Nella foto: Espacio de Las Artes, Santa Cruz (Lanzarote).
di Maurizio Blondet.
Di ritorno dalle Canarie: se devo valutare da quest’angolo della Spagna che ho visto, penso che quel Paese sia meglio attrezzato dell’Italia di fronte alla crisi, e che si solleverà prima di noi. Anche là vige il disprezzo per i politici e la politica; cresce, persino più che da noi, la consapevolezza dei privilegi e del parassitismo delle burocrazie pubbliche, il che è un buon segno di vitalità politica della popolazione, che mette sotta accusa i salari sicuri degli statali mentre nel settore privato la disoccupazione è alle stelle. Ma visto come stiamo messi noi, vorrei fare il cambio. Ecco alcuni motivi:
Infrastrutture.
D’accordo, durante il boom edilizio (causato dai tassi eccessivamente bassi che l’euro «germanico» ha chiesto per indebitarsi, e dalla banche tedesche, rigurgitanti di capitali, che li hanno offerti in eccesso agli iberici) s’è costruito troppo, ed ora è scoppiata la bolla edilizia. Ma ciò che colpisce, è la quantità e la qualità delle infrastrutture progettate ed attuate dalla «politica». Se i politici spagnoli hanno rubato, non si sono tenuti tutto loro; hanno anche attrezzato il Paese per la modernità. Strade extra-urbane nuove fiammanti a Lanzarote, autostrade a quattro corsie (e gratis) a Tenerife; non una buca nell’asfalto, non un lampione bruciato, e ovviamente non un cartello perforato da gragnuole di proiettili (tipico del folklore in Sicilia e Calabria). Nella capitale Santa Cruz, che è pur sempre una cittadina di nemmeno 230 mila abitanti, grandiosi spazi culturali firmati da archistar (tipico l’auditorium ideato da Calatrava, e lo Espacio de Las Artes dello svizzero Herzog) che possono non piacere, ma testimoniano l’impegno dei pubblici poteri per la cittadinanza, ospitano mostre, biblioteche, teatri.
Due aeroporti che non sono affatto cattedrali nel deserto, anzi frequentatissimi da voli internazionali (arrivano 5 milioni di turisti – che poi tornano, al contrario di quelli che vengono in Sicilia). Immensi parcheggi sotterranei pubblici, che da noi non si sono mai fatti perchè «il Comune non ha i soldi» o «il comitato di quartiere si oppone» o non ci si mette d’accordo sulle mazzette. Un sistema-modello di trasporti pubblici: la piccola capitale canaria ha una metropolitana leggera nuova fiammante (del 2004, finanziata da Fondi UE) che tocca tutte le zone che contano, e fa’ capolinea all’Intercambiador: ossia alla grande stazione dei bus («guaguas», nel gergo locale), su sei livelli con scale mobili, da cui si può raggiungere qualunque villaggio dell’isola a prezzi popolari dopo aver lasciato l’auto nel parcheggio sottostante, che basta a 1400 veicoli.
Come dire che questo Interscambiador è una delle installazioni che mi ha più colpito? Fate un confronto mentale con una stazione di corriere o anche dei treni in Italia, dove arrivino e partano, come qui, 3500 bus al giorno: immaginate le cartacce e le cicche per terra, la polvere (e peggio) che si addensa negli angoli, gli odori di urina; immaginate i barboni che dormono sulle panchine, i mendicanti molesti, o i personaggi più loschi e pericolosi che, nelle ore notturne, abitano le stazioni italiane. Immaginate, perchè qui è l’esatto contrario: nella monumentale hall i pavimenti sono lucidi; il bar-ristorante offre bocadillos e tapas invitanti (io ci ho mangiato un pasto completo per 10 euro), anzichè quelle oltraggiose cartilagini di prosciutto risecchito che vengono vendute a peso d’oro nelle nostre stazioni da qualche innomina entità che «s’è aggiudicata l’appalto». I gabinetti pubblici, ovviamente usatissimi dai passeggeri di ogni nazione e livello sociale, sono uno specchio, benchè gratuiti. Non ne ho mai trovato uno reso inservibile con occlusioni di carta igienica cacca e piscio, com’è regola da noi. Misteriosamente, nelle loro pareti mancano del tutto le scritte oscene che tanto rallegrano i cessi pubblici italioti. Miracolo, gli addetti alle pulizie fanno effettivamente i lavoro per cui percepiscono il modesto salario pubblico, e li vedi sempre in giro con scopino e scopa a raccogliere anche una sola cicca.
