mercoledì 23 gennaio 2013

L’uomo sceglie le sue catene


di Alessandro Lauro

Abbiamo creato noi le nostre stesse catene. Su questo punto oramai non nutro alcun dubbio. La situazione italiana precipita e peggiora dal punto di vista economico giorno dopo giorno. Mi sembra superfluo dire che non bisogna credere alle fandonie che i partiti (tutti) vogliono farci credere. Vedremo se le urne castigheranno o meno coloro che da decenni ci hanno condotto fin qui. Di sicuro la soluzione, a mio parere, non verrà da queste elezioni e forse neanche da quelle future.

Il dramma,serio, serissimo della disoccupazione galoppante (che con ogni probabilità non si arresterà per ora -salvo miracoli -) deve indurci a fare alcune considerazioni. Non mi stancherà mai di ripeter(mi)e che e’ il concetto di lavoro e salario che va costantemente riveduto. La granparte dei disoccupati di oggi e di domani arrivano doppiamente impreparati al loro destino. Trovano difficoltà nei ricrearsi una posizione e devono far fronte a mutui o affitti da pagare, pena la beffa oltre al danno. Inoltre a tutto questo va aggiunto, che a differenza dei loro padri o nonni, hanno perso una manualità e un saper fare che gli sarebbe utile e non poco per tamponare la mancanza di salario e reinventarsi un mestiere. Ancora una volta dobbiamo tristemente constatare che ci siamo fatti illudere che il ricco sia colui che ha più denaro e non chi sa farne a meno in modo sempre maggiore. Una volta tagliata,finita, scomparsa la fonte monetaria, se non sai essere e fare sei spacciato. Anche questo e’ il dramma di chi perde il lavoro. E si badi bene che la colpa non e’ del lavoratore, che è nato e cresciuto in un habitat dove “manuale” è stato (è?) sinonimo di inferiorità e povertà. Un inganno diabolico, architettato e studiato nei minimi dettagli.

Del resto (ed ho già affrontato il tema su questo spazio) seppur si decidesse di uscire in modo netto e forte dal sistema crescita scriteriata, non se potrebbe uscire del tutto e non per motivi utopistici ma per concreti ostacoli. Ne ho già discusso qui e riapro volentieri il tavolo: problema abitativo. Il ragionamento e’ semplice. Seppur si volesse lavorare quattro ore al giorno (una in più rispetto a quella teorizzata da Silvano Agosti) e dedicare le restanti ore al vero lavoro (orto, autoproduzione,riuso etc etc) e ai propri interessi e affetti(senza per questo sentirsi in colpa, come la società sembra farci sentire ogni qualvolta capita), resterebbe per molti il problema di come pagarsi una casa (anche di modeste dimensioni e costi) o come pagarsi un fitto (modesto) con il minimo di salario che ipoteticamente si andrebbe a guadagnare. Perchè di un tetto,modesto ma dignitoso, ne abbiamo tutti diritto e bisogno.

Scrivo questo non per vedere nero (non è mio stile) nè per giustificare chi decide di sacrificare la sua vita all’occupazione salariata (lungi da me) ma per trovarvi una soluzione che eviti si compiere gli stessi errori fatti fino ad ora.

Le soluzioni più semplici sarebbero due, a scelta oppure sapientemente mixate: dare più valore alle buste paga dei lavori realmente utili alla collettività (tra cui le famose tecnologie della decrescita). Oppure abbassare e calmierare costi e fitti e renderli accessibili a tutti. Del resto che civiltà è quella che non sa garantire un tetto per tutti? il mondo animale, ritenuto inferiore, non nega un tetto a nessuno.

Mi rendo conto dell’enormità della cosa ma proviamo ad immaginare la stragrande maggioranza delle persone con un tetto sicuro e garantito (e non da garantirsi ogni fine mese presso uno sportello bancario) e meno ore di lavoro salariato ma ben retribuito, e noi vedremmo il mondo cambiato e in evoluzione. Non è un problema secondario a mio parere, anzi è un vero problema che rallenta di molto la corsa al cambiamento.

Perchè noi tutti (o quasi) siamo costretti a lavorare dietro salario? principalmente per garantirci una sussistenza materiale che esclusi casi eccezionali quali acquisto di merci elettroniche o di salute, tale sussistenza può essere garantita dal proprio lavoro personale, mentre un salario decente può essere accantonato per acquisti di case,fitti o emergenze(che come tali si auspicano essere sporadiche). Se resta il problema abitativo però risulta tutto più difficile sia da un punto di vista organizzativo che da un punto di vista psicologico per chi sceglie di uscire dal sistema della crescita. Si rischia un corto circuito.

La disoccupazione di oggi, questo dramma, ci deve spingere a rivedere anche l’educazione lavorativa delle future generazioni, le quali già si affacciano ad un mondo lavorativo pronto a sbranarli e poi gettarli senza neanche riciclarli nel migliore dei casi. Mentre una parte di essa va allegramente avanti pensando a lauti compensi per vivere comodamente con il denaro guadagnato. Basta farsi un giro tra certe scolaresche per porsi il problema. Forse l’unico sciopero ad oltranza da fare sarebbe quello del lavoro salariato. Bloccare tutto per capire e far capire che la vita è altro, che non sono i soldi che ti garantiscono la felicità (anzi), e che una volta che tutto si è fermato potresti sentirti anche più libero e più uomo con pari dignità con tutti. Come natura ha e continua a creare. Quest’ultima è una provocazione, chiaramente non fattibile realisticamente, e l’appello che faccio è agli economisti, imprenditori, filosofi, intellettuali e gente comune che hanno sposato lo stile della decrescita felice, affinchè si possa trovare una soluzione realistica al problema, così da poter avanzare e creare proposte e aprire un varco grosso di speranza nel futuro. Intanto continuo a chiedermi:

come mai un ragno non si costruisce dieci ragnatele per mangiare, nè una lumaca tre gusci per vivere, nè un orso si fitterebbe due caverne per trascorrerci il suo letargo, ne’ un uccello quattro nidi? Possibile che l’uomo sia l’unico animale a costruirsi le sue catene ed incatenarvisi?