di Valter Delle Donne
Lo spiega bene Giampiero Mughini, in occasione dell’uscita del suo nuovo libro: «La caratteristica di questo secolo è il virtuale. Assieme al virtuale, purtroppo, ci sono altre cose. Questo è il momento della penuria delle possibilità, delle occasioni. E quindi la penuria della speranza». Una piazza virtuale e senza speranza, che quando si attiva, lo fa attraverso i soliti noti.
Come osserva il mass mediologo Klaus Davi: «Sin dai tempi dei girotondini di Nanni Moretti possiamo dire che un target di movimentisti in Italia è fisso, è uno zoccolo duro. Cambia solo il marchio». E quando si mobilita per manifestare in buona parte lo fa come “fashion victim”: «C’è sempre una percentuale che lo fa per moda», spiega sempre Davi. Sul ritorno di “Occupy Wall Street”, la stampa americana parla unanimente di un “flop”, di una “carnevalata”, proprio mentre dall’altra parte dell’Oceano, a Madrid, gli indignados tornano in piazza. Stavolta, però, con un’inversione copernicana.
Come osserva sempre Klaus Davi: «Non sono più gli indignados, quella che è scesa in piazza è la gente normale, sono gli spagnoli. Gli indignados sono stati solo un’avanguardia che ha fatto tendenza. Poi, il fatto che al governo ci sia il popolare Rajoy non è casuale. In Italia, secondo me, è solo questione di tempo». La novità è che la protesta sia stata contro il Parlamento spagnolo. Un riconoscimento, indiretto, all’importanza del governo nazionale, dopo aver per anni teorizzato la globalizzazione della protesta in occasione dei G8, secondo il criterio che i parlamenti nazionali non contavano nulla e che i problemi andavano affrontati a livello globale. Stavolta no e non è un caso che la protesta degli indignados stavolta sia stata compresa dalla gente normale. Ha fatto immediatamente il giro del web il video in cui alcuni negozianti difendevano i contestatori dagli attacchi della polizia spagnola. Come a dire che in questa occasione i ragazzi protestavano davvero a nome di tutti.
Verrebbe semmai da chiedersi se e quando la “fashion victim”, come la definisce Davi, contagerà l’Italia. Di certo i movimenti godono di una formidabile cassa di risonanza mediatica, che li alimenta o li silenzia, a seconda delle circostanze (e delle convenienze?). Basterebbe ricordare i recenti leader no global nostrani. Grazie alle apparizioni televisive sono diventati parlamentari Agnoletto (a Strasburgo) e Caruso (a Montecitorio) ed è diventato un guru dell’informazione e della politica Casarin. Personaggi che si sono liquefatti (secondo la lettura della società liquida cara a Zygmunt Bauman) al primo cambio di stagione.
Una analisi nazionale sarebbe tuttavia miope. Prendete il caso della bella e fotogenica leader degli studenti cileni, Camila Vallejo. La figlia di un attore di telenovelas è diventata la Madonna pellegrina dei rivoluzionari da monitor, andando in giro come conferenziera nei quattro angoli del pianeta. Merito di un paio di slogan e di alcune copertine azzeccate, pubblicate sulla decina di testate che contano nel villaggio globale. Peccato che alle elezioni studentesche del dicembre scorso i 14mila studenti cileni gli abbiano preferito tale Gabriel Boric, infischiandosene dei giornali. A parziale consolazione dei media internazionali il nuovo leader studentesco cileno ha la barba alla Che Guevara e un sorriso accattivante. Laddove non arriva l’ideologia, nel 2012 può la fotogenia.