di Rumon Feluca (Barbadillo)
Dall’omologazione culturale a quella colturale. L’enorme baraccone economico-finanziario che risponde al nome di Unione Europea si sta confermando sempre più un mostro burocratico che limita le libertà di ogni cittadino. Prima è entrato nelle nostre tasche, con l’imposizione della discutibilissima moneta “euro”pea; ora sta addirittura arrivando nei nostri giardini.
Ogni crisi, soprattutto se finanziaria, è portatrice di rinnovamento, di pulizia da tutto ciò che è superfluo, di un ridimensionamento costruttivo. A seguito della pesante congiuntura economica internazionale, molti popoli europei sono stati letteralmente inginocchiati ed alcuni di essi hanno tentato di gridare la propria rabbia scendendo nelle strade e nelle piazze. Una delle conseguenze che ha portato tale momento, apparentemente negativo, è stato un risparmio ragionato sui beni di consumo da parte di molti cittadini euro-sudditi, con un ritorno all’autoproduzione delle materie prime da utilizzare o, nello specifico, degli alimenti da portare in tavola. Così, per fare un esempio, se una volta nei supermercati si comprava direttamente il pane, ora invece dagli scaffali di quegli stessi empori risulta più difficile trovare la farina o le uova, segno che il pane, o la pasta, vengono prodotti in casa.
Oltre al risparmio, dovuto al confezionamento e, soprattutto, alla pubblicità che rendono questa o quella merce sicuramente più costosa rispetto al prodotto fatto in casa, un duro colpo viene inflitto anche all’inquinamento causato, all’ambiente, proprio dal trasporto di tali derrate. E così, invece di comprare le verdure o la frutta al supermercato, con questa crisi, chi possiede anche solo un piccolo fazzoletto di terra, ha pensato bene di autoprodursi gli ortaggi nel proprio giardino. L’autoproduzione e l’autoconsumo, ovvero produrre e consumare solo il necessario, il minimo indispensabile, sembrano finalmente poter concretizzarsi come alternative vincenti: la tanto discussa risposta locale alla crisi globale sembra prender forma, almeno fino all’intervento a gamba tesa della Commissione Europea, che ha ipotizzato un clamoroso stop alla coltivazione di prodotti agricoli nel proprio giardino.
Il carrozzone europeo, che fino a qualche anno fa si preoccupava di standardizzare e rendere uniche le misure degli ortaggi, ora pensa bene di mettere fuori legge quei semi e quelle piante che non rientrerebbero negli schemi dettati dalla attraverso il nuovo apparato amministrativo “Agenzia delle Varietà Vegetali europee” attraverso la Plant Reproductive Material Law, che mira, appunto, ad amministrare la regolamentazione sulle varietà di piante e coltivazioni in tutta Europa. Numerose si sono levate le voci di protesta contro la dittatura europea che condannerebbe come criminali i coltivatori, anche solo nel proprio giardino di casa, di quei semi non regolamentati dalla nuova legge.
La protesta non si è fatta attendere neanche in Italia: Francesco Salvadore, un piccolo coltivatore della provincia di Vicenza, ha lanciato una raccolta firme che, in queste ore, ha toccato quota 53mila sottoscrizioni. “Chiediamo al Parlamento europeo – ha spiegato – che questa legge venga archiviata. Il diritto all’alimentazione e la libertà da ogni vincolo sulla possibilità di autoprodursi il cibo sono sacrosante. I piccoli coltivatori hanno esigenze diverse dalle multinazionali e per i piccoli coltivatori pagare una tassa per approvare le sementi può diventare un ostacolo”.
Una sfida, quella lanciata che riguarda un futuro molto prossimo: secondo Salvadore, anche se questa legge verrà inizialmente indirizzata solo ai contadini commerciali, “si sta stabilendo comunque un precedente: l’abitudine di conservare i semi di un raccolto per la successiva semina diventerà un atto non consentito che avvantaggerà i grandi monopoli sementieri a scapito dei piccoli orti nei giardini delle case europee”.