di Andrea Sessa (Barbadillo)
Cos’hanno in comune un film del 1952 e una tragedia consumatasi nel 2013? Apparentemente si tratta di due mondi lontani, separati da più di mezzo secolo, eppure un fil rouge, robusto e tragicamente veritiero, li lega saldamente. La tragedia di Civitanova Marche con i suoi tre morti suicidi è l’ennesimo capitolo del libro nero di una crisi devastante. E quando si arrendono quelle persone che hanno lavorato una vita, quelle persone che come le formiche hanno sempre risparmiato e pagato le tasse, allora siamo davanti a un’inquietudine diffusa.
A Civitanova si è consumata una tragedia familiare: una coppia di ultrasessantenni, lui esodato e lei con una pensione minima da 500 euro, stremata dopo mesi di difficoltà e da un affitto che non si riusciva più a sostenere ha deciso di farla finita. I due coniugi si sono impiccati insieme e quando il fratello della donna ha fatto la tragica scoperta, anch’egli un pensionato in gravi difficoltà, non ha retto e si è tolto la vita a sua volta.
Nel 1952 un magistrale Vittorio De Sica, supportato da Cesare Zavattini, raccontava la storia di un povero pensionato del dopoguerra in ambasce economiche, tracciando una parabola discendente che parte dall’esiguità della pensione.Umberto D. è un film scabro, lineare ma straordinariamente intenso. In maniera analoga alla nostra drammatica quotidianità, il film si apre con una scena di un corteo non autorizzato di pensionati, i cui cartelli recitano: «Aumentate le pensioni. Abbiamo lavorato tutta una vita!».
E ieri come oggi coloro i quali sono più colpiti dalla crisi, che è economica ma anche e soprattutto esistenziale, sono molti anziani. Coloro i quali, in una società che ormai ha perso la bussola, dovrebbero essere il nostro esempio, la nostra certezza, la nostra solida base. E quanti sono gli esodati, una delle grandi colpe del governo Monti, che hanno manifestato per i loro diritti? Quanti sono coloro i quali intervistati dalle trasmissioni televisive hanno riversato il loro malcontento per delle pensioni da fame? Migliaia e migliaia. Uno di quei pensionati potrebbe essere proprio Umberto D. che, nel racconto cinematografico, era stato per trent’anni funzionario al Ministero dei Lavori Pubblici. La macchina da presa mostra impietosa il baratro dell’uomo che prima va a mangiare alla mensa dei poveri, cercando di vendere il proprio orologio, poi cerca di vendere alcuni libri per poter pagare l’affitto e non essere sfrattato dalla sua borghesissima padrona di casa. Arrivato allo stremo cerca di elemosinare, ma un sussulto di dignità glielo impedisce.
La stessa dignità dei due pensionati marchigiani che, per pudore, non si erano rivolti ai servizi sociali del loro Comune. La storia di Umberto D. si conclude con un tentato suicidio, sventato però dall’affetto del suo cane, che in un certo qual modo salva l’uomo e lo fa desistere dal suo intento. Purtroppo a Civitanova non è avvenuto lo stesso miracolo. Proiettato oggi nelle sale, il neorealismo di De Sica, sarebbe incredibilmente attuale. Sarebbe la fotografia di una società divenuta uguale a quella del secondo dopoguerra. E allora ritornano in auge grandi battaglie sociali per gli ultimi: il diritto alla casa garantito dal mutuo sociale. Sarebbe la prima solida pietra per ricostruire l’Italia. Al di là dello stagnante e stancante “vaffanculo, tutti a casa!”.