di Mario M. Merlino
Di Solone si tramanda la seguente affermazione: “nessuno può essere definito felice prima che sia morto”. Me la trovo davanti sfogliando una raccolta di massime e aforismi greci e latini. E mi torna a mente il primo libro delle Storie di Erodoto. Avevo promesso di raccontare dell’incontro proprio tra Solone, il legislatore ateniese, e Creso, re di Lidia, considerato l’uomo più ricco del mondo antico. Dunque il caso o la necessità hanno accelerato la realizzazione dell’intenzione indicata (chissà dove sono finiti i libri di Erodoto che avevo in una economica edizione della Rizzoli, manomessi dall’usura del tempo e forse dispersi con il trasloco). E, per mantenere la parola, sono costretto a muovermi sulla base della memoria e di qualche riferimento in altro libro (Confido che i miei lettori, comunque, apprezzeranno l’impegno datomi e perdoneranno se, simile a un viandante cieco con l’ausilio del solo bastone, metterò il piede in fallo, vacillante a causa dell’anagrafe vigliacca).
Di Solone si sa come, divenuto arconte, si adoperò a riformare il sistema legislativo di Atene, modificando o cassando quanto prima di lui era stata opera di Dracone, norme severe da cui il termine draconiano tuttora in uso. Ad esempio eliminò la traduzione in schiavitù per chi si trovava indebitato, stabilì il sistema elettivo delle cariche, creò l’assemblea rappresentativa, in pratica gettò le basi della democrazia ateniese. E si narra come decidesse di lasciare la sua città natale, intraprendendo lunghi viaggi per diversi anni, si dice per dieci, in modo che, senza la sua presenza ed autorità, il popolo potesse da libero dimostrare la capacità di governarsi.
Fu in questi viaggi che arrivò alla corte di Creso nella capitale Sardi e da costui invitato a partecipare alla sua mensa. Nelle Vite Parallele Plutarco riporta, anche lui, la descrizione e il dialogo fra i due pur ammettendo che “ci si trovi davanti a un parto della fantasia”, non essendo contemporanei. Aggiunge, però, che la fama trasmessa di quanto accadde è tale, che si addice “così bene al carattere di Solone…alla sua magnanimità e saggezza” che vale la pena narrarlo e non ingabbiarlo in “elenchi di date o canoni”. E, qui, ben viene messo in risalto il valore pedagogico della testimonianza, del suo rapporto tra il vero il verosimile e quanto viene indicato poco o nulla credibile, direi, la superiorità del narrare rispetto alle aride carte del ricercatore - tra un qualsiasi docente di storia e filosofia, mi perdoni l’amico Rodolfo Sideri, in un qualsiasi liceo e… il sottoscritto (mi sono fatto prendere la mano?). Insomma I Proscritti di Ernst von Salomon (una autobiografia, si potrebbe definire) e I Leoni Morti di Saint-Paulien (un romanzo storico, si potrebbe definire), ad esempio, ci hanno dato ben più ed oltre in emozioni motivi di coinvolgimento scelte di lotta che i saggi di tutti gli storici, compreso il professor Renzo De Felice tanto incautamente stimato dall’amico Roberto Mancini…
A Solone Creso si manifestò adornata la veste di pietre preziose e gli fece mostrare i forzieri ricolmi di tesori dal valore incalcolabile, chiedendogli, alfine, retoricamente, se mai avesse conosciuto uomo più felice di lui. La risposta fu la storia di un anonimo cittadino ateniese, vissuto circondato dai figli e da un sufficiente benessere e che aveva concluso i suoi giorni in battaglia a difesa della sua città (I soldi non portano la felicità, ci verrebbe da dire). E, se ben ricordo, aggiunse che la moglie, anch’essa vecchia e stanca morisse nel medesimo momento (A Pompei sulla bilancia il piatto ove è deposto un fallo pesa più di quello ove vi è una cascata di denaro, anche se il luogo non è il focolare domestico ma un postribolo). Quando Ciro il Grande, re dei Persiani, ne distrusse il regno e, fatta approntare una catasta di legno, si preparava ad ucciderlo, Creso si ricordò di Solone e per ben tre volte ne invocò il nome. Avutane spiegazione Ciro, dimostrandosi sovrano di fine intuito, lo fece liberare dai ceppi ed anzi lo tenne in grande considerazione fra i suoi consiglieri.
Ogni storia ha la sua morale, come vuole la buona tradizione da Esopo e Fedro… Io non sarò da meno, forse, tornando all’affermazione di Solone proposta all’inizio di queste paginette (riesco, notate, con quanta vezzosa grazia ammantare la mia inossidabile vanità). E varrà rammentare come, alla stessa stregua di Talete, egli venga annoverato fra i Sette Saggi – al confine, cioè, tra mito e lògos. Quel dire il non esplicitato e l’esplicito che, manifestandosi, sovente si cela. Il senso tragico dell’uomo greco, tra il dio Dioniso e il dio Apollo, emerge all’ombra del Fato, solo conoscitore della vittoria e della rovina, arbitro e arbitrio d’ogni vicenda umana. Allora solo la morte si fa garante e giudice estremo dell’esistenza.
(Fra le affermazioni più note e citate del filosofo tedesco Hegel vi è quella che recita come l’uccello di Minerva prenda il volo solo dopo il tramonto – del resto lo Spirito che alita sul mondo – ‘ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale’ – ha tutte le onnivore sembianze del Destino…. Il Napoleone di Waterloo, con i suoi ultimi fedelissimi che lo abbracciano e lo piangono, costretto egli all’ultimo esilio nell’isola di Sant’Elena, porta in sé una nobiltà forse superiore a quello, rigido a cavallo dopo la battaglia di Jena, compiaciuto dell’ennesimo trionfo, che lo stesso Hegel aveva scorto dalla finestra della sua abitazione).
E aggiungo che, però, l’uomo greco (il mito di Gordio, dialogo a distanza tra Ernst Juenger e Carl Schmitt) seppe esprimere il differire tra Occidente ed Oriente non lasciandosi annientare dall’Imponderabile sfidando il cielo in piedi tra le rovine in attesa del gladio e dell’alloro, dell’aquila dalle ali spiegate di Roma.