domenica 22 dicembre 2013

Cultura. Wounded Knee e la fine degli indiani d’America



di Francesco Filipazzi (Barbadillo)

Il 29 dicembre 1890 si chiudeva la storia degli Indiani d’America, con il massacro di Wounded Knee. Una civiltà sterminata dai colonizzatori provenienti dall’Europa nel corso di lunghi massacri e prevaricazioni. Pochi conoscono nel dettaglio le vicende che portarono alla cancellazione dei “pellerossa” e nomi come Sand Creek e Wounded Knee non richiamano nulla alla mente. Questo ragionamento venne fatto probabilmente da Dee Brown, bibliotecario e poi professore all’università dell’Illinois, che nel 1970 pubblicò il successo editoriale “Seppellite il mio cuore a Wounded Knee” (Bury my Heart at Wounded Knee) in cui ripercorre la storia coloniale del nord America fra il 1860 e il 1890, un’epoca di “violenza, rapacità, audacia, sentimentalismo, sfrenata esuberanza, caratterizzata da un atteggiamento quasi reverenziale verso l’ideale di libertà personale di coloro che già la possedevano”, recita l’introduzione, in cui l’autore spiega di aver raccolto le testimonianze e le documentazioni degli indiani, per parlare della conquista del West dal punto di vista di chi l’ha subita.

Fra le pagine incontriamo quindi le tribù native, come i Sioux e i Navaho, assieme ai nomi di capi leggendari come Alce Nero e Nuvola Rossa. La storia di un popolo che ha combattuto strenuamente per la propria terra, la loro terra, che l’uomo bianco si è preso con la forza senza averne diritto, sterminando i bisonti per togliere il primario sostentamento a chi vi abitava, uccidendo uomini donne e bambini. Nelle frasi dei capi indiani troviamo la saggezza e la fierezza di una civiltà che abitava il continente americano da migliaia di anni e che è stata chiusa nelle riserve, subendo un’ingiustizia senza precedenti.

Un lunghissimo resoconto, fatto di date, descrizioni storiche e frasi pronunciate dagli stessi indiani, di cui si riescono coglier alcuni tratti distintivi. Essi non erano un popolo unico, come ad esempio gli Aztechi, ma un insieme di tribù, con alcuni tratti comuni, inseriti in un contesto che li rendeva un’unica nazione, anche se forse prima dell’arrivo delle navi e della polvere da sparo non ne erano consapevoli. Quello dei nativi americani era un mondo tradizionale e dimostrazione ne è l’ultima frase del libro, in cui Alce Nero per simboleggiare la fine della Nazione parla di un cerchio senza più centro, utilizzando una figura comune alla Tradizione indoeuropea*.

Un mondo ricco che purtroppo non esiste più e di cui abbiamo poche vestigia, uomini forti e saggi caduti ma invitti.Uomini già morti, Wovoca ha visto che saran risorti.


*Per approfondimento sulla simbologia del centro e i centri spirituali, cfr René Guénon, Il Re Del Mondo.