di Alberto Micalizzi (Rinascita)
La notizia di martedì scorso è il record storico assoluto della disoccupazione che ha toccato in generale il 12,7% mentre nella fascia di età sotto i 24 anni è giunta al 41,6%. Mai dal 1977, anno di inizio delle rilevazioni, si era raggiunto un simile livello.
Tutti inclusi, a novembre 2013 si contano 3.254.000 disoccupati, cresciuti solo nei 12 mesi precedenti del 10%, cioè di 351.000 nuovi disoccupati. Praticamente, ogni giorno “lavorativo” che ci svegliamo, oltre 1000 persone perdono il posto di lavoro (tra questi sono soprattutto i contratti a tempo determinato a pagarne le spese).
A ciò va aggiunto il silenzio assordante con il quale giorno dopo giorno chi rimane occupato subisce una perdita di potere d’acquisto del proprio salario. I salari nominali degli ultimi 5 anni sono infatti rimasti sostanzialmente invariati ma l’inflazione è salita del 12%.
L’effetto congiunto della perdita di posti di lavoro e di potere d’acquisto dei salari lo vediamo in tutta la sua gravità nell’erosione del risparmio delle famiglie: il valore delle attività finanziarie delle famiglie che era di € 3730 miliardi nel 2008 è sceso di oltre € 200 miliardi a metà 2012 (a fine 2013 le stime indicano una perdita di oltre € 50 miliardi di ulteriore risparmio privato).
Chi sosterrà la domanda di beni e servizi alle nostre imprese se non riusciamo ad esportare per la forza relativa dell’Euro e perdiamo domanda interna per le debolezze del mercato del lavoro?
Ma siamo solo agli inizi. Se i differenziali competitivi tra Italia e nord-Europa non possono “scaricarsi” su variabili monetarie e finanziarie quali, ad esempio, il tasso di cambio, è inevitabile che si riversino su altri fattori e tra questi, in primis, sui tassi di interesse ed i salari, dato che i primi remunerano il capitale impiegato ed i secondi il lavoro.
Quindi i salari reali scenderanno ancora e con essi il potere d’acquisto, lo stesso accadrà per l’occupazione. Krugman, che spiega chiaramente questo concetto, induce alla asettica conclusione che a livello macro-continentale l’unica soluzione sarebbe di andare a cercare lavoro in Germania!
Del resto, il quadro dei “fondamentali” del nostro Paese mostra un allarmante coerenza con il dato sulla disoccupazione e sui salari reali. Nel quinquennio 2008-2012 il PIL nominale è rimasto costante, passando da € 1575 miliardi a € 1565 miliardi, ma con una crescita dell’inflazione del 12% sono stati distrutti circa € 190 miliardi di PIL reale. Nello stesso periodo, abbiamo pagato € 352 miliardi di interessi sul debito pubblico, una media di € 78,4 miliardi all’anno. Nel mentre, il debito pubblico è passato da € 1688 miliardi a € 1988 con un incremento di € 300 miliardi.
Quindi, le famiglie ricorrono ai risparmi per far fronte alla diminuzione dei redditi nominali (causa disoccupazione) e reali (causa potere d’acquisto) mentre l’avanzo primario statale non basta più a pagare gli interessi sul debito e lo Stato si indebita per pagare gli interessi sul debito precedente. In una parola, stiamo distruggendo i fondamenti del sistema produttivo: occupazione, industria e risparmio.
Se a tutto ciò aggiungiamo la totale assenza di una visione strategica di politica industriale e di supporto alle piccole e medie imprese da parte dei Governi in carica – impegnati sul mezzo punto di IMU e sui forse 12 miliardi di incassi dalle privatizzazioni - non possiamo che trarne il quadro di un Paese in ginocchio, un “maiale” per l’Europa, “spazzatura” per le agenzie di rating, una mucca da mungere per gli investitori internazionali che detengono BTP e soprattutto una risata per il mondo intero.
Come si esce da questa situazione? Certamente non con proclami elettoralistici quali “usciamo dall’Euro” o “disconosciamo il debito”. Ci vuole anzitutto il coraggio di un disegno politico chiaro che parta da un dato imprescindibile: occorre creare liquidità subito, e metterla nella mani delle imprese, condizionando questi interventi a piani di assunzione di disoccupati. Questo consentirebbe alle imprese di sopravvivere ed al Paese di fermare l’emorragia di posti di lavoro.
Nel brevissimo questo obiettivo può essere conseguito conferendo alla Cassa Depositi e Prestiti poteri che sono già nello spirito del proprio Statuto, e che consentano all’organismo di agire di fatto come una “banca pubblica” che porti liquidità direttamente alle imprese, alle piccole e medie imprese, dato che le banche commerciali sono (si spera temporaneamente) attanagliate da problemi normativi sulla ricapitalizzazione che rendono difficile il prestito alle imprese.
Questo darebbe ossigeno per agire nel medio termine e progettare soluzioni nuove per cambiare la struttura del sistema finanziario del Paese e creare strumenti di pagamento complementari all’Euro per consentire alle imprese di riprendere gli scambi commerciali: moneta di Stato e sistemi di regolamento degli scambi gestiti da consorzi di imprese rappresentano soluzioni già sperimentate con successo in passato e che in questo momento potrebbero dare risposte concrete ed innovative a problemi strutturali che non si risolvono né con la tassazione né con la riforma della pubblica amministrazione.
Si può ancora provare a restare nell’Euro, ma l’Euro da solo, ormai, non basta più!