Immaginate i bus? Come minimo, direte voi, avranno l’aria scalcinata, rotta e bisunta di quelli di Roma (si sa, ci sale tanta gente, il Comune è in rosso), perchè dopotutto parliamo di isole arretrate e marginali di un Paese meno ricco e sviluppato del nostro. Macchè: i «guaguas» sembrano tutti nuovissimi, in perfetto stato di manutenzione, con aria condizionata funzionante. Ogni mattina, prima di partire, passano sotto il lavaggio-auto comunale lì a fianco, alla vista di tutti.
E non basta. Il Cabildo (l’antico Consiglio) ha mandato due emissari a Bruxelles per chiedere soldi per costruire dal nulla una linea ferroviaria. Siccome Madrid ha tagliato i finanziamenti, i due inviati di Tenerife sono andati a chiedere all’Europa di coprire il buco: dopotutto è un progetto europeo, che il Cabildo ha presentato ed è stato approvato in sede UE, e che sarà completato coi fondi europei: esattamente come la giunta della Sicilia o delle altre regioni meridionali, che non riescono ad usare i fondi europei per incapacità progettuale, o se li fanno ritirare per malversazioni (1); o che nemmeno li chiedono, perchè che gusto c’è a fare opere pubbliche su cui non si possono estrarre tangenti perchè Bruxelles ti controlla?
Taccio, per non farla troppo lunga, delle infrastrutture immateriali e culturali; dal Wi-Fi in tutti i bar e ristoranti al museo della Natura, che vale una visita non solo perchè espone parecchie mummie del popolo guancio (i nativi delle Canarie), ma per godersi un esemplare di gestione museale limpida e interessante, con tanto di «laboratori» affollati di scolari che fanno piccole sperimentazioni e imparano facendo, sotto la guida di maestri e maestre. Taccio dell’università di La Laguna, nient’affatto periferica nel sistema di studi spagnolo (che il governo sta per rendere più severo, avendo annunciato che il livello di istruzione deve migliorare). Taccio delle spiagge tutte libere e gratuite, fornite dall’amministrazione cittadina di docce, spogliatoi e Wc. E della polizia sempre presente e visibile sulle strade urbane ed extraurbane invece che imboscata negli uffici.
A Lanzarote, l’edilizia è basata su un modulo della casa tradizionale elaborato dall’artista locale Manrique, da cui nessun costruttore si discosta con fantasiosi villini da geometra; tale architettura è basata su muri bianchi immacolati, mai imbrattati da graffiti e firme di dementi come da noi; dovrei parlare delle auto che si fermano – non rallentano, si fermano – appena fai l’atto di voler attraversare la strada sulle strisce. Perspicua, e per un italiano stupefacente, l’assenza di cumuli di monnezza per le strade, di discariche improvvisate nelle scarpate, e l’assenza di vandalismi tipo cabine telefoniche spaccate e smerdate.
In una parola, vige in Spagna quella civiltà che ormai è un costume in tutta Europa, salvo che in questa Italia fiera del suo sedimento incancellabile di volgarità.
Anche il Re senza tredicesima.
Tra le misure per affrontare la crisi del debito statale, il governo Rajoy ha sospeso (ossia tagliato) la tredicesima di tutti i dipendenti pubblici. Anche la sua; anche dei membri del governo, anche dei 350 deputati e dei 266 senatori, non esclusi gli ex parlamentari pensionati. Nessuno l’aveva chiesto al Rey: ebbene, il chiacchieratissimo Juan Carlos s’e tagliato di sua sponte di 20 mila euro l’anno l’emolumento, l’equivalente della sua tredicesima. Dunque oggi il Rey, la più alta istituzione dello Stato riceve, 271.842 euro lordi annui; risulta così che un qualunque governatore italiota di regione arraffa più del redi Spagna; il direttore generale della Rai, quel tal banchiere Gubitosi messo lì da Monti, ci costa come due re e mezzo.
