“Il Grande Gioco”). Giacomo Guarini lo ha intervistato per noi.
Una prima domanda che vorrei farle è sulla Russia, come realtà antropologica. Cosa dovrebbe attingere, a suo parere, l’Occidente dalla cultura russa, anche nell’espressione religiosa del Cristianesimo ortodosso?
Il lievito. La cultura russa o, meglio ancora, lo spirito russo è il lievito fondamentale che un’aggregazione continentale quale è l’Eurasia può avere attraverso meccanismi di uno sviluppo spirituale, culturale e non ultimo anche politico; è quel sentimento di radicamento in un’identità forte, che non preclude altre possibilità ma anzi apre alla possibilità universale. Molto più di quanto possa fare la Chiesa cattolica che invece è estenuata dal morbo cosmopolita, dalla fatica di dover essere considerata sempre alla stregua di un ufficio di servizio sociale e da quella malattia che una volta si chiamava filantropia e che oggi è una forma di umanismo che degenera nelle espressioni del pop. Tant’è vero che l’attuale pontefice Bergoglio non sembra più un capo spirituale ma un collega del Dalai Lama.
Con i tentativi di dialogo con Teheran da parte di Washington, l’Iran sembra aver in parte perso quella connotazione mediatica di ‘mostro’ sullo scacchiere internazionale. Quali opportunità sul piano politico, geopolitico e culturale potrebbero derivare per l’Europa da una distensione con Teheran?
L’Europa non esiste, perché se per Europa intendiamo l’Unione Europea, l’elemento fondamentale che manca all’Unione Europea è proprio l’Europa. Non esiste. Esistono singole realtà che possono invece avere interessi geopolitici diversi, ma per poterli perseguire è necessario che abbiano un margine di sovranità molto più ampio di quanto sia dato dall’attualità. Per l’Italia, con la sua storia millenaria, con la sua identità è ovvio e naturale aprire un canale di contatto, un flusso vero e proprio, perché è pur sempre la patria della Via della Seta. Il concetto di Via della Seta ci è comune, all’Italia tanto quanto alla Cina, per andare ai due poli opposti. E l’Iran di oggi non è diverso dall’Iran di ieri. Oserei dire che l’Iran della Repubblica Islamica è ancora una volta lo stesso Iran di quello precedente alla rivoluzione, che è ancora una volta uguale alla sua tradizione millenaria. Tant’è vero che non è stato cancellato niente di quella che era la presenza stessa della specificità persiana. Sono tutti elementi più che positivi, che per essere svegliati ad una consapevolezza necessitano però di una precisa volontà politica, che ancora una volta si riferisce alla necessità di un agglomerato continentale eurasiatico.
Passiamo infine al Mediterraneo ed alle destabilizzazioni che lo hanno attraversato da tre anni a questa parte e che avevano preso inizialmente il nome di “Primavere”. A cosa possono portare simili processi: ritiene che siano atti a dividere e a tracciare un solco ancora più profondo fra le diverse sponde del Mediterraneo oppure dagli sconvolgimenti occorsi possono nascere delle nuove opportunità per l’integrazione dell’area?
Rispondo con un dato apparentemente lontano ma secondo me inequivocabile. Dobbiamo aspettare la fine dei giochi invernali olimpici, perché quello è il vero terreno dove assisteremo ad una partita a carte scoperte. Perché l’accusa precisa che Putin ha rivolto all’Arabia Saudita deve essere svelata attraverso quello che succederà ai giochi olimpici invernali. Per quanto siano distanti quelle nevi, ci portano inevitabilmente alle sabbie del Maghreb. Solo lì capiremo qual è il gioco e fino a che punto si spinge il progetto di destabilizzazione. Perché non c’è alcun dubbio su questo, se facciamo testo della denuncia di Putin che ci sia il tentativo di foraggiare un terrorismo fondamentalista che nulla ha a che fare con l’Islam, e nulla a che fare con le esigenze, il progetto e la volontà del Mediterraneo.