di Lorenzo Vitelli (L'Intellettuale Dissidente)
La sua opera più importante è un saggio sociologico del 1979, che gli ha dato fama mondiale: La cultura del narcisismo. “In questo saggio – leggiamo nella quarta di copertina del tascabile Bompiani – Christopher Lasch offre una severa e corrosiva analisi dei modelli culturali dominanti nella società americana dagli anni Settanta in avanti, condizionata da un individualismo esasperato che si diffonde a livelli di massa e trasforma stili e comportamenti della vita quotidiana… La diffusa caduta della tensione politica, l’esasperata pratica dell’autocoscienza, il culto del corpo, l’ossessione della vecchiaia e della morte, la liberalizzazione sessuale sono le manifestazioni più importanti dell’edonismo statunitense”.
Ci sono intellettuali che, più di altri, hanno indagato e descritto i cambiamenti del costume in quell’epoca che va simbolicamente dal 1968 al 1989, che è all’origine del mondo contemporaneo. Le strutture sociali, culturali e politiche delle società occidentali si sono ridefinite in quel ventennio. Per capire noi stessi e la società in cui viviamo dobbiamo tornare lì e leggere autori come Lasch. Non è una scelta snobistica, è un’esigenza pratica se vogliamo possedere una coscienza critica del nostro presente. La Porta titola il capitoletto dedicato a Lasch “Non educare al successo”, poichè è attratto soprattutto dalla sua critica all’ossessione per l’autorealizzazione. “La caratteristica di Lasch – scrive La Porta – è di fare un discorso di sinistra, impegnato cioè a criticare l’ideologia dei consumi, della pubblicità, del successo ecc.., all’interno di un quadro concettuale antiprogressista. All’ottimismo progressista, basato sulla negazione dei limiti che la natura pone all’uomo, contrappone un’idea tragica della storia, che però recupera meraviglia e fiducia nella bontà della vita”.
Pensatore complesso, spesso scomodo, partito da posizioni neomarxiste (fu uno dei primi a organizzare negli USA un convegno su Gramsci), Lasch è approdato a una teoria apertamente ostile alla cultura liberal, alla sua fiducia nella crescita illimitata del capitalismo, ai suoi modelli consumistici di massa, alla sua demolizione della tradizione, della famiglia, delle comunità locali. Quella costruita dalla sinistra liberal americana (solo americana?) è una democrazia funzionale alla conquista del potere delle èlite, che gestiscono un intervento intromissivo dello Stato nella vita privata. Mentre “la democrazia funziona – secondo Lasch – soprattutto quando gli uomini e le donne agiscono per se stessi, con la collaborazione degli amici e dei vicini, invece di dipendere dallo Stato“. E’ pensiero molto vicino alla cultura federalista e, nello stesso tempo, molto esposto a derive populiste. Ma è un pensiero critico necessario, perche ci mette in guardia dalla perdità delle identità individuali e collettive, sotto la spinta omologante del facile appagamento consumistico e della deresponsabilizzazione offerti dalla società di massa, controllata e gestita da imponenti burocrazie statali.
La vittima principale delle politiche progressiste è la famiglia, svuotata di funzioni dall’ideologia dominante che tende sempre più a delegare a medici, psicologi, assistenti sociali l’educazione dei figli. Ma è in famiglia, innanzitutto, che si costruisce un argine alla banalizzazione dell’esistenza: il trionfo dei modelli televisivi, la cultura del facile e subito, la rimozione vittimistica degli insuccessi, il rifiuto per le onerose assunzioni di responsabilità. C’è molta old america nella sua etica della responsabilità, qualche rischio conservatore e un pò di velleità. Ma prendete Lasch come un anticorpo e non vi pentirete dei dubbi che vi avrà inoculato.