Il principe di Asturia, l’erede al trono, s’è tagliato 10 mila euro, in quanto il suo emolumento è esattamente la metà di quello paterno, 135.921 euro. Il capo della Real Casa, che ha il rango e il soldo di un ministro, s’è ridotto anche lui lo stipendio nella stessa proporzione dei membri del governo. Niente a che vedere con quelli che godono i direttori della Real Casa italiana, detta Quirinale, di cui basta ricordare i 2 milioni di euro l’anno, più appartamento e ufficio permanente sul Colle, dell’immarcescibile Gaetano Gifuni.
El Rey de Espana è notoriamente molto criticato per i suoi lussi, per il suo amore delle gonnelle, e per le sue cacce all’elefante in compagnia di una cacciatrice bianca che sarebbe la sua amante. D’accordo, ma a metà luglio, l’84enne Juan Carlos è partito per Mosca ad incontrare Vladimir Putin a capo di una delegazione di ministri e imprenditori iberici. Scopo del viaggio, raccomandare la partecipazione delle industrie spagnole nel progetto di TGV russo (Mosca-San Pietroburgo a 300 all’ora) che costerà 17,5 miliardi di euro. Già, perchè la Spagna possiede il know-how allo stato dell’arte: le sue linee ad alta velocità sono operative già da 25 anni, ed oggi il TGV ispanico (che si chiama AVE, Alta Velocidad Espanola) dispone in Spagna della più grande rete ad alta velocità d’Europa, e seconda solo alla Cina: 2665 chilometri. Fu il governo socialista di Felipe Gonzales a lanciare questo grande progetto strategico per l’economia spagnola; un governo che rubava come quello di Craxi, si disse; ma che fece i compiti a casa. E non si ha notizia di contestazioni dal basso, tipo No-Tav. Oggi, le imprese spagnole dell’alta velocità si sono aggiudicate il progetto per il treno Mecca-Medina, una linea che i sauditi pagheranno 6,7 miliardi di euro.
I costi della politica.
Il governo ha tagliato del 50% il sussidio di disoccupazione e dopo il sesto mese; ma ha anche tagliato del 20% le sovvenzioni ai partiti politici e ai sindacati (che si aggiunge al 20% già tagliato da Zapatero), del 30% il numero dei consiglieri degli «ayuntamientos», del 5% le paghe degli statali a cui ha decurtato i permessi sindacali e i giorni «di libera disponibilità». Tali misure incontrano un diffuso favore della cittadinanza, consapevole (l’ho già detto) che la crisi mette in questione i «privilegi» del settore pubblico, nonché la corruzione e l’impunità delle caste politiche; privilegi e stipendi e impunità che tuttavia non hanno alcuna dimensione paragonabile a quella dei pubblici italiani. Sul quotidiano ABC ho letto un commento durissimo contro i 266 senatori «che non servono a niente» e prendono – udite udite – 2813 euro al mese, a cui il commentatore unisce «una sovvenzione annuale per ogni partito, che per i due partiti maggiori ammonta rispettivamente a 3,5 milioni e a 1,5 milioni per il 2012», che però non vanno agli individui ma ai partiti; uno scandalo che il commentatore invita a «trattare con l’ascia».
La mente corre ai 200 milioni di euro che i partiti italiani si incamerano ogni anno, a dispetto di un referendum che glieli ha negati; e prende la voglia di abbracciarli, quei poveri senatori sotto accusa per 2800 euro mensili.
