giovedì 9 gennaio 2014

Due parole sulla “celtica” e sul suo uso strumentale


di Mario Bozzi Sentieri


Prendi una bugia, ripetila mille volte e diventerà una verità. Prendi una croce celtica, trasformala nel simbolo di un passato “turpe e sanguinario” e ti troverai ad avere un bel marchio con cui bollare il nemico di turno. Anche se l’assioma è fasullo. Anche se il simbolo ha ben altre radici ed ascendenze.

E’ accaduto nel passato. Accade, di tanto in tanto, per bollare qualche tifoseria. E’ toccato ora all’ assessore alla Cultura, Identità e Pubblica istruzione presso la Provincia di Ascoli Piceno, Andrea Maria Antonini, che ha avuto l’ardire di presentarsi alla partita di calcio Ascoli-Frosinone, con al collo una sciarpona “griffata” dal simbolo incriminato. A scatenare l’indignata protesta questa volta è stata l’Anpi (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), che , attraverso il suo presidente locale, William Scalabroni, ha dichiarato : “Un assessore alla Cultura non può permettersi il lusso di passeggiare sugli spalti dello stadio cittadino facendo bella mostra della sua persona addobbata di sciarpa con tanto di simboli celtici che inneggiano e rievocano quel nazifascismo autore dei peggiori crimini a danno dell’umanità. Dietro la Medaglia d’Oro per attività partigiana, di cui sono insignite Ascoli e la Provincia, c’è il sangue dei partigiani ascolani che sono stati trucidati da uomini che sventolavano vessilli con gli stessi simboli che hai esposto al “Del Duca”. Non puoi permetterti di fare l’assessore andando in giro per la città inneggiando al nazifascismo”.

Che c’azzecca la croce celtica con il nazifascismo, i peggiori crimini dell’umanità ed il sangue dei partigiani ascolani francamente ci sfugge. A “grattare” il simbolo si scoprono ben altre ascendenze spirituali: magari l’esoterismo solare, il cattolicesimo irlandese, la tradizione gotica. Insomma riferimenti antichi e radici millenarie.

Se proprio vogliamo andare a trovare qualche collegamento strettamente politico dobbiamo guardare al dopo guerra e all’esperienza di Jeune Europe, il movimento europeista transnazionale, fondato, nel 1962, dal belga Jean Thiriart, che auspicava il superamento dei vecchi blocchi, al punto da guardare a Ceausescu (allora in rotta con l’ Urss). Jeune Europe fece della croce celtica il simbolo unificante delle sue undici sezioni nazionali, favorendone la diffusione in tutta l’ Europa occidentale.

Il “marchio” venne poi utilizzato, in Italia , durante gli Anni Settanta, da vari gruppi della destra giovanile, ma certamente non in funzione “nostalgica”. Anzi, proprio all’opposto, alla ricerca di sintesi politiche ed ideali, che rimarcassero, anche nella simbologia, uno “strappo” nei confronti della vecchia destra.

Perciò volere trasformare la croce celtica in uno spauracchio “politico” appare fuori luogo e perfino un po’ ridicolo. Specie se certe polemiche provengono da chi – da sinistra – continua a fare uso di simboli che appartengono, quelli sì, ad un passato turpe e sanguinario.