domenica 8 luglio 2012

Greci alle Termopili

di Gianluca Padovan (Rinascita)

Spartani!
Le gesta compiute dai Greci alle Termopili, le antiche Porte Calde, nel 480 avanti l’anno zero, costituiscono il mito intramontabile e l’esempio da seguire sempre, in ogni frangente della vita. Così scrive Erodoto, storico greco nato ad Alicarnasso attorno al 484 a.: “Gli Spartani avevano mandato innanzi, per primo, Leonida con la sua schiera affinché gli altri alleati, al vederli, scendessero in campo e non passassero invece anche essi dalla parte dei Persiani, se venivano a sapere che gli Spartani indugiavano” (Erodoto, Storie, Annibaletto L.- a cura di -, Mondadori, Milano 2007, p. 1331, VII, 206). In primo luogo abbiamo l’esempio, perché coloro i quali lo sentono nel sangue, devono per primi, ad ogni costo, dare l’esempio. “Exempla trahunt”: è l’esempio che trascina!

Il re Persiano
Serse, re dei Persiani, aveva riunito sotto il suo dominio centinaia di migliaia di soldati provenienti dai numerosi stati caduti in suo potere. Quando attaccò la Grecia, con l’intento di fare suo anche il resto dell’Europa, il re invase la Tessaglia. Gli abitanti di tale regione, vistisi perduti, passarono nelle file del nemico. Fu così che si trovarono a combattere contro i confratelli greci. Erodoto ci dice che, secondo i suoi calcoli, le navi dell’esercito nemico erano 1207, con 241.400 marinai, a cui si dovevano aggiungere i “marines” dell’epoca, ovvero i soldati imbarcati sulle navi, più altri ancora: “in tutto, 517.610 uomini” (ibidem, p. 1311, VII, 184).
Ma l’esercito di terra era anche più numeroso: “I soldati di fanteria, poi, erano 1.700.000, quelli di cavalleria 80.000. A questi aggiungerò gli Arabi che conducevano i cammelli e i Libici che guidavano i carri, calcolandone il numero in 20.000 uomini. Sicché, messi insieme, gli effettivi della flotta e dell’esercito di terra raggiungono il numero di 2.317.610 uomini” (ibidem, p. 1311, VII, 184). Come già detto, si unirono al nemico i greci della Tracia e non solo. Peoni, Calcidici, Macedoni, Dolopi e altri ancora passarono nell’esercito di Serse: “Queste centinaia di migliaia, unite alle forze venute dall’Asia, formarono un totale di 2.641.610 soldati” (ibidem, p. 1311, VII, 185).

Termopili
Taluni “nostri” storici commentano variamente il testo di Erodoto riducendo anche drasticamente il numero dei Persiani: ma non erano presenti ai fatti e sicuramente Erodoto ha raccolto notizie assai più fresche ed attendibili. In ogni caso, anche se i nemici non fossero stati due milioni e mezzo (a cui andavano aggiunti servitori, schiavi, prostitute e quant’altro come lo stesso Erodoto annota), sicuramente costituivano un numero assolutamente soverchiante rispetto i soldati Greci che li fronteggiavano, soli e senza alleati. Il primo scontro titanico avvenne nel 480 a., alle Termopili, e nei mesi che seguirono l’esercito di Serse fu definitivamente cacciato dalla Grecia. I soldati greci che si concentrarono alle Termopili erano così composti: “300 opliti di Sparta, 1000 di Tegea e Mantinea, metà e metà; 120 venivano da Orcomeno in Arcadia e 1000 dal resto dell’Arcadia: tanti erano gli Arcadi. Di Corinto ce n’erano 400, di Fliunte 200, di Micene 80: questi erano i Peloponnesiaci presenti. Dalla Beozia venivano 700 Tespiesi e 400 Tebani. A questi si aggiunsero, espressamente sollecitati, i Locri Opunzi con tutte le loro forze e 1000 Focesi” (ibidem, p. 1327, VII, 202-203).

