di Franca Poli (Ereticamente)
Questa è la storia di Tommaso e Costanza due giovani italiani di un'altra epoca. Tommaso era nato nel 1920 e Costanza nel 1922. E’ una storia di famiglia che odora di muffa, come una camicia nera trovata nel fondo di un vecchio baule in soffitta.
Farò un breve passaggio su come erano cresciuti, durante gli anni “d’oro del Fascismo”. La generazione del Littorio, cioè i giovani nati negli anni Venti, aveva usufruito del cambiamento della scuola e del modo di fare cultura, la riforma Gentile aveva portato una ventata di novità nella scuola. I programmi delle elementari ripristinavano l'insegnamento della religione cattolica, valorizzavano il canto, il disegno, le tradizioni popolari e la meritocrazia era uno dei cardini della riforma, perché fossero i migliori, le menti più acute, a diventare la futura classe dirigente.
Insisto su questo punto perché mi preme sottolineare quale rivoluzione abbia portato nella società di allora la lotta che il fascismo condusse contro l’analfabetismo. Nel 1921 il 25% dei giovani tra i venti e i trent’anni non sapeva leggere. Ancora peggio andava per le ragazze, la cui percentuale di analfabetismo, sempre per la stessa fascia di età, era del 31%. Un dato impressionante, se confrontato con la situazione di altre nazioni europee. Nel 1941 dopo la battaglia condotta dal regime contro questa piaga, le percentuali erano ridotte al 14%. Va sottolineato che in quegli anni, lo Stato si prese cura delle classi bisognose e delle famiglie in difficoltà, fin dal 1923 fu resa obbligatoria anche l’istruzione per i fanciulli ciechi e sordomuti con la fondazione di una cinquantina di istituti creati per dare un’istruzione e un futuro di inserimento nel lavoro, a circa cinquemila scolari disabili.
La riforma della scuola fu supportata dall’ Opera Nazionale Balilla che era complementare all'istituzione scolastica, per l'assistenza e per l'educazione fisica e morale della gioventù. L'ONB fondata nel 1926 e voluta da Benito Mussolini, era un’istituzione a carattere parascolastico e mirava non solo all'educazione spirituale, culturale e religiosa, ma anche all'istruzione premilitare, ginnico sportiva, professionale e tecnica. Lo scopo fondamentale era far crescere i giovani nel clima spirituale e culturale del fascismo e creare in loro una salda coscienza di italianità e consapevolezza del ruolo di "fascisti del domani".
L'iscrizione all'ONB procurava benefici, ben conosciuti dai ragazzi e dai loro genitori. Gli Italiani apprezzarono di poter usufruire gratuitamente per i propri figli di vacanze, gite o campeggi. A partire dagli inizi degli anni Trenta, infatti l'Opera fu in grado di erogare molti servizi sociali come borse di studio, refettori, doposcuola, asili, colonie, crociere, soprattutto alle famiglie che non avrebbero potuto permettersi di sostenerne il costo. I ragazzi venivano inquadrati, in uniformi specifiche, come balilla e piccole italiane (dagli 8 ai 14 anni) e come avanguardisti e giovani italiane (fino ai 18 anni). Per i giovani sopra i diciotto anni furono fondati, in seguito, i Fasci Giovanili di Combattimento e i Gruppi Universitari Fascisti, per i quali dal 1934 vennero organizzati a cadenza annuale degli incontri culturali denominati Littoriali della Cultura e dell’Arte che si affiancarono a quelli dello sport, si ricordano fra i vincitori famosi, di alcuni littoriali: Michelangelo Antonioni, Pietro Ingrao, Aldo Moro, Renato Guttuso, Giorgio Almirante e Vasco Pratolini.
L’ONB, oltre alle esercitazioni, che si tenevano dopo l’orario scolastico, durante il “sabato fascista”, mobilitava le scolaresche per adunate e campi scuola, come i "Campi Dux", raduni nazionali per i ragazzi che si erano distinti tra Balilla e Avanguardisti di tutta Italia. Le manifestazioni si concludevano con la premiazione dei più meritevoli davanti al Duce. Le tradizionali sfilate, i cortei venivano arricchiti da canti e, in alcuni casi, da fuochi d'artificio. Oggi la pratica dello spettacolo pirotecnico, al sud è usanza per le feste patronali nelle parrocchie, al nord è divenuta prerogativa tutta dei “compagni”, che ne fanno un vanto alla chiusura delle feste dell’Unità, dando vita a tacite gare organizzate fra paese e paese per dare lo spettacolo migliore e accaparrarsi in tal modo i visitatori per l’anno venturo.