Anche in Spagna le «autonomie» regionali spendono e spandono – dicono gli spagnoli – senza controllo, e le più battagliere (prima fra tutti ovviamente la Catalogna) si sono opposte ai tagli del governo, minacciando ritorsioni (la Catalogna, elezioni anticipate); i governanti di Asturie e Canarie hanno annunciato che non taglieranno la tredicesima ai «loro» dipendenti. La differenza con la situazione italiana sta non solo nella levità delle cifre dei presunti sprechi (niente di paragonabile ai 5 miliardi di debiti della Sicilia in bancarotta, o i 70 complessivi contratti dai nostri comuni, o l’inaccettabile debito miliardario di Roma Capitale, inaccettabile perchè nascosto dietro bilanci truccati), ma anche nell’ostilità che le «autonomie» stanno riscuotendo in quanto, appunto, autonome nella spesa.
«Questi governi autonomi ci si sono mutati in un ariete contro gli interessi nazionali – ha scritto l’editoriale di ABC – mostrano il lato oscuro di un autonomismo che si pensa come non dovessero mai sorgere problemi di finanziamento». Le Regioni come il Lato Oscuro della Forza: come vorremmo aver sentito almeno una volta simili valutazioni in Italia.
Da questi sparsi esempi si può vedere che i governi spagnoli i compiti a casa li hanno fatti, nel complesso, molto prima di noi; ed il Paese ha le infrastrutture e la cultura per eventualmente ripartire. Se non riuscirà, sarà essenzialmente perchè è sbagliata la cura imposta dalle Merkel, è sbagliato l’euro, è sbagliato il metodo di assoggettare i bisogni finanziari del Paese sovrano agli umori dei «mercati». E forse, perchè quello che stiamo vivendo un capolinea della storia, in cui l’Europa – con tanta storia dietro – è smarrita e non sa più che fare.
L’immane disoccupazione giovanile degli spagnoli è forse un sintomo di questa fase terminale, additando un futuro di lavoro raro e precario per le masse. Basterà dire solo che i giovani spagnoli stanno reagendo con l’emigrazione di massa. E dove emigrano? Sì, 117 mila in Germania e 86 mila negli Usa; ma 368 mila in Argentina, 179 mila in Venezuela, 94 mila in Messico, 44 mila in Cile, persino 89 mila a Cuba, più che negli Stati Uniti. Insomma il vasto mondo di lingua ispanica fa’ da ammortizzatore sociale, ed è inutile far notare cosa vuol dire emigrare in un Paese dove si parla la tua lingua-madre: significa andare a fare non solo le pulizie e gli scaricatori ma fare, poniamo, il giornalista, far valere la propria laurea e le proprie qualificazioni, inserirsi nei piani alti del Paese ospite. Andare in Argentina e in Venezuela è pur sempre sfociare in quella grande «Spagna dell’anima» che dura ancora, di quel mondo che continua a vedere Madrid come la sua patria capitale. Significa non perdere i contatti con la patria di tutti. Significa poi più facilmente ritornare a casa, se riparte la crescita; laddove i nostri giovani italiani che emigrano, i migliori, non tornano più ed a hanno ragione.
È un effetto forse imprevisto di quel che resta negli spiriti del grande impero spagnolo su cui «non tramontava mai il sole». Ma l’argomento – l’impero spagnolo – è così importante, che merita presto un nuovo articolo.
1) Dai giornali di metà luglio: «l’Unione Europea ha sospeso il trasferimento di 600 milioni di fondi alla regione siciliana, motivando questa decisione con la cattiva gestione degli appalti e l’inadeguatezza dei controlli. (…) In una dura relazione di poche settimane fa i magistrati contabili avevano scritto di“eccessiva frammentazione degli interventi programmati” (troppi soldi distribuiti a pioggia anziché investiti su pochi obiettivi-chiave), di “scarsa affidabilità” dei controlli, di “notevolissima presenza di progetti non conclusi”,di “tassi d’errore molto elevati” tra “la spesa irregolare e quella controllata”,di “irregolarità sistemiche relative agli appalti”». (…) «Tra il 2000 e il 2006 l’isola ha ricevuto 16,88 miliardi di fondi europei pari a cinque volte quelli assegnati a tutte le regioni del Nord messe insieme. Eppure su 2.177 progetti finanziati quelli che un anno fa, il 30 giugno 2011, risultavano conclusi erano 186: cioè l’8,6%. La metà della media delle regioni meridionali».