di Massimo Fini
Ho passato una ventina di giorni di vacanza all'estero. Un estero molto vicino: la Corsica (anche se la definisco «il luogo più vicino più lontano dall'Occidente» perchè, soprattutto nell'interno, la vita si svolge secondo i ritmi rallentati delle società tradizionali). Comunque a sole quattro ore di traghetto, con il necessario 'recul' (che è la distanza giusta per osservare un quadro, perchè se sei troppo vicino non ne capisci l'insieme, se troppo lontano, non lo vedi) l'Italia offre di sè uno spettacolo impressionante. Non per i problemi economici. Quelli ce li hanno quasi tutti in Europa. Non si tratta di questo. E' che l'Italia sembra in preda a una sorta di marasma senile. Gli ingranaggi si sono inceppati.
E' saltata la filiera di un ministero chiave come quello degli Interni: il capo non sa cosa fanno i suoi subalterni i quali, a loro volta, agiscono ognuno per conto proprio più o meno all'insaputa l'uno dell'altro (sempre che costoro abbiano dichiarato il vero, come temo perchè sarebbe preferibile che avessero detto delle menzogne che sono almeno un segno di vitalità). Subiamo le imposizioni del Kazakistan, un Paese che un tempo facevamo fatica a trovare sulle carte geografiche. Di fronte all'impudenza dei kazaki che si permettono di portar via, con un aereo privato due persone che stanno nel nostro Paese, che sono sotto la nostra giurisdizione e la nostra tutela. Emma Bonino, il clone ottuso di Pannella, eletta improvvidamente ministro degli Esteri, non è riuscita che a balbettare che l'intervento kazako è stato «intrusivo». Abbiamo perso ogni credibilità internazionale e non solo per le gaffe di Berlusconi e il suo modo molto personale e privato di fare politica estera («l'amico Putin», «l'amico Erdogan» e «l'amico Muhammar»). Dopo che una mezza dozzina di presidenti del Consiglio e di ministri della Giustizia avevano fatto i pesci in barile per non dispiacere gli americani, la Cancellieri, quando era Guardasigilli, si era decisa a spiccare mandato di arresto, via Interpol, contro Robert Lady il capetto della Cia a Milano, responsabile del rapimento di Abu Omar, condannato a nove anni di galera. E in effetti Lady è stato arrestato a Panama, ma il Paese centroamericano non ha nemmeno aspettato che ne chiedessimo l'estradizione, l'ha consegnato subito agli Stati Uniti, al sicuro.
Un delinquente comune, anzi 'naturale' come lo ha definito il Tribunale di Milano (che è qualcosa di più di 'delinquente abituale', vuol dire che ce l'ha proprio nel dna) tiene in scacco il Paese e il governo. Basta un soffio perchè crolli tutto il castello di carte. Nel frattempo il governo si tiene insieme solo perchè, direi fisicamente, non puo' cadere.
Una potente 'family', palazzinara e finanziaria, viene mandata al gabbio e il suo patriarca, Salvatore Ligresti, ai domiciliari nella sua bella villa nel quartiere di San Siro che, a suo tempo, aveva provveduto a sconciare in combutta con i sindaci socialisti. Ma Ligresti non era già stato condannato ai tempi di Tangentopoli? E che c'entra? Questi ritornano sempre. E se mai, una volta, si riesce a innocuizzarli in modo definitivo è solo quando hanno potuto compiere ogni sorta di rapine ai danni della cittadinanza. Non c'è settore in cui la magistratura vada a mettere il dito dove non salti fuori il marcio, un pus purulento che corrode tutto e tutti: funzionari, impiegati pubblici, poliziotti, vigili urbani, preti e naturalmente politici di ogni risma e di ogni livello. Ma non c'è più nessuno, in Italia, che rispetti le sentenze dei Tribunali. E perchè mai si dovrebbe? A meno che non si tratti proprio di stracci, di riffa o di raffa le sentenze non vengono mai applicate. Nel Paese dei Balocchi non c'è la certezza della pena, c'è quella dell'impunità.
Tutti i valori su cui si sostiene una comunità, onestà, dignità, lealtà, assunzione delle proprie responsabilità, sono saltati, in una confusione generale cui contribuiscono gli Azzeccagarbugli dei giornali.
Il Capo di questo Stato ha 88 anni. Nel marasma senile del Paese si trova nel suo.