di Antonio Pannullo (Secolo d'Italia)
Adesso Michele saprà cosa c’è ad un passo dal cielo, come cantava nelle sue canzoni. Michele Di Fiò, cantautore che ha accompagnato la generazione di ribelle della destra negli anni Settanta, ci ha lasciati sabato. Era nato il 7 aprile (e proprio “Aprile” si chiama una delle sue più belle canzoni) del 1956.Era di San Costanzo in provincia di Pesaro. Il suo cognome era Logiurato, ma aveva scelto il nome d’arte di Di Fiò in omaggio alla moglie che si chiama Fiorenza. Professionalmente aveva iniziato la sua attività verso il 1973, suonando nei piano-bar e nei locali. Fu uno dei primi cantautori alternativi solisti di destra. Iniziò a farsi conoscere, fece provini alla Rca, ma pur essendo bravo e dotato di talento, Michele aveva un grosso handicap: quello di non appartenere alla parte politica “giusta” per fare carriera. Sì, perché come molti altri suoi colleghi dell’epoca, da Fabrizio Marzi alla Compagnia dell’Anello, dagli Amici del Vento agli Zpm, Michele Di Fiò era uno di quelli che, se non fossero stati “fascisti”, sarebbero diventati famosi. Insomma, penalizzati dalla fede. Ma lui non ne voleva sapere, e come dichiarò in un’intervista, era contento che le sue canzoni avessero fatto da colonna sonora a una generazione di “cuori neri” suoi coetanei. Non si mise d’accordo con la Rca per non dover modificare le sue canzoni e sottoporsi alle leggi omologanti del consumismo.
Tentò di fare da solo, fondando una casa discografica ed editrice, La Mosca bianca, che ebbe per alcuni anni un certo successo nell’ambiente dei giovani missini. Ma prima, nel 1977, dopo essere andato al Campo Hobbit I, esce la sua prima raccolta autoprodotta, “Seveso e no”, dove oltre ai temi politici si affrontano anche quelli ambientali o semplicemente esistenziali. Nel 1978 esce il suo Lp “Ad un passo dal cielo c’è…”,e nel 1979 “Cervello”, per molti il suo Lp più convincente, con il quale arriva i primi posti nella speciale classifica della manifestazione “Centocittà”, organizzata da moltissime radio libere italiane. E questo era un successo di cui Michele andava molto fiero, poiché si confrontava con cantautori “normali” e commerciali. Con il suo 45 giri “Rock” inaugura “La Mosca bianca”, del 1980. Il retro era la stupenda “Italia”, il brano che Michele volle dedicare ad Alberto Giaquinto e alla sua storia: “… le auto bruciate e le mani, una piazza sepolta da mille bandiere… oggi è morto un fratello, domani saremo più forti”. Nel 1981 l’ultimo Lp, “Cavalcare la tigre”, che ebbe ugualmente un grande successo, sia pure “underground”, ossia limitato all’ambiente dei giovani del Fronte della Gioventù.
Il suo stile era melodico ma nello stesso tempo arrabbiato, era molto bravo con la chitarra, affrontava non solo temi strettamente politici ma nelle sue ballate parlava di amore, di aborto, di società,di femminismo, di emigrazione, di decadenza del sistema (“è la tua condanna a morte, cara vecchia società…”) ma soprattutto di speranza. Il suo più grande cruccio, come ci racconta Fabrizio Marzi, che lo conosceva bene, fu sempre quello di essere stato lasciato solo dalle strutture del partito, l’allora Msi, i cui dirigenti non ebbero la lungimiranza per capire di quale utilità sarebbe stata la creazione di un circuito musicale giovanile alternativo, con tanto di casa discografica, riviste e quant’altro. Chi lo capì, ma non fu ugualmente ascoltato, fu Teodoro Buontempo, che con la sua Radio Alternativa causò un epocale cambiamento nel costume giovanile missino e che, se appoggiato convenientemente dal partito, avrebbe cambiato anche l’incidenza dei missini nella società. Ma, come dice Michele, è veramente difficile cavalcare la tigre… “Era un poeta, un ragazzo pieno di iniziative di idee”, dice ancora Fabrizio Marzi: “Lo conobbi ad Acireale, a uno spettacolo che facemmo al teatro Maugeri, rimasi colpito dalla sua determinazione e dal suo entusiasmo…”. “Ci siamo sempre sentiti – ricorda ancora l’autore di “Zoo” – , ma lo rividi nel 1995, alla festa nazionale del Secolo d’Italia a Rieti, a un interessante convegno sulla musica alternativa. Lui comunque era estremamente deluso da tutto il nostro mondo politico…”.
Nel 2007 Michele Di Fiò in un’intervista, fece una lucida e forse profetica analisi su gran parte del mondo post missino: “Politicamente la sinistra ha sempre aiutato, promosso e pagato artisti della loro area; per quanto riguarda la destra è stato solo un problema di soldi o per non esporsi, o per che cosa? La Destra (…) non è abituata alle grandi cose, salta fuori solo al momento opportuno quando c’è qualcosa da prendere. Qualcuno pensa ancora che la maggioranza di questi sta su quel carro per la Fede? No, c’è sempre, sempre un tornaconto, basta cercare e lo si trova. Per questo è importante essere liberi, non essere costretti”. Di questa sua autentica rabbia restano oggi le sue canzoni, i suoi versi, la sua sensibilità che arricchirono la musica alternativa accompagnando nei suoi sogni la generazione degli anni di piombo. Viveva in campagna, con la sua adorata famiglia, la moglie Fiorenza e le sue figlie Valentina e Debora, diceva di non rimpiangere nulla e di aver avuto una vita felice. “Posso dire che nella vita ho fatto esattamente ciò che ho voluto, non ho mai timbrato cartellini e non sono mai stato a busta paga di nessuno. Penso di avere vissuto una esistenza libera e senza condizionamenti”, disse nell’intervista citata. Se a lui è rimasta la rabbia di non aver avuto abbastanza da un certo mondo politico, è vero però che quella comunità umana alla quale lui apparteneva ha avuto moltissimo da lui, e lo ringraziamo con le parole della sua canzone forse più bella, “Italia”: “Il tuo ultimo bacio ed un ciao…”.