di Annamaria Gravino (Secolo d'Italia)
È diventata un caso diplomatico la vittoria all’Eurovision di Conchita Wurst, la drag queen austriaca con la barba. Per il vicepremier russo Dmitri Rogozin il risultato della competizione canora tra cantanti di tutta Europa, che si è svolta a Copenaghen, «ha mostrato ai sostenitori dell’integrazione europea il loro futuro: una donna barbuta». Il vicepresidente della Duma, il nazionalista Vladimir Zhirinovski, poi ha parlato di «fine dell’Europa: loro non hanno più uomini e donne, hanno questo». La vittoria della 25enne Conchita, all’anagrafe Tom Neuwirth, è stata accolta invece trionfalmente dall’Austria, che con il presidente Heinz Fischer ha sostenuto che è stata «innanzitutto una vittoria per la diversità e la tolleranza in Europa». Ma l’approdo di Wurst sul podio non è giunto affatto inatteso. Era stato, anzi, anticipato da tutti i pronostici della vigilia, formulati come se quella che si stava celebrando non fosse una gara musicale ma un derby tra forze dell’oscurantismo e mondo illuminato. E sono proprio i commenti di natura politica a dire che la vittoria di Wurst è stata prima di tutto una vittoria del politicamente corretto. Così quest’Europa, in cui parlare di madri e padri significa sempre di più esporsi all’accusa di omofobia, ha conquistato la sua nuova icona nel plauso generale. Con pochissime eccezioni. «Senza quella non avrebbe alcuna chance, siamo seri», aveva detto Emma già prima della finale, a proposito della barba di Cinchita e scherzando sul fatto che cercava l’avversaria per raderla. Una battuta evidentemente dettata dal clima del contest, in cui l’italiana si è piazzata solo ventunesima, lasciando perplessi i critici musicali. Dunque, se proprio si deve travalicare l’aspetto artistico, non è di «diversità» e «tolleranza» che si deve parlare. Wurst rappresenta il terzo sesso o sesso indistinto, protagonista di quella ideologia gender che dilaga in Europa e che, in Italia, trova la sua applicazione più aggressiva nelle scuole, mascherata da lotta all’omofobia. «Secondo la teoria del gender, l’umanità non è divisa tra maschi e femmine, l’umanità è un’informe massa di persone che scelgono chi vogliono essere», ha spiegato in un convegno del 2008 la storica Lucetta Scaraffia, chiarendo che tutto ciò era l’ultimo approdo dell’«utopia dell’uguaglianza» che, dopo aver abbandonato il campo socio-economico, si era convertita ai temi antropologici. Per questo, tra le molte cose che si possono dire della vittoria di Wurst all’Eurovision, non dovrebbero trovare spazio espressioni come «vittoria della diversità» e nemmeno come «vittoria della tolleranza», visto che se c’è un’ideologia che oggi come oggi si sta dimostrando profondamente intollerante è proprio la gender. Semmai, si può parlare di vittoria del politicamente corretto e del pensiero unico che lo alimenta.