Frequentando con impegno la scuola e le attività dell’ONB, in un contesto di serietà e impegno, di lealtà e sicurezza sono cresciuti Tommaso e Costanza, infarciti di ideali, di speranze, di amore per la loro nazione e orgoglio di appartenenza. Credevano nei valori loro trasmessi e volevano servire la Patria. Tommaso era diventato un milite della Milizia Forestale Nazionale e Costanza un’impiegata al ministero di Agricoltura e Foreste. Quando si conobbero, a Roma, lui era un affascinante giovane in divisa e lei una bella ragazza con una cascata di riccioli scuri e occhi grandi, con la stessa profonda espressione che scorgo, a volte, nello sguardo di mia figlia. Si innamorarono e pensavano di mettere su famiglia, quando furono travolti dagli eventi di una delle più grandi tragedie subite dagli Italiani. L’8 settembre 1943 tutti fuggivano a casa. Roma veniva abbandonata, Tommaso e Costanza guardandosi negli occhi, credendo ancora nel loro futuro, e in quello dell’Italia, non scapparono, tenendosi per mano ogni mattina, camminavano rasente i muri, sfidando la gente impazzita per le strade e continuarono a recarsi al loro posto di lavoro.
Quando la radio italiana divulgò il messaggio del maresciallo Badoglio nel quale il capo del governo comunicava: “l’Italia ha chiesto un armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze alleate e la richiesta è stata accolta”, si consumò la peggiore delle sciagure per l’esercito italiano: erano le 19,45 dell’8 settembre 1943. Il generale Badoglio e il re, dopo lo sgambetto a Mussolini e la caduta del regime del 25 luglio, decisero, di consegnare l’Italia al nemico e lo fecero nel modo più ambiguo e vergognoso possibile, dopo aver proclamato solennemente sino all’ultimo minuto, assoluta fedeltà al patto di alleanza con la Germania.
Al momento dell’infamante “armistizio”, (di fatto una ignominiosa resa incondizionata nelle mani di quello che sino a poche ore prima era il nemico), gli Italiani venivano da anni di guerra e di sacrifici. Il territorio era diviso in due. A nord l’alleato germanico era presente con una forza ben strutturata. A sud, americani e inglesi occupavano i territori abbandonati dai tedeschi. Le forze armate italiane divise sul territorio restarono senza direttive precise, senza ordini da eseguire e, nel caos più assoluto, si assistette a un fuggi fuggi generale di comandanti e truppe lasciate allo sbando. Quel giorno resterà segnato nella storia d'Italia come un dramma dalle mille sfumature. Alle regole e all'ordine si sostituirono, in una sovversione improvvisa, l'anarchia, la lotta per la sopravvivenza, l'eroismo di pochi, il terrore di molti.
Chi non ricorda il film “Tutti a casa”, con attore Alberto Sordi nei panni di un tenente dell’esercito italiano che, non sapendo della resa, vede improvvisamente i tedeschi che gli sparano addosso, mentre è in marcia coi suoi uomini? Non riuscendo a capire cosa stia succedendo si mette in comunicazione con i superiori e dice al telefono: “Accade una cosa incredibile signor colonnello,i tedeschi si sono alleati con gli americani….” Rendendoci conto del grottesco paradosso e sapendo come realmente erano andati i fatti, abbiamo riso tutti a quella frase,ma (insegna la narrativa pirandelliana ) dal tragico al buffo, amara è stata la causa del nostro insensato sorriso.
Per oltre sessant’anni la storia ufficiale ha compiuto scientemente la più grande delle mistificazioni, gestita dall’antifascismo imperante delle sinistre, ha esaltato l’infame data dell’8 settembre 1943 come l’inizio del cammino che avrebbe portato la nazione verso la democrazia. Una parola, nel nostro caso, usata e abusata a sproposito. In Italia non è mai stata fondata una vera democrazia, in quanto nata dal tradimento e non costruita su reali volontà popolari. Una falsa democrazia propinataci dai vincitori con presupposti forzati rinnegando e abiurando il passato recente anche nelle cose migliori.
