di Pietrangelo Buttafuoco
Hassan Rohani ha vinto le elezioni in Iran. Gli sconfitti hanno riconosciuto l’esito del voto e si sono complimentati con lui. Nessuno ha abbaiato alla luna degli imbrogli.
“Eppure”, scrive la mia amica Amani Razie, da Teheran, “le elezioni sono state gestite dal governo di Ahmadinejad. Io mi chiedo come mai oggi nessuno tra i candidati sconfitti e coloro che li hanno votati non solo non dubita né protesta per l’esito sorprendente delle presidenziali 2013, ma si congratula persino con il nuovo presidente?”.
Azzardo una risposta. L’Iran, a differenza dell’Italia, non è affetto da badoglismo. Certo, Dio ce ne scampi da certi piritolli che ci sono e fanno felice Shaitan (ce ne sono, altroché), ma ho scoperto un dettaglio della storia iraniana, la cui realtà statuale è antica di cinquecento anni, che mi ha colpito non poco.
All’indomani della Rivoluzione moltissimi iraniani, fedeli allo Scià, cercarono riparo all’estero. Ma quando nel settembre del 1980 l’Iraq aggredì la Persia, la maggior parte di loro, quasi tutti rifugiati in Usa, chiese e ottenne di rientrare in patria.
Per combattere. E non certo per badogliare.