martedì 15 gennaio 2013

Il PD rassicura la City: siamo liberisti e montiani


di Filippo Ghira (Rinascita)

Da quando la sinistra italiana ha deciso di non essere più una sinistra di classe ma una sinistra dei diritti civili, di tipo “liberal”, si è verificato un mutamento antropologico dagli effetti devastanti.
Quando parliamo di sinistra, nel caso italiano, ci riferiamo ovviamente all’ex Partito Comunista che iniziò la sua trasformazione socialdemocratica e filo-liberista al congresso della Bolognina nel 1989. Visti gli esiti degli ultimi 20 anni si deve concludere che tale mutamento era già nel Dna del vecchio PCI. Si ebbe insomma la morte della volontà di cambiare gli assetti sociali del nostro Paese. Una morte della quale i vari Occhetto, D’Alema, Veltroni e Bersani non sono stati altro che gli esecutori testamentari. Dalla Bolognina in poi è cominciata per gli esponenti del vecchio Pci-Pd-Ds ora nel PD una frenetica corsa a farsi accreditare negli ambienti dell’Alta Finanza. In particolare quella anglofona alla quale si sono continuamente offerte garanzie sul fatto che i futuri governi italioti di sinistra, di sinistra-centro o di centro-sinistra, con il PD incluso, proseguiranno nella strada intrapresa al termine della quale non ci sarà più la ricerca di un minimo di giustizia sociale e di una redistribuzione del reddito ma molto più semplicemente le più ampie facilitazioni di azione per gli esponenti del Libero Mercato. Banche e società finanziarie. In altre parole per gli speculatori. I quali, ora più che mai, vogliono che nel prossimo governo ci sia la presenza, per loro rassicurante, di Mario Monti molto apprezzato dagli anglofoni per le consulenze prestate a Moody’s e a Goldman Sachs. Due società, è sempre utile ricordarlo, che a diverso titolo hanno speculato contro l’Italia e contro i nostri titoli di Stato.
L’ultimo a rimanere folgorato sulla via della City londinese è stato Stefano Fassina, attuale responsabile economico del PD, sempre presente nei talk show televisivi, che ha cercato di rassicurare che la gioiosa macchina da guerra di Bersani e Vendola vincerà le elezioni. E che dopo i ludi cartacei Mario Monti sarà a fianco di Bersani per completare il lavoro di macelleria sociale già avviato. Come questo sia possibile con un Vendola che, almeno a parole, continua a dire qualcosa di sinistra, non è dato sapere e quelli del PD preferiscono glissare.
Fassina, nel corso dei suoi incontri a Londra con gli speculatori della City, un bis della visita di D’Alema nel 1998 subito dopo essere stato nominato capo del governo, ha rilasciato un’incredibile intervista al Financial Times, organo ufficiale degli anglofoni londinesi, nella quale ha indicato nei “populisti” come Grillo e Berlusconi i veri nemici del PD. Mentre Monti e i montiani sono dei potenziali alleati con i quali ci è identità di vedute sull’europeismo e sulla necessità di “alcune riforme strutturali”. Come la piena attuazione di quella del lavoro che dovrà permettere la più ampia libertà di licenziamento per le imprese, specie per quelle quotate in Borsa. In tal modo gli investitori e gli speculatori anglofoni avranno la certezza che le imprese italiane potranno usare i licenziamenti come strumento per ottenere maggiori profitti e di distribuire maggiori dividendi e saranno rassicurati sul fatto che i propri soldi sono stati investiti bene. Monti for ever insomma. Da capo del governo o da super ministro del’Economia. Anche se Bersani e compagnia avevano attaccato la sua decisione scendere in campo come candidato a Palazzo Chigi alla guida di una lista centrista, i legami che il Professore ha con gli ambienti della finanza anglofona sono troppo necessari al PD che senza il paravento dell’ex commissario europeo (Concorrenza e Mercato Interno) non potrebbe durare molto e vedrebbe lo spread tra Btp e Bund tedeschi arrivare a quota 600 punti. Del resto è stato lo stesso Monti a dichiarare che le sue misure alla lacrime e sangue sono state necessarie per le politiche economiche fallimentari dei precedenti governi. Quindi non solo quello di Berlusconi ma anche quello di Prodi (2006-2008) nel quale lo stesso Bersani era ministro dello Sviluppo. Insomma per gli anglofoni, se Fassina non è più l’estremista di un tempo e se Bersani ha mostrato buona disponibilità con le sue liberalizzazioni (le famose “lenzuolate”), un governo del PD dovrà essere tenuto costantemente sotto controllo. E chi meglio di Monti? E Fassina, fedele alla linea auspicata dalla canaglia liberista di oltre Manica e di oltre Atlantico, ha annunciato che il governo Bersani (più Monti) cercherà un accordo tra i sindacati e le imprese per congelare i salari in cambio di investimenti.
Insomma stipendi sempre più bassi e libertà illimitata di licenziare quando si presentassero le condizioni della riforma Fornero, ossia le necessità economiche delle imprese. Una novità da fare invidia agli Stati Uniti dove una tale opzione rappresenta la regola.
Con un occhio poi rivolto alla situazione interna, Fassina, per conto di Bersani, ha quindi fatto l’equilibrista, sostenendo che l’austerità imposta dalla Germania e dalla Banca centrale europea deve essere attenuata per favorire la ripresa dell’economia e quindi dell’occupazione. In cambio l’Italia a guida Bersani, all’interno di un gioco di sponda con Hollande, auspica un nuovo patto di bilancio a livello europeo con maggiori poteri di veto alla Commissione europea sui conti pubblici dei singoli Stati. Come le due cose possano coesistere lo sa soltanto Fassina che ha pure aperto all’idea di un supercommissario lanciata dal ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schäuble. Il primo passo per accentrare a livello europeo le uscite e le entrate. Il primo passo per fare nascere quel mostro burocratico in grado di svuotare la sovranità degli Stati come vogliono gli usurai internazionali.