La voce di Erodoto
La Battaglia delle Termopili è cosa nota, rimandata a noi del XX e XXI secolo nelle traduzioni, nei racconti, nei fumetti, persino nei film. Ritengo, invece, che le parole di Erodoto vadano ascoltate e riascoltate, perché non finiscono mai di parlarci, di parlare al nostro spirito, al nostro sangue e al nostro cuore. L’esercito nemico si abbatté ad ondate continue sulle schiere ordinate, ma esigue, degli opliti greci, infrangendosi ad ogni scontro. Commenta Erodoto: “Dimostravano così chiaramente a tutti e, meglio che a ogni altro, al re stesso, che molti là erano gli uomini, ma pochi gli uomini valenti” (ibidem, p. 1337, VII, 210).
Vi fu poi la figura del traditore Efialte che guidò i nemici alle spalle dell’esercito greco, la ritirata dello stesso per non essere intrappolato tra due fronti ed il sacrificio di coloro i quali coprirono la ritirata ai camerati d’arme: “Si racconta pure che sia stato Leonida stesso a congedarli, preoccupandosi che non avessero a morire; mentre egli, pensava, e gli Spartiati presenti non potevano con onore disertare il posto, per difendere il quale erano venuti espressamente” (ibidem, p. 1345, VII, 220). Accanto agli Spartani rimasero i fidi Tespiesi. E, costretti, anche i Tebani, in quanto sospettati di essere in trattative segrete col nemico.

Il sacrificio
Lo scontro finale dev’essere stato qualcosa d’inimmaginabile: “La maggior parte di loro si trovava ad avere ormai in mano delle lance spezzate ed essi con le spade facevano strage di Persiani. In questa mischia cadde anche Leonida, che s’era dimostrato uomo di straordinario coraggio, e con lui altri illustri Spartiati, i nomi dei quali ho voluto sapere, come di uomini degni che se ne serbi memoria: così pure mi sono informato di tutti i Trecento” (ibidem, p. 1349, VII, 224). Quei giorni una cultura, la Cultura Greca, da sola sostenne l’urto della multietnìa asiatico-africana. Le sorti avverse non fecero vacillare gli opliti greci, forti del loro sangue, forti della consapevolezza di chi fossero e di che cosa volevano dalla loro vita e forti dalla loro terra.
Ed Erodoto così ce li ricorda, assieme al loro indovino che non volle abbandonare il campo di battaglia. In onore di questi, che furono sepolti proprio là dove erano caduti, e in onore di coloro che morirono prima che quelli congedati da Leonida se ne partissero, fu scritta un’epigrafe che diceva così: “Qui, un giorno, 4000 uomini del Peloponneso ne impegnarono a battaglia 300 miriadi”.
Questa iscrizione era in onore di tutti; per gli Spartani, in particolare, era questa: “O straniero, annuncia agli Spartani che qui noi giacciamo in ossequio alle loro leggi”.
Questo, dunque, per gli Spartani; in onore dell’indovino, invece: “Questo è il monumento dell’illustre Megistia, che un giorno i Medi uccisero, dopo aver attraversato il fiume Sperchio; dell’indovino il quale, pur sapendo chiaramente che le Parche s’avvicinavano, non sopportò di abbandonare i duci di Sparta”” (ibidem, p. 1352-1353, VII, 228).

La vittoria.
Non si pensi che i Greci si batterono strenuamente perché non avevano alternative.
Potevano sempre piegarsi all’afroasiatico e senza dubbio, nell’immenso regno multietnico, avrebbero primeggiato e sarebbero divenuti facoltosi.
Si batterono a testa alta perché ritenevano che così fosse giusto, per la potenza del loro sangue, per la consapevolezza di essere superiori in tutto, tranne che nel numero.
Si batterono perché non avevano alcuna intenzione di piegare la testa.
Non intendevano rinunciare alla loro civiltà.
Si pensi anche solo alla filosofia: è innanzitutto greca e solo pochi altri Europei al mondo hanno scritto di filosofia. In fin dei conti la vita su questa Madre Terra va scelta, non subìta. Va conquistata, non comperata. Va guidata, non venduta. Le successive battaglie di Salamina, Platea e Micale annientarono la potenza dell’esercito persiano, allontanando dall’Europa l’invasione afroasiatica ancora per parecchi secoli.
Guardiamoci allo specchio e vediamoci, finalmente, per ciò che siamo: noi siamo i discendenti di quegli Eroi.