di Marcello Foa.
Sono sempre più scettico sulle agenzie di rating e sugli studi delle grandi banche internazionali. Il problema delle agenzie di rating (Moody’s, Standard% Poor’s, Fitch) è noto e ancora oggi irrisolto: trattasi non di autorità di controllo superpartes ma di agenzie private, in chiaro conflitto di interessi, sia nei confronti delle società quotate (che sborsano cifre non indifferenti per ricevere il rating) che dei propri azionisti (come fai a dare il voto a una società, sovente una banca, che ti possiede?). Inoltre, operano in regime di oligopolio, che quasi sempre significa cartello, non sono punibili per i frequenti errori che commettono ma hanno un potere di influenza spropositato e, nei loro vari board, siedono personaggi che hanno chiare finalità lobbistiche (non a caso il premier Monti era consigliere di Moody’s).
A mio giudizio le tre agenzie di rating non sono compatibili con le regole liberali dell’economia di mercato e sono pericolose per la loro capacità di sovvertire la democrazia e la sovranità nazionale.
Mi espongo: andrebbero messe fuori legge.
Ma anche gli studi delle grandi banche, che regolarmente provocano sensazione sulla stampa e sbalzi sensibili sui mercati, andrebbero studiati da vicino. Recentemente ho partecipato a un convegno internazionale e mi sono trovato al tavolo con il responsabile del centro studi per l’Italia e il Sud Europa di una delle 5 cinque più grandi banche internazionali. Abbiamo simpatizzato e ne ho approfittato per farli qualche domanda sulle loro modalità di ricerca. Le sue risposte sono state sconcertanti. Per ragioni di budget, quest’uomo si recava al massimo una volta all’ anno a Roma e basava le sue previsioni, su dati statistici, sulla lettura dei giornali (i soliti, naturalmente, a cominciare dal Financial Times ed Economist), sui report che riceveva dalle altre banche internazionali e naturalmente dalle valutazioni delle agenzie di rating.
Gli ho chiesto se fosse solo lui ad operare con queste modalità o se la prassi fosse comune ad altri istituti. Mi ha confermato che la maggior parte dei suoi colleghi operava in questa maniera. Dunque, il giudizio sul sistema politico, le prospettive di crescita, l’impatto di leggi e manovre è il frutto non di un’analisi accurata e originale, ma di giudizi di riporto. E infatti i report delle grandi banche, nove volte su dieci, esprimono giudizi molto simili.
E per questo andrebbero accolti nell’ unico modo possibile: ignorandoli e screditandoli, come bisognerebbe fare con le agenzie di rating. Ma i governi sono troppo pavidi e i media troppo conformisti e il grande inganno prosegue. A pagarne il prezzo siamo noi.