Il popolo, pur carico di sacrifici, non voleva arrendersi, ma qualcuno ai posti di comando, decise di salire sul carro del nemico, senza più combattere, e così abbiamo perduto non solo la guerra, ma qualcosa di molto più importante: la nostra dignità di nazione.
Sarebbe lungo e dispersivo quantificare quale era in realtà la nostra forza militare al momento della resa, se sarebbe stata sufficiente, o meno, a opporre una onorevole resistenza al nemico che, i tedeschi da soli fecero durare per 19 mesi. Si sarebbe trattato oltretutto di combattere nel territorio natio, motivati a strenua difesa della Patria e ogni centimetro di terra, conosciuto e amato, avrebbe potuto diventare un nuovo “Piave”.
Esiste un dettagliato rapporto firmato dal Capo di Stato Maggiore tedesco Alfred Jodl, che quantifica di quali e quante forze fosse, in realtà, dotato l’esercito italiano. Un esempio su tutti, senza entrare nel merito delle unità armate, della forza uomini, cito quanto reperito dai tedeschi circa i soli materiali di vestiario (visto che il nostro è diventato famoso come l’Esercito con “le scarpe di cartone”, ): 672.000 giubbe a vento, 783.000 farsetti a maglia 592.100 paia di pantaloni, 2.064.100 camicie, 3.338.200 paia di scarpe, 5.251.500 paia di calze. Insomma, vi erano i reparti, vi erano le armi e non si può dire che le condizioni fossero tali da far combattere gli uomini “in mutande”. Per anni ci hanno raccontato la storia di una guerra oramai persa per mancanza di forze anche se i dati di fatto non rispondono a questa teoria, ma a quella del tradimento e della felloneria. I motivi della resa secondo le fonti ufficiali furono dettati “dall’impossibilità di continuare l’impari lotta contro la soverchiante potenza avversaria”, in realtà l’Italia aveva buoni soldati e pessimi comandanti. Infatti nel caos assoluto gli unici che ebbero chiaro cosa fare furono Badoglio e il re che fuggirono a Brindisi, insieme a uno stretto gruppo di accoliti. Sulla corvetta Baionetta, dove si imbarcarono a Ortona, avevano tentato di salire a bordo anche numerosi generali e colonnelli, in una vergognosa ressa passata alla storia come “l’ultimo assalto alla baionetta”.
Un capitolo a parte meriterebbe la consegna della flotta della Marina Militare senza aver sparato un colpo. Fu l’estremo oltraggio al nostro onore, mentre al termine della prima guerra mondiale la flotta tedesca si era autoaffondata a Scapa Flow e lo stesso aveva fatto quella francese a Tolone, per non arrendersi ai tedeschi, gli Italiani furono gli unici a consegnare a Malta le navi intatte al nemico, esempio unico di viltà di tutte le marinerie del mondo.
Mi resta ignoto come si faccia a considerare l’8 settembre 1943 una data fondamentale per la costruzione dell’Italia, quando anche il resto del mondo condannò il nostro operato. Eisenhower stesso definì “sporco affare” (crooked deal) la resa del Regno d'Italia.
Scelgo di ricordare su tutte le citazioni (vere e false) che ricorrono sulla triste storia di quella data, cosa disse in proposito il generale Junio Valerio Borghese, comandante della Decima Mas "Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà e allora l’evento storico non incide che materialmente seppur per decenni. La resa e il tradimento hanno invece incidenze morali incalcolabili che possono gravare per secoli sul prestigio di un popolo, per il disprezzo degli alleati traditi e per l’uguale disprezzo dei vincitori con cui si cerca vilmente di accordarsi.” Ecco perché quell’8 settembre 1943, nonostante i tentativi di travisamento operati nel dopoguerra per cercare di ridare dignità al nostro popolo, resta nella storia d’Italia una data luttuosa e nefasta, una pagina vergognosa e indelebile.
Di quello che successe a Tommaso e Costanza che scegliendo di continuare a servire la loro Patria, insieme decisero di spostarsi al Nord ne parlerò in seguito, in un altro pezzo, dove proverò a dare voce a tutti coloro che andarono a combattere “dalla parte sbagliata”.