giovedì 25 luglio 2013

L’Italia della miseria: meno sanità per tutti



di Ernesto Ferrante (Rinascita)

Sappiamo già di turbare la serenità chi dedica le sue giornate al ruttino dell’infante albionico o all’aggiornamento del campionario delle pruriginose capriole dialettiche e non solo di Sara Tommasi, ma ce ne faremo una ragione. Lasciamo a costoro il “piacere” di continuare a ballare mentre il Titanic Italia affonda e ci teniamo con orgoglio il “dispiacere” che ci sta costando carissimo (le tagliole posizionate lungo la strada di questo giornale lo dimostrano ampiamente...) di raccontare senza peli sulla lingua e fette di prosciutto davanti agli occhi, le nefandezze collezionate in serie dal politicume imperante. E’ stato presentato nei giorni scorsi il rapporto annuale di “Cittadinanzattiva” intitolato “Meno sanità per tutti”, di cui consigliamo vivamente la lettura a chi ancora continua a gozzovigliare nel mondo dei sogni. La presunta insostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale, platealmente sbandierata da Mortimer Monti, usata come alibi per tagliare, smembrare e sventrare è in realtà una precisa scelta ideologica compiuta per trasformare la salute in merce da affidare ai privati e trarre dall’erogazione dei servizi il massimo profitto. La spesa sanitaria italiana rimane, infatti, ben al di sotto della media europea e quasi nulla si continua ad investire nella prevenzione. Come ha fatto notare l’Unione Sindacale di Base, il nostro Sistema Sanitario nazionale, nonostante tutte le legnate ricevute, produce oltre l’11% di PIL assorbendone solo il 7,1%! I dati che affiorano dal Rapporto annuale di Cittadinanzattiva sono agghiaccianti. Per la prima volta in 16 anni emerge chiaramente che il principale problema degli italiani risiede nell’impossibilità di accedere alle prestazioni sanitarie del servizio pubblico, proprio come avviene per i cosiddetti Paesi in Via di Sviluppo, e le cause risiedono, fondamentalmente, nell’insostenibilità del costo di ticket e intramoenia e nella ipertrofia delle liste d’attesa. Al secondo problema, fino a qualche tempo fa, si poteva ovviare rivolgendosi ai privati, con relativi esborsi ma, adesso che i soldi scarseggiano, o si aspetta per forza, con gravi rischi per la salute o si rinuncia delle cure. Le più penalizzate sono le regioni del centro sud, a causa dei disastrosi effetti di quel federalismo che ha costretto alcuni territori a tornare al livello del secondo dopoguerra, e le donne. Ai 9 milioni di italiani, da noi spesso citati, che dall’inizio della crisi hanno rinunciato a curarsi per problemi economici sono inevitabilmente destinati ad aggiungersi migliaia di nuovi poveri, assoluti e relativi, fotografati dall’Istat. Una povertà in ascesa che, fanno notare i sindacalisti di base, “colpisce non più solo i ceti popolari, i redditi da pensione, il lavoro privato ma arriva fin dentro il lavoro pubblico garantito”. Il boom di richieste di prestiti personali finalizzati alle spese mediche (odontoiatriche in primis) è l’esempio dell’ulteriore superamento dell’asticella tra civiltà e barbarie. Lo sfascio odierno, si legge ancora sul portale dell’Usb, è figlio di anni “di definanziamento del sistema sanitario pubblico (meno 30 miliardi tra il 2013/2015 con effetti retroattivi), del taglio dei posti letto (45.000 dal 2010), della politica di privatizzazione ed esternalizzazione dei servizi e del blocco quasi totale del turn over”. Uno scempio pagato direttamente dai cittadini e un’assistenza sanitaria accollata alle famiglie da uno Stato sempre più aziendalizzato. Svantaggi per l’utenza e numerosi vantaggi per chi ha le mani in pasta. La Sanità continua ad essere, infatti, una gallina dalle uova d’oro non solo per banche, assicurazioni e fondi di investimento ma anche per i signori del mattone e le imprese fornitrici. E non va trascurato lo sfruttamento per fini elettorali del settore in virtù della sua spessa ragnatela di contatti e clientele.