venerdì 10 gennaio 2014

L’arte della guerra: il conflitto si sposta ai vertici della finanza



di Lorenzo Vitelli (L'Intellettuale Dissidente)

Scritto più di duemila e cinquecento anni fa, L’arte della guerra di Sun Tzu è uno dei saggi più celebri della storia. E’ un trattato di strategia bellica che ha ispirato i più grandi condottieri di ogni Nazione e di ogni epoca, ed è passato sotto gli occhi degli uomini che hanno in qualche modo cambiato il corso degli eventi. 

Tuttavia, oggi che l’Occidente sembra aver sanato ogni possibile conflitto militare interno, l’arte della guerra rimane un testo ampiamente popolare, sopratutto nel ceto dell’alta finanza. E’ un libello in voga tra i manager e gli investitori, fra i broker e gli affaristi industriali, è un cult per le nuove generazioni che si lanciano a capofitto nel mondo dell’economia finanziaria. Attraverso la lente del business, di fatto, le tecniche militari – ovvero la lucida analisi dei mezzi a disposizione e degli obbiettivi, delle condizioni strategiche e della mutabilità dell’ambiente – prendono una valenza puramente positiva in quella che è la lotta in mare aperto tra gli squali della finanza. 

Questo libro rappresenta, nell’era della post-storia, in cui le guerre sembrano appartenere ad un passato remoto, la prova che il conflitto è altrove. Esso è altrove poiché il potere è altrove, non più nelle mani della politica, fittizio luogo deliberativo e decisionale, ma essenzialmente nell’economia. E’ tra multinazionali, lobby, burocrazie e mercati che si insatura il conflitto, a colpi di speculazione, tassi di interesse e manovre legali. Sembra quindi evidente come l’egemonia dell’economico sul politico sia ben rappresentata dal passaggio di questo libro-testimone dalle mani della classe politico-militare a quella manageriale, sull’altare della democrazia liberal-libertaria. Lo Stato è divenuto così un’azienda da gestire in base agli andamenti del mercato, luogo vero e proprio di conflitto: il bellum omnia contra omnes. Il nemico non è più schmittianamente colui che nega la nostra costellazioni di valori, l’identità di un Paese, o che minaccia violentemente il nostro spazio, ma colui che ci impedisce il raggiungimento del profitto e dell’accumulazione illimitata. L’arte della guerra ha perso quindi il suo significato di manuale atto al raggiungimento della vittoria da parte di un esercito, per divenire un guida di sopravvivenza individuale o aziendale nella giungla del tutti contro tutti dominata dalle logiche dell’economia e dell’interesse.