Rassegnatevi, una memoria condivisa è «impossibile». Lo dice Luca Telese, autore di “Cuori neri”, libro che ha tentato di ricostruire (seppure parzialmente) la storia dei ragazzi della destra morti negli anni di piombo. Rassegnatevi. E se non ci credete, provate a leggere quel che dice Giampaolo Pansa. Passato da mostro sacro del giornalismo a reietto (o peggio venduto) dell’informazione italiana dopo “Il sangue dei vinti”, un milione di copie, primo sasso nello stagno della storiografia degli ultimi vent’anni. Un revisionista, al pari o peggio di Renzo De Felice, del quale ospitiamo un ricordo personale di Luciano Garibaldi. Fu lui il primo bersaglio del mondo accademico antifascista. Quel De Felice che di destra non era mai stato, ma che aveva semplicemente tentato di fare il suo mestiere, quello di storico, magari raccontando il fascismo e Benito Mussolini in maniera asettica, scevra da condizionamenti ideologici. Un illuso, perché in Italia, come spiega lo stesso Pansa, «è inconcepibile l’idea di una storia che dia una qualche legittimità ai vinti».
Un muro dell’informazione e della storia a senso unico che non può essere buttato giù in tempi brevi. Al massimo si può tentare di graffiarlo, di scalfirlo appena. Basti pensare a un bilancio provvisorio degli ultimi quindici anni in cui la destra, sebbene a intermittenza, è stata al governo. Il risultato? A livello di produzioni di impatto sul grande pubblico, un paio di fiction (“Il cuore nel pozzo” e appunto “Il sangue dei vinti”) che hanno fatto quasi gridare all’operazione di regime gli antifascisti militanti. Opere decisamente minori, sia a livello artistico che a livello storiografico. Che hanno avuto l’effetto di scontentare tutti. Incluse le associazioni degli esuli, secondo i quali la fiction sulle foibe era risultata addirittura insultante nei confronti delle vittime. E i partigiani titini, ve li ricordate? Non venivano mai chiamati comunisti. Piccoli particolari.
Rassegnatevi. Lo dice a modo suo anche Pietrangelo Buttafuoco, autore del best seller “Le uova del drago”. Con i premi e le recensioni entusiastiche come ricorderete incassò pure la patente di scrittore filo-nazista. Almeno la narrativa, ha spiegato Buttafuoco «è zona franca». Un ragionamento che verte su un curioso paradosso: il libro politicamente scorretto ha un accoglienza migliore di un libro che ha pretese di correttezza storica. L’esempio in tal senso è incarnato da Nicola Rao, il quale sugli anni di piombo e la destra ha realizzato per Sperling & Kupfer delle documentate ricostruzioni giornalistiche e storiche (su tutte “Il piombo e la celtica” e “La fiamma e la celtica”).
Come è stata liquidata la sua rigorosa operazione storiografica? Anche su quotidiani “indipendenti”, l’autore è stata etichettato come «giornalista di note simpatie di destra». Come liquidare una seria operazione giornalistica di un professionista in due parole. Provate a cercare in libreria qualche libro che parla di quegli anni scritto da un ex redattore dell’“Unità” o del “manifesto”. Non troverete mai una recensione sul “Corriere della Sera” o su “La Stampa” che lo liquida come un «giornalista di note simpatie di sinistra».
Forse perché quello stesso recensore di via Solferino o del giornale della Fiat ha iniziato lavorando nel quotidiano del Pci o nella redazione di via Tomacelli. Insomma, la logica è la stessa che inquadrava le Brigate rosse come risposta alla strage di Piazza Fontana. Che dipingeva i brigatisti «compagni che sbagliano». E le foibe «una risposta alle stragi fasciste».
Rassegnatevi. Una storia condivisa, almeno nell’anno 2012, è ancora lontana.
di Valter Delle Donne (Secolo d